Un lunghissimo rito immediato
Non è difficile prefigurarsi come sarà incardinato il processo che comincerà il 6 aprile. Tutto comincerà dalla famosa telefonata del 27 maggio 2010, quando Silvio Berlusconi telefonò in questura, a Milano, come lo stesso premier non ha mai negato di aver fatto. La qualificazione della telefonata, però, è stata e resta fondamentale per individuare il reato e la competenza di chi deve giudicarlo: secondo la procura, quella notte, Berlusconi non chiama nell’esercizio delle sue funzioni (perché i capi di governo non si occupano della liberazione di giovani marocchine) e tuttavia fa valere il peso del suo potere: perciò – ha confermato il gip – il tribunale dei ministri non c’entra. Una versione, questa, contestatissima e soggetta a vario dibattito: sicuramente la difesa – o meglio, la Camera – potrebbe sollevare un conflitto di attribuzione da rivolgere alla Corte Costituzionale.
Ma torniamo al processo e alla telefonata: è appurato che Berlusconi quella notte chiama Pietro Ostuni, il capo di gabinetto del questore, che è nella sua casa di Sesto San Giovanni: ma non è qui che si consuma reato bensì in questura, a Milano, dove un vorticoso giro di telefonate prosegue sino alle due di notte. Essendo milanese il reato più grave, il medesimo ha trascinato con sé anche la prostituzione minorile che invece ci sarebbe stata ad Arcore, sede giudicata dal tribunale di Monza: questa almeno è la linea avallata dal rito ambrosiano, ciò che i legali contestano e contesteranno duramente; l’articolo 453 del Codice nonché una sentenza della Cassazione, infatti, escludono che per la prostituzione minorile si possa ricorrere al rito immediato, anche se connesso a un altro reato. Ma ogni dubbio, in tal senso, potrà essere sciolto dalla Cassazione solo molto più avanti, dopo i primi due gradi di giudizio rigorosamente meneghini.
Proseguiamo col giro di telefonate, sulle quali Ilda Boccassini si soffermerà a lungo con tabulati e testimoni. Il verbale di Ostuni, che il medesimo in aula sarà chiamato a confermare, dice così: «Berlusconi mi disse che in questura c’era una ragazza nordafricana che gli era stata segnalata come nipote di Mubarak e che un consigliere parlamentare, la signora Minetti, si sarebbe fatta carico di questa ragazza». Nota: non essendo chiaro il ruolo della Minetti, alcuni testimoni l’hanno indicata come «consigliere ministeriale». Secondo l’accusa, la raccomandazione di Berlusconi a quel punto produce, a cascata, una serie di comportamenti «contrari ai propri doveri d’ufficio» le cui vittime sarebbero i funzionari della questura: perciò il Ministero dell’Interno è considerato parte lesa. Questo anche se i medesimi funzionari, a tratti, potrebbero sembrare più complici che vittime: hanno negato d’esser stati concussi, e i legali della difesa – come pure Berlusconi in un messaggio televisivo del 19 gennaio – giudicano risibile che possano essersi sentiti minacciati. Le indagini difensive in tal senso di sono soffermate su alcuni agenti che hanno negato ogni presunta pressione, ma l’accusa a quel punto potrebbe produrre delle carte a sorpresa: si parla di una circostanziata denuncia partita proprio negli ambienti della questura.
L’accusa in ogni caso mostrerà i tabulati con un giro convulso di telefonate partite dopo la mezzanotte e a seguito della chiamata di Berlusconi: e che riguardano il questore, il dirigente dell’Ufficio Prevenzione e la funzionaria che stava identificando Ruby, Giorgia Iafrate, protagonista di dodici chiamate fatte e ricevute sino alle due di notte. Probabile che il pm chieda perché nessuno abbia cercato di contattare anche l’ambasciata egiziana, visto che si parlava di una nipote di un primo ministro. Ma è più rilevante un altro punto cardine: cioè il ruolo del pm minori Annamaria Fiorillo, che fu contattata dalla questura per competenza e che ha risolutamente negato, a margine di almeno sette telefonate ricevute, d’aver mai autorizzato la liberazione di Ruby e, soprattutto, che le abbiano mai detto dell’interessamento di Berlusconi alla vicenda. Altri testimoni tra i quali la Iafrate – che scrisse una contestata relazione per il ministro Maroni – avevano sostenuto che la Fiorillo semplicemente ricordava male, e che l’avevano avvertita eccome: da qui, dapprima, la discussa valutazione del procuratore Edmondo Bruti Lìberati quando disse che quella notte non vi erano state irregolarità da parte di nessuno. L’accusa, a processo, è probabile che produca tuttavia una registrazione recuperata in un secondo momento: quella, obbligatoria per legge, di tutte le chiamate che passino dal 113 della questura, e che proverebbero come la Fiorillo fu sostanzialmente tenuta all’oscuro di tutto, anzi, che le sue precise disposizioni su Ruby furono disattese. La ragazza, secondo lei, doveva essere affidata a una comunità o fermata in questura, e basta. Invece se la portò via Nicole Minetti che poi la consegnò subito a un’amica brasiliana di dubbia professione, colei che secondo l’accusa, per prima, avvertì Berlusconi che Ruby era stata fermata. Tutto questo, secondo il gip, ha costituito «evidenza della prova» e ha consentito di saltare l’udienza preliminare che è propria di un procedimento normale, perché Berlusconi avrebbe agito «ottenendo per sé e per la minore un indebito vantaggio non patrimoniale».
Di seguito c’è da sciogliere un altro nodo che introduce peraltro la seconda ipotesi di reato, senz’altro meno «evidente» e più indiziaria. La domanda è: Berlusconi, al momento della chiamata in questura, sapeva che Ruby era minorenne? I pm evidenziano una «prova logica» più alcune testimonianze: se non l’avesse saputo, anzitutto, non c’era ragione di chiedere a Nicole Minetti che Ruby le fosse data in affido; inoltre la funzionaria che si occupava dell’identificazione, Giorgia Iafrate, ha messo a verbale che «il dottor Ostuni mi disse che la ragazza era l’unica minore presente in questura». E Ostuni come faceva a sapere che era una minore? L’ha messo anche lui a verbale: «Nel corso della telefonata con il premier, era implicito che si parlasse di una minorenne perché si parlò di affido di una persona priva di documenti».
Eccoci specificamente all’accusa di prostituzione minorile. Repubblica ha fatto un gioco poco pulito e ha finto di possedere dei verbali di Ruby che in realtà non aveva: i virgolettati, infatti, non sono testuali e corrispondono più o meno, con qualche arricchimento, al racconto che tutti i giornali già pubblicarono nell’ottobre scorso, Repubblica in primis, tutte cose che comunque i cronisti già conoscevano e attendevano di far proprie attraverso delle carte ufficiali. Ciò non toglie che i contenuti, buttati lì, corrispondano probabilmente a una parte (una parte) di quanto Ruby ha messo effettivamente a verbale, ma la verità è che, mentre scriviamo, quei verbali non li conosce bene ancora nessuno, e corrispondono semmai a un’altra delle carte a sorpresa che l’accusa cercherà di giocare a processo, forse assieme a qualche intercettazione indiretta di Berlusconi sulla linea di qualche ragazza. Ruby, comunque, tra cento altre versioