Le colpe delle donne
Ho letto i racconti delle ragazze che per 80 euro al giorno lordi hanno fatto le veline di Gheddafi. Le ho viste sbarcare dai pullman, e poi accampate nei vialetti dell’istituto di Cultura libico, senza ombra, senza acqua, senza un bagno con la carta igienica (lo hanno raccontato loro). Qualcuna è svenuta, tutte si sono lamentate, quasi nessuna se ne è andata, anzi: le più furbe hanno fatto a gara per esporre la domandina compiacente, seguendo i consigli dell’organizzazione (“se siete brave, prenderanno i vostri numeri di telefono e potrebbero invitarvi in Libia”). Ammetto di essere una moralista, ma sono sicura che se qualcuno avesse proposto a una qualsiasi ragazza della mia generazione – di destra, di sinistra, di centro, apolitica, anarchica, cattolica, musulmana, atea, sposata, nubile, laureata o analfabeta – di guadagnarsi la giornata facendo la corte a un dittatore, avrebbe fatto fatica a trovarne venti. E su venti, 18 avrebbero chiesto l’anonimato ai giornalisti non perché impegnate da un contratto (“Altrimenti non ci pagano”) ma perché si sarebbero vergognate come ladre. Il paragone aiuta a capire fino a che punto la cultura diffusa del nostro Paese abbia perso il senso della misura e della dignità, senza neppure rendersene conto. Altro che “folklore”: la passerella delle hostess di Gheddafi conferma che l’Italia è diventata il Paese più maschilista d’Europa (lo ha scritto Caterina Soffici in un bel libro), forse l’unico in cui le ragazze non sono più capaci neammeno di riconoscere l’oltraggio alla loro dignità, l’offesa ai loro diritti di persone, la riproposizione dello stereotipo della subalternità femminile, persino quando gli vengono sbattute in faccia da un circo cialtronesco come quello di Gheddafi. E non riescono più a dire «ma siete matti? Me ne vado» neanche se le lasciano sotto il sole, assetate e mezze morte di caldo sui tacchi a spillo per una mattinata intera.