La politica del rospo
Ci provo? Ci provo. Consapevole che fioccheranno i fischi, come è già successo sul sito del “Secolo”.
Provo a spiegare che affrontando la partita delle intercettazioni abbiamo visto al lavoro il “finismo di destra”: quello che parla in nome della tradizione di Paolo Borsellino, delle relazioni all’antimafia di Beppe Niccolai, ma anche – sia ben chiaro – del garantismo di Leonardo Sciascia e dei suoi moniti a recuperare l’obiettività, la moralità e l’umanità della giustizia. Provo a dire che questo approccio non ha nulla a che vedere con il giustizialismo forcaiolo alla Di Pietro ed è per sua stessa natura moderato e ragionante: forse – tornando alla legge sulle intercettazioni – avremmo “rotto” su un provvedimento che avesse vietato di pubblicare qualsiasi notizia sulle inchieste; sicuramente non siamo soddisfatti del capitolo sui “reati spia” (racket, estorsioni e traffico di rifiuti) e cercheremo di correggerlo alla Camera; di certo non vanno bene le multe agli editori o i limiti alle intercettazioni ambientali nel nome della “privacy dei mafiosi”.
Ma abbiamo agito scommettendo sulla politica che cambia le cose, non sull’antipolitica che le usa come pretesto per ottenere applausi e facile consenso. Provo a ricordare che qualcosa lo abbiamo cambiato: dai “gravi indizi di colpevolezza” si è passati ai semplici “indizi di reato”; dal divieto assoluto di pubblicazione di atti si è arrivati al diritto, sempre e comunque, alla cronaca per riassunto degli atti; dalla retroattività alla non-retroattività della legge; dai 75 giorni e basta ai 75 giorni prorogabili. Potevamo far meglio? Forse. Abbiamo dovuto inghiottire il rospo? Certo, era nel conto come sempre quando si fa politica anzichè populismo. La terza opzione era non far nulla e limitarci a far parlare gli intellettuali sui nostri siti, evitando di esporci in Parlamento. L’abbiamo scartata. E adesso, fischiate pure…