Cara Stefania Craxi
Cara Stefania Craxi,
quello che hai detto in un’intervista, ieri, potrebbe anche essere vero: che Berlusconi sia effettivamente bollito, che debba prepararsi a un passo indietro e che tuo padre Bettino avrebbe pensato a una stagione nuova: ma l’avrebbe solo pensato, non detto. Non ora, almeno. Potrebbe essere tutto vero: che le barzellette hanno rotto le palle, che il Premier dovrebbe uscire di scena evitando il ridicolo, che forse è vecchio per il Quirinale, che il privato è sacro ma le festicciole fanno pena, tutto il resto. Ma ti spiego una cosa, e la spiego a chi – tu – conosce Craxi indubbiamente come padre ma forse meno come politico, visto che alla materia sei arrivata tardi. La cosa è questa: Bettino Craxi pensava che un uomo, figurarsi un amico, viene prima di qualunque idea; pensava che le critiche anche feroci si fanno immediatamente prima o immediatamente dopo una guerra, mai durante, e mai soprattutto durante una battaglia che pare definitiva. Di questo sono abbastanza certo: Craxi pensava che gli amici non si tradiscono, o meglio: che si devono attaccare nei loro momenti di forza e non di difficoltà. Altrimenti il rischio è quello di sembrare – e non lo meriti, Stefania – in fase di auto-ripulitura, non coraggiosi. Non dire quello che avrebbe fatto o detto tuo padre: perché non avrebbe fatto o detto niente del genere. L’esempio storico più eclatante, a volerne cercare uno senza impegno, rimane il suo comportamento con Francesco Cossiga all’inizio degli anni Novanta: mezza Italia diceva che era pazzo – non solo il Pci e la magistratura, ma anche tutta la direzione nazionale del Psi – ma Bettino fu leale e non lo mollò mai, perché questo era l’uomo. Fu uno dei tanti comportamenti di Craxi che non fu ripagato: Cossiga si dimise all’inizio del 1992 e rifiutò implicitamente l’incarico di primo ministro a tuo padre, ma questo fa parte della triste parabola di Bettino Craxi.
Con un po’ di immaginazione cervellotica, Stefania, si potrebbe pensare che la tua sia una vendetta scespiriana: aver aspettato anni e anni prima di colpire tragicamente e al momento giusto. Ma dubito che la tua intenzione fosse questa: penso solo che tu abbia fatto un errore, questo sì tragico. Anche perché – lo dico senza ironia, se puoi credermi – le vendette scespiriane in genere non si fanno da sottosegretario agli Esteri del governo Berlusconi, ma al limite nel dimettersi dalla stessa poltrona. Nessuno metterebbe in piedi una vendetta così raffinata per poi aprire a Casini, come fai tu nella tua intervista: questo dopo mesi passati, appunto agli Esteri, a non operare dei distinguo memorabili rispetto alla linea del ministro Frattini; e dire che non ci voleva molto.
Ecco perché la tua intervista non ha senso, Stefania: perché non è logica, non è craxiana, non è bella, non è politica e soprattutto è sfacciata. Ancora una volta è l’intervista di una figlia piangente, Stefania. La figlia di un grande uomo – sai come la penso – che però è morto. Lo è, Stefania. Neppure tu puoi più farlo parlare.