Rifiuti Zero: illusione o realtà?
Certamente gli italiani non amano gli inceneritori. Oggi nel nostro paese è difficile immaginare uno sviluppo rapido degli inceneritori tradizionali o di nuova generazione. Le polemiche sul recente avvio degli impianto di Parma e Torino sono solo l’ultima di una lunga serie di proteste e opposizioni in Italia. Il motto ricorrente è semplice: no agli inceneritori, sì alla raccolta differenziata.
L’opinione pubblica italiana ha rigettato l’avvio di nuovi inceneritori per diversi motivi:
– Rilascio di ceneri, scorie e emissioni inquinanti, diossina in primis. Per questi esiste una legislazione che ne regola le emissioni, come normale per qualsiasi impianto industriale, ma secondo alcune associazioni tali limiti sono ancora troppo permissivi;
– Pessimo meccanismo di incentivazione, solo successivamente cambiata, che ha premiato gli impianti riconoscendo i rifiuti in ingresso quale materia rinnovabile (i famigerati CIP6);
– Potenziale disincentivazione della raccolta differenziata, per il maggior potere calorifico di carta e plastica;
– Concessioni e appalti poco trasparenti;
– Impianti troppo costosi.
Non sorprende dunque che il numero di inceneritori operativi in Italia sia praticamente stazionario: 50 impianti erano attivi nel 2003, 53 nel 2010. Secondo i Comuni che aderiscono alla “Strategia rifiuti zero” [1] e secondo i comitati che si oppongono alla costruzione degli inceneritori, come a Parma e Torino, si potrebbero ridurre i rifiuti da mandare in discarica del 98% con tre sole e semplici mosse: 1) diminuzione del 20% della produzione annuale di rifiuti, 2) massimizzazione del riciclo sull’esempio di alcuni comuni che raggiungono percentuali dell’80%, 3) nuovi impianti per il trattamento delle frazioni indifferenziate.
Per capire se sia davvero possibile percorrere le alternative è necessario chiarire brevemente la filiera della gestione dei rifiuti. Volendo dividere in tre macroaree, i rifiuti possono essere:
– riciclati, come plastica, vetro, metalli e similari oppure trattati in impianti di compostaggio, come per la frazione umida dei rifiuti urbani, con cui produrre fertilizzante naturale o biogas in impianti di digestione anaerobica;
– inceneriti, come solitamente avviene per la frazione secca o indifferenziata, con cui si produce energia elettrica e, ove possibile, calore in cogenerazione;
– mandati in discarica.
La situazione italiana è schemarizzata in figura [2].
Attualmente lo smaltimento in discarica costituisce circa il 50% dell’intera filiera dei rifiuti in Italia, in quanto è semplice ed economico, mentre un 15% viene destinato agli incenitori. Va da sè che il nodo da aggredire riguarda più il ricorso alle discariche per smaltire i rifiuti che non il ricorso agli inceneritori. La situazione italiana confrontata alla media europea si vede nella figura sotto [2].
Alcuni paesi come Germania, Austria e Paesi Bassi hanno eliminato il conferimento dei rifiuti nelle discariche, che sono invece utilizzate principalmente per lo stoccaggio delle ceneri dei termovalorizzatori o dei residui degli impianti di trattamento biologico e compostaggio. In questi paesi il riciclaggio o compostaggio dei rifiuti raggiunge una quota media del 60%, mentre il restante 40% viene energeticamente recuperato comunque tramite inceneritori.
Si può dunque dire no alle discariche e agli inceneritori, come sostenuto dai comitati “Rifiuti Zero”? Per quel che concerne la riduzione della quantità di rifiuti prodotti gli ultimi dati disponibili indicano che ogni italiano oggi produce produce in media 536 kg di rifiuti all’anno. Purtroppo dal 2006 il dato si è ridotto solamente del 2,5% [2] in linea con la performance europea. Sul settore della raccolta differenziata il consolidamento delle politiche e delle normative comunitarie volte alla riduzione dei rifiuti, in particolare dei rifiuti biodegradabili, hanno dato frutti considerevoli. A livello di UE 27, tra il 2006 e il 2010 si è registrato un miglioramento del 14%. Il dato si diversifica notevolmente sul territorio dell’Unione. In Italia certamente esistono enormi margini di miglioramento, evidenti analizzando le differenze tra macroaree geografiche, come evidenziato in figura.
