La marcia indietro della Gelmini e la scuola del ’68
Onore al preside Michele D’Elia, del liceo Vittorio Veneto di Milano. È stato tra i primi a pubblicare gli scrutini di maturità: tutti ammessi tranne due, a confermare la promessa di non escludere dall’esame nessuno per un semplice cinque in una materia, così come prevedono le disposizioni ministeriali dell’ordinanza 44 firmata dalla Gelmini. «Come avremmo potuto non ammettere un ragazzo per colpa di una sola insufficienza?», ha spiegato D’Elia invitando le altre scuole e l’opinione pubblica a un esame di realismo e buon senso. E a chi ha parlato polemicamente di un ritorno al famigerato “sei politico”, ha risposto: «Piuttosto la chiamerei attenta valutazione del profitto di ciascuno studente, senza penalizzarlo a tutti i costi». Già, perché magari si dovrebbe ogni tanto ricordare che l’obiettivo della scuola non è espellere i somari ma far crescere tutti. E il diritto a “giocarsi” la chance della maturità è insito nella nostra tradizione culturale e liceale, che considera quella prova un “rito di passaggio” e una verifica della personalità che può dare un’opportunità di crescita a ognuno, compresi i distratti, gli indisciplinati, i casinisti che per farcela dovranno studiare il triplo dei bravi e dei tranquilli. Neppure la Gelmini ha potuto obiettare al buonsenso del liceo Vittorio Veneto, e un po’ di marcia indietro sulla norma 44 l’ha fatta. Adesso, magari, qualcuno potrebbe cominciare a mettere in discussione l’ossessione severista della scuola italiana e il suo presupposto ideologico, cioè la necessità di “ricostruire la serietà didattica distrutta dal ‘68”. Molti studenti sessantottini sapevano di letteratura e di filosofia più di tanti insegnanti (e politici) contemporanei. E, come ebbe a dire André Glucksmann, chi conosce un po’ la storia sa che non fu il ’68 a mettere in crisi la scuola, “fu semmai la scuola in crisi ad aver causato il Maggio del ’68. Da un pezzo la scuola non era più all’altezza dei suoi compiti. Si soffocava. Bisognava respirare…”.