Un cattolico
Non c’è scritto che ha trucidato violentemente quaranta persone. Non c’è scritto che ha fatto sei stragi. Non c’è scritto che rapì un ragazzino di 13 anni tenuto prigioniero per 24 mesi in un merdoso porcile siciliano, e infine sciolto nell’acido. Non c’è scritto neppure che nello stesso periodo fece fuori don Pino Puglisi a Palermo. Tra i primi risultati di Google c’è scritto, se digiti «Gaspare Spatuzza», che è «l’uomo che accusa Berlusconi e Schifani», e in subordine che «parla di Berlusconi e Dell’Utri. C’è anche un video. La notizia successiva, giustamente, è che Spatuzza rubò la Fiat 126 che venne impiegata come autobomba nella strage di via d’Amelio in cui fu ucciso Paolo Borsellino. Poi, ecco, si giunge direttamente a ieri con la notizia rilanciata dalle agenzie: «Permesso al pentito Spatuzza per incontrare un prete». L’ordine delle notizie è questo, ma non è colpa degli algoritmi di Google, è colpa della prevalenza delle notizie che vengono diffuse e cercate in rete. È la stessa ragione per cui non si trova traccia – non subito – neanche delle smentite giudiziarie che le accuse a Berlusconi e Dell’Utri hanno ricevuto: perché interessano meno. Grande spazio, dunque, al percorso spirituale di questo fottuto stragista che ha ottenuto un permesso premio straordinario per motivi religiosi: potrà andare in convento per due giorni, in ritiro.
Una conversione interessante. Prima, come detto, una vita peccaminosa da «u’tignusu» del Brancaccio: era il killer di Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina, faceva il palo dei gruppi di fuoco. Si travestì da poliziotto e andò a prendere il piccolo Giuseppe Di Matteo al maneggio di Altofonte, gli disse che l’avrebbe portato dal suo papà che non vedeva da tempo perché era un collaboratore di giustizia. Al piccolo brillarono gli occhi: «Papà mio», disse. Poi il bambino fu legato «come un animale» – l’espressione è di Spatuzza – e imbavagliato e sbattuto nel cassone di un Fiorino. Ci avrebbero messo ancora due anni ad ammazzarlo e a scioglierne i resti in un barile di acido: alternativa alla graticola per bruciare i cadaveri. Accadeva nel 1996. E la conversione? Quella è dopo l’arresto, nel 1997: si iscrisse alla facoltà di Teologia – scrissero i giornali – ma non è chiaro come, visto che Spatuzza ha solo la quinta elementare. In realtà si iscrisse all’Istituto superiore marchigiano di scienze religiose: sostenne gli esami di «Storia della chiesa», «Teologia fondamentale» e «Introduzione alle sacre scritture». Lesse l’intera enciclica «Deus caritas est» di Benedetto XVI e «Teologia della rivelazione» di René Latourelle e ancora «Cristologia» di Piero Pioppo; mandò gli auguri di Pasqua al Papa e scrisse al vescovo dell’Aquila immedesimandosi in San Paolo. Al suo ex boss del Brancaccio, Giuseppe Graviano, scrisse così: «Non è compito mio giudicare le tue scelte, ma di ammonirti perché è compito di ogni cristiano riportare sulla retta via il fratello che si è smarrito». Non male anche questa: «Ci sono tanti morti nella mia vita, ma il più morto di tutti è il ragazzo che io fui». Teologia della via Gluck, folgorato sulla via d’Amelio.
Poi cominciò a cantarsela anche contro Berlusconi: merito di un’altra conversione, o forse di undici anni di carcere duro al 41bis. L’auditorio mediatico drizzò le orecchie. Cominciò a suonare come un juke-box tutti i ritornelli che gli venivano richiesti: regie politiche dietro le stragi del ’93 di Firenze e Milano e Roma, legami economici fra i fratelli Graviano e Silvio Berlusconi, ancora Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, varie ed eventuali. Fu smentito nelle aule giudiziarie – anche se Google fatica a ricordarlo – ma permise di mandare all’aria la decina di processi che erano stati fatti per Borsellino. E dopo più di dieci anni, finalmente, ecco che le procure di Palermo e Firenze e Caltanissetta gli riconobbero l’agognato status di collaboratore di giustizia: fa niente se erano già abbondantemente decorsi i 180 giorni entro i quali un pentito deve riferire i fatti gravi di cui è a conoscenza, come notò il Viminale nel limitarsi a confermare «le ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al livello specifico di rischio segnalato». Apriti cielo. Il legale di Spatuzza disse che il suo cliente non aveva parlato, prima, perché aveva paura di Berlusconi e Dell’Utri. Insorsero i magistrati. Insorse Veltroni ma soprattutto Di Pietro: «Da oggi Spatuzza è un morto che cammina, vogliono intimidire chi riferisce scomode verità, e non è un caso che le scomode verità coinvolgerebbero Berlusconi e Dell’Utri». Ellittico come al solito, Di Pietro. La legge dei 180 giorni è copiata dall’estero e serve a impedire le dichiarazioni a rate, a garantirne la genuinità: ma ha risolto tutto il Tar del Lazio – misteri della giustizia italiana – che nel luglio scorso ha ribaltato la decisione del Viminale e ha ammesso Spatuzza nel programma di protezione. Ora per Spatuzza, il convertito, è un’altra vita. Dal carcere duro – che ha abbandonato – al convento, per meglio chiedere perdono. Il tribunale di sorveglianza di Roma e le tre procure interessate hanno dato parere favorevole. Serviranno uomini e soldi per favorire lo spostamento, ma fa niente: «Mi sto interrogando sull’essenza dell’uomo, su cosa l’uomo deve fare per sé e per gli altri», ha fatto sapere. Forse ripenserà a quel bambino sciolto nell’acido: «Sono colpevole del sequestro quanto della morte del ragazzino», disse nel dicembre 2010, «e ne darò conto non solo in questa vita, ma anche domani, dove troverò qualcuno ad aspettarmi». Su questo ci può giurare.