Il grafico mostra un trend in crescita per la percentuale di raccolta differenziata ma siamo ancora molto indietro rispetto agli obiettivi nazionali (35% raggiunto nel 2010 contro un obbiettivo del 50% già nel 2009). In più, la differenza tra Nord (49%) e Sud (22%) è ancora davvero marcata. In Italia vi sono alcuni esempi virtuosi come Treviso (74%), Pordenone (70%), Rovigo (63%) mentre altri grandi centri urbani come Palermo e Catania sono fermi sotto al 7%.
Ciò che oggi sembra essere d’ostacolo per un rapido raggiungimento di tali obiettivi in tutti i comuni italiani è prima di tutto il problema dei costi: secondo ISPRA se i costi della gestione della indifferenziata per kg di rifiuto sono molto simili tra Nord, Centro e Sud, quelli della raccolta differenziata al Sud sono più che doppi rispetto al resto d’Italia. Per quel che concerne i nuovi impianti di trattamento che i comitati “Rifiuti Zero” anelano, ci si riferisce agli impianti di Trattamento Meccanico Biologico per il trattamento di rifiuti indifferenziati per il recupero di materia e, conseguentemente, per la riduzione della quota destinata in discarica.
Di seguito le percentuali medie dei prodotti in uscita da tali impianti nel 2010: 42% frazione secca da inviare in discarica, 20% biostabilizzato, non utilizzabile come concime in agricoltura ma utile per applicazioni di recupero ambientale, 14% CDR, combustibile da rifiuti da inviare ad incenerimento, 6% frazione umida, 2% carta, plastica, metalli, vetro, 16% altro [2]. Altrimenti detto, se anche inviassimo l’intera parte dei rifiuti italiani che oggi finisce in discarica o all’inceneritore (il 65%) a impianti di Trattamento Meccanico Biologico, rimarrebbe comunque una grossa fetta (36%) di frazione secca o combustibile da rifiuti senza ulteriori margini di riciclo e da destinarsi agli inceneritori.
La componente secca dei rifiuti indifferenziati, quella che oggi viene “incenerita” nei Paesi Europei più “virtuosi”, è quindi la più delicata e quella su cui la ricerca si sta sviluppando. Due sono tecnologie più interessanti e maggiormente citate: 1) l’estrusore, già applicata in Italia dal 2007 nell’impianto di Vedelago (Treviso) e recentemente a Colleferro (Roma) e Tergu (Sardegna), consente di convertire la metà della frazione secca dei rifiuti in sabbie per uso industriale, destinando il resto in discarica; 2) l’ArrowBio, già installata a Tel Aviv e Sydney, consente invece il recupero di materia da residui indifferenziati e riduce al 25% la frazione destinata in discarica. Lo svantaggio della tecnologia ArrowBio è di essere “site specific” e di poco agevole estensione alla realtà nazionale [3].
In conclusione, replicare il modello di gestione dei rifiuti dei principali Paesi Europei basato su una robusta frazione destinata all’incenerimento non sembra una strada ideale per l’Italia, oltre ad essere difficilmente proponibile per l’opposizione dei comitati locali. Le alternative esistono ma necessitano di scelte strategiche di lungo periodo da parte del governo. In specifico: 1) la riduzione “a monte” della produzione di rifiuti deve coinvolgere l’industria di produzione e di imballaggio; 2) l’aumento della percentuale di differenziata non è immediato ed alcuni grandi centri sono ancora molto lontani dagli obiettivi (7% rispetto al 60% da raggiungere); 3) le tecnologie alternative di cui sopra vanno studiate caso per caso per una potenziale messa in posa su scala nazionale.
Con ciò non si vuole sostenere che i risultati proposti da “Rifiuti Zero” siano irraggiungibili nè che non si debba nemmeno provarci. Si vuole invece sottolineare che non prendere seriamente in considerazione la portata di un progetto di rivoluzione nella gestione dei rifiuti – perché di questo stiamo parlando – sottovalutando le inerzie in gioco può essere davvero pericoloso, soprattutto alla luce della condizione attuale di discariche e finanze pubbliche italiane. Certamente è doveroso che la politica inizi a trattare il tema “rifiuti” con minore superficialità. Non un consiglio, ma un dovere.
*****
[Si ringrazia il blogger Energisauro, co-autore di questo articolo apparso su iMille-magazine, venerdì.]
Note a piè pagina
[1] Rifiuti Zero
[2] ISPRA, Rapporto Rifiuti 2012
[3] Federambiente, Rapporto sulle tecniche di trattamento dei rifiuti urbani in Italia.