Papa e gli altri
Tempi di ambasce per i garantisti di destra. La carcerazione di Alfonso Papa, da una parte, resta uno scandalo perché ne mancavano i presupposti giuridici, perché il Parlamento l’ha svenduto al malcontento popolare, perché lui aveva chiesto inutilmente di essere interrogato (cinque volte) ma i pm hanno preferito interrogarlo in galera, perché gli stessi pm in questo modo gli hanno lasciato tutto il tempo – in attesa dell’autorizzazione a procedere – di inquinare le prove e di reiterare il reato eccetera, il tempo, cioè, di fare tutte quelle cose per impedire le quali lo volevano galeotto. La carcerazione di Papa è uno scandalo perché la custodia cautelare dovrebbe essere l’extrema ratio, perché bastavano i domiciliari, perché come Papa ce ne sono 15mila che attendono una sentenza di primo grado, è uno scandalo perché, dopo otto ore di interrogatorio, lui resta in carcere perché i pm non sono «soddisfatti», cioè lui non ha parlato. Questo da una parte.
Dall’altra, coloro che accusano il centrodestra di «demagogia securitaria» e di garantismo trasformistico, purtroppo, hanno ragione da vendere. Magari sono accuse strumentali, ma hanno ragione lo stesso.
In un Paese civile, l’obiettivo dovrebbe essere la giusta oscillazione tra la cultura della legalità e il rispetto delle garanzie, ma da noi – è destino, pare – tutto si traduce nell’oscillazione tra il peggior forcaiolismo e il garantismo più peloso. Le colpe della sinistra in questa direzione, soprattutto negli anni Novanta, sono state tante. Ma quelle della destra, soprattutto nell’ultimo decennio, non sono state da meno. Rinviamo ad altra sede il dibattito sugli effetti concreti della legge Fini-Giovanardi sulla droga: resta il fatto che la maggior parte di coloro che affollano le carceri, ora, sono dentro per quella legge, sulla cui efficacia peraltro ci sarebbe molto da dire. Sul numero dei carcerati, rispetto ai posti disponibili, non stiamo neanche più a sparare cifre: lo sanno tutti da una vita che mancano i posti-carcere. Nelle galere italiane ci sono stati 29 suicidi in 8 mesi, che è un numero spaventoso. Le carceri mancano perché nessun governo vuol metterci soldi, e perché il costruirle non porta voti; tantomeno porta voti il proporre misure normali e civili – ma poco virili – come gli arresti domiciliari per chi ha quasi finito di scontare la pena. Gli oppositori a queste misure, va detto, sono quasi tutti nel centrodestra. Il nostro Paese negli ultimi lustri è stato oggetto dell’immigrazione che sappiamo, e il surplus dentro le galere, a badarci, corrisponde più o meno al numero degli stranieri incarcerati. Questo senza contare che il reato di clandestinità alla fine non è passato. E senza contare che il Governo, di recente, ha approvato la detenzione nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) sino a 18 mesi, luoghi dove si può finire anche senza aver commesso reati: a loro modo sono carceri anche quelle. Lo stesso governo ha teso indubbiamente a sparpagliare più carcere per nuovi reati: dalla custodia cautelare obbligatoria per gli accusati di stupro alle improbabili retate dell’improbabile decreto sulla prostituzione. A tal proposito tocca ricordare il provvedimento probabilmente meno garantista degli ultimi vent’anni, fortunatamente bocciato dalla Corte Costituzionale esattamente un anno fa: quello che prevedeva il carcere automatico per tutti i sospettati (solo sospettati) di violenza sessuale e pedofilia, quella norma, cioè, popolar-forcaiola che il governo varò frettolosamente quando sembrava che in giro ci fossero solo romeni che stupravano donne. E invece, parentesi, era la classica bufera mediatica: sia perché molti accusati erano innocenti, sia perché gli stupri risultavano inferiori agli anni precedenti.
Tocca ripetere che il carcere obbligatorio, senza che un giudice possa valutare da caso a caso, dovrebbe esserci solo per i colpevoli accertati da un giudizio: questo ha detto la Consulta, così come lo dice il Codice e la Costituzione e tutto il diritto d’Occidente. Vale da Alfonso Papa in giù. Si chiama presunzione di non colpevolezza, e il principio è di un’ovvietà tale – il carcere dev’essere obbligatorio per i colpevoli accertati, non per gli innocenti ancora da processare – che le proteste rivolte contro la Consulta in quell’occasione, da parte di esponenti del centrodestra, soprattutto donne, restano una pagina nera del sedicente garantismo di questo Paese.
Molti, a questo punto, non saranno affatto d’accordo, e obietteranno che il problema non è svuotare le carceri ma costruirne semplicemente di nuove per ficcarci dentro molta più gente. Funzione retributiva del carcere, chiamiamola: all’americana, o alla Piercamillo Davigo.
Ma l’unico che si è veramente sbattuto per realizzare un vero piano carceri, gliene si dia atto, è il Guardasigilli Angelino Alfano. Anche Berlusconi, per un po’ di tempo, si era mostrato disponibile ad affrontare il problema sul serio. Di fatto, non è andata così. Gli 80mila posti-carcere inizialmente auspicati dal Ministro, tenendo conto dei tempi di realizzazione, già di per loro rischiavano di peccare addirittura di modestia, un po’ come la terza corsia di certe autostrade: quando hai finito di costruirla, serve già la quarta. Il piano carceri effettivo, agli effetti, ha partorito una previsione di 9.510 posti in più: non bastano neppure per l’attuale fabbisogno. Secondo un’accurata inchiesta di Radiocarcere, oltretutto, molti dei nuovi padiglioni sono già stati costruiti ma sono vuoti, perché manca il personale: si parla di circa 2.000 posti detentivi inutilizzati.
Così, assieme ad altri 15mila in attesa di un primo giudizio, Alfonso Papa attende in carcere affinché l’ingiustizia sia uguale per tutti. La banale verità è che questo governo – ma tutti i governi, in realtà – nella sostanza è stato latitante. Il misero dualismo che intrappola la politica italiana, più o meno, recita così: se non farete le carceri sarà necessario un altro indulto, e parte degli italiani vi spellerà vivi; se farete le carceri in tempi come questi, invece, il rischio è che dicano: ecco, c’è la crisi e loro spendono per i galeotti. E così non se ne esce.