La testa puzza dal pesce
È difficile credere quanto ha scritto Antonio Polito sul Corriere di ieri, e cioè che «la procura di Bari, se avesse agito a tempo debito, certamente avrebbe indotto il sindaco Emiliano a scansare i fratelli Degennaro». È difficile crederlo perché l’ex magistrato, senza i fratelli Degennaro, non sarebbe neanche ridiventato sindaco: senza i 7.200 voti della lista «Realtà barese», sponsorizzata dai costruttori ora arrestati, Michele Emiliano si sarebbe fermato a 90mila voti contro i 92mila dell’avversario, invece ne prese 98mila e vinse al ballottaggio. Accadeva il 22 giugno 2009 e alcuni dei reati contestati cominciarono a consumarsi quattro giorni dopo l’elezione: da qui le malizie. Altri reati di truffa – forse è più grave – in compenso si consumarono nel 2007, cioè prima, nel pieno della celebrata campagna per la «primavera pugliese». Ecco perché il problema è anzitutto stra-politico: altro che «qualche chilo di pesce e cozze pelose» come si è difeso il sindaco o ancora «una bottiglia di champagne e qualche cozza pelosa» come ha scritto Marco Travaglio, quello documentato. Che poi erano champagne, otto astici, due chili di allievi, cinquanta noci bianche, quattro spigoloni, formaggi e ostriche imperiali.
La testa puzza dal pesce: accade in una città che ha portato al parossismo il protagonismo dei magistrati. Uno appunto è Emiliano, che non si è mai dimesso dalla magistratura e se n’è fregato della sentenza n. 224 della Corte Costituzionale che nel 2009 imponeva ai neopolitici di togliere la toga. Il sindaco ha partecipato lo stesso alle primarie del Pd e ne è stato anche segretario regionale. A fregarsene della sentenza però è anche il suo avversario interno al Pd, l’altro magistrato barese Gianrico Carofiglio: la cui peculiarità interessante, però, è un’altra. Carofiglio è indicato come possibile candidato governatore alle regionali (sponsorizzato da Bersani e Vendola, pare) ma è anche marito di Francesca Pirrelli, magistrato che conduce proprio l’inchiesta sui Degennaro che ha inguaiato Emiliano. Il Pd vuole scaricare un ex pm, in sintesi, per candidare un altro ex pm che è marito di una pm che sta indagando sul primo ex pm. La pm Francesca Pirrelli, oltretutto, è amica di Vendola: così come Carofiglio in teoria sarebbe amico di Emiliano.
Questo mentre la cucciolata di magistrati prestati alla politica (dovrebbero essere cinque) registra una nuova indagine ai danni del senatore del Pd Alberto Tedesco, presidente della commissione sanità nella giunta Vendola: l’inchiesta, due anni fa, era stata aperta dal pm Lorenzo Nicastro, che però frattanto si è candidato con l’Italia dei valori ed è diventato assessore all’ambiente pure lui nella giunta Vendola, divenendo peraltro avversario politico di Raffaele Fitto (Pdl) dopo averlo rinviato a giudizio per un’altra indagine. Riprendete fiato. E tenete conto che il leitmotiv, a margine di ogni scandalo pugliese degli ultimi anni, è sempre stato che la città «sapeva». Che cosa?
Tutto: di Patrizia D’Addario e delle donnine che Giampi Tarantini procurava all’ex premier e (anche) a qualche amico del Pd, degli appalti e intrecci sanitari, del calcioscommesse, delle vasche da bagno riempite di pesce: solo Michele Emiliano, cioè la testa, non sapeva praticamente nulla degli affari dei Degennaro, salvo mettersi in giunta la figlia 26enne del capofamiglia. Anzi no, a non sapere nulla c’erano anche i promotori della mirabolante «Lista civica nazionale» vagheggiata da Di Pietro e De Magistris (altri due ex magistrati: mancavano) e poi da Vendola oltreché dai soliti «movimenti», insomma da quanti immaginavano un Michele Emiliano addirittura alla presidenza del Consiglio, chissà mai. A Palazzo Chigi doveva quindi sedere «un fesso» (sua definizione) come se l’idea di eleggere un fesso fosse tranquillizzante. Un fesso: piacerebbe cogliere l’occasione per dargli clamorosamente ragione, purtroppo non è così.