Su Libero, Feltri e il PdL

Filippo Facci intervistato da Cesare Golfari per Affaritaliani.it

“Un’auto non si può guidare in due.” “Noi come due gentiluomini che di fronte alla porta aperta fanno a gara a chi non debba entrare per primo”. E’ stato un minuetto di cortesie il divorzio fra Feltri e Belpietro. Due falchi che cinguettano. Qualcosa stride… almeno stando a quanto ci racconta Filippo Facci, talentuosa (e velenosa) penna del Libero che appunto Vittorio Feltri ri-saluta con sua, di Facci, esplicita soddisfazione…

Feltri fuori da Libero? Alleluia. Non ho mai avuto in simpatia Vittorio Feltri, questo lo sa lui e lo sa la redazione. Ho scritto per 15 anni su Il Giornale e me ne sono andato nel giorno stesso in cui lui ne è ridiventato direttore. Da quando era tornato a Libero, poi, navigavo in acque poco sicure e meditavo un ritorno al Giornale, anche perché la mia rubrica quotidiana era stata soppressa e i miei pezzi erano spariti dalla prima pagina. Il mio giudizio perciò è viziato: diplomazia zero, te la racconto proprio per come la so.

Che cosa c’è dietro questo rococò di gentilezze fra gladiatori del giornalismo?

Feltri è una persona che per ragioni varie, forse anche anagrafiche, denota una certa inquietudine esistenziale. Soprattutto ora che si è accorto di non avere più il tocco magico sulle vendite.

Stai sempre parlando di un assoluto numero 1.

Non è più il Feltri che aumenta le tirature ovunque faccia il direttore. Le sue ultime peregrinazioni non hanno trasferito copie come in altre stagioni, anzi. Nel suo ultimo passaggio a Libero, paradossalmente, c’è stato un aumento di copie apprezzabile solo nel periodo in cui non scriveva perché era sospeso dall’Ordine dei giornalisti. Gli incrementi sono risultati confinati fra le 4-5.000 copie, quando va bene. Parliamo di un personaggio che tutti pensavano dovesse uccidere Libero quando lo abbandonò la prima volta – nell’estate 2009 – per approdare al Giornale. Pare un po’ avulso dalla realtà, va poco in tv e questo non lo aiuta, perché oggi se a una firma non associ un volto l’effetto traino viene meno. Va anche detto che a Libero non aveva molto potere, potere per esempio di nomina, di tirar dentro questo o quest’altro. Stava confinato in una stanzetta dove aveva appeso dei poster con dei cavalli e c’era quando c’era. Ora torna al Giornale a scrivere e basta, punto. Il problema è che non potrebbe farlo.

Feltri non può nemmeno scrivere?

Feltri ha acquistato delle azioni di Libero, con l’idea – condivisa da Belpietro – di rifondare il quotidiano partendo anche dalla proprietà. Non era solo un editorialista, e non solo un direttore editoriale: era un editore, un comproprietario. I suoi accordi ovviamente erano blindati e ora rischia di dover pagare una penale molto ma molto salata, visto che è ripassato dall’altra parte peraltro senza neppure avvertire, negando sino all’ultimo.

Ma allora c’è un multone che pende sul capo di Feltri?

Non è mica un segreto. Tutto sta a che cosa vorranno fare a Libero, dove una volta glie l’hanno perdonata – cioè quando di punto in bianco se ne andò senza preavviso, nell’estate 2009 – ma ora mi risulta che siano piuttosto incazzati, forse si spiegano anche i suoi toni cortesi e il suo apparente gentlemen agreement a margine del distacco. Il che può anche starci, intendiamoci, anche perché il ruolo direttivo di Belpietro in realtà non è mai stato messo in discussione: l’automobile a doppia guida di cui ha parlato Feltri in realtà la guidava Belpietro e basta, secondo me. Ora se Feltri è sceso senza sbattere la portiera ha i suoi buoni motivi, come detto.

Insomma è il rischio di smenarci quattrini che spiegherebbe i toni soft, caramellosi, dell’ addio.. Sarà, ma infine perché Feltri non ti piace?

I motivi sono molti, adesso però non voglio insistere sul personale, pare brutto, non voglio sembrare solo un livoroso. Andando oltre, credo che Feltri rappresenti, al cubo, certi enormi problemi di cui soffre il PDL.

Quali problemi?

Il ritardo culturale della classe politica del PDL, e dei giornalisti intrisi di feltrismo, si fa sempre più grave: è un ritardo che misura la distanza fra la realtà che si evolve e le ricette proposte per affrontarla. I ferri su cui si batte sono sempre gli stessi: gli immigrati, i rom, i delinquenti, i soldi, la grana, abbassare le tasse… gli stessi temi da dieci, vent’anni. I riflessi condizionati e i titoli di giornale, come gli slogan politici, alla fine sono sempre quelli: ma il mondo si muove, cambia. E’ evidente a chiunque abbia l’accortezza di spostarsi anche di pochissimo dalla linea di tiro del cannone. E’accaduto a Milano con Pisapia, che conosco da tempi non sospetti e che stimo come persona intelligente e accorta. Ripeto quello che dissi alla conferenza stampa del nuovo Libero con Feltri: abbiamo un Paese dove il popolo di centrodestra è comunque sterminato – il cinquanta per cento e più degli italiani – e che però spesso legge altri giornali mentre Libero e il Giornale litigano per un pugno di lettori. E’ normale? E’ un successo? Io non ho ricette magiche, ma credo proprio di no, e la disastrosa campagna mediatico-politica delle amministrative lo dimostra.

Ma scusa, più che Feltri – che comunque stava in un Libero più autonomo da Berlusconi – nel mirino del fuoco amico di centrodestra è sembrato Alessandro Sallusti, con il suo Giornale che ha amplificato gli affondi della Santanchè, di Stracquadanio, e dei front-men della destra più muscolare.

Io credo che Sallusti sia un buon direttore, uno che sa il fatto suo e che è divenuto un personaggio ben riconoscibile, il che nel nostro mondo è fondamentale. Credo e mi risulta che il suo ruolo sia ben saldo, anche se mi dicono che quest’ennesimo ritorno di Feltri – dovuto alle preghiere dello stesso Feltri a Paolo Berlusconi – lo abbia decisamente patito. L’idea che Sallusti debba saltare dalla direzione, per alcuni aspetti, la trovo ridicola: la linea politica di Sallusti è la linea di Berlusconi, quindi, se Berlusconi volesse punire Sallusti, dovrebbe allora punire anche se stesso, come se la mia gamba tirasse un calcio all’altra.

Ma se è come dici tu, allora quel Berlusconi più moderato e più democratico, il Berlusconi che fa le primarie, che fa un passo indietro o a latere per il bene del Partito e del Paese, insomma il Berlusconi che vorrebbe Giuliano Ferrara, non esiste.

Quale Berlusconi voglia Giuliano Ferrara non l’ho ben capito, ma forse è colpa mia. Resta che non esiste un Berlusconi più democratico, e non esiste, finchè c’è Berlusconi, la possibilità di un partito realmente diverso da quello che era e resta un comitato elettorale. Questa cosa delle primarie poi è comica: non si capisce neppure per che cosa verrebbero indette, le primarie: per rieleggere Berlusconi? Altro finale non mi viene in mente. Il punto è che ciò che non va più bene, nel PDL, è esattamente ciò che è andato bene per 17 anni. Quindi o rifanno da capo un’altra cosa o, credo, si andranno ad avvitare e poi a schiantare molto in fretta.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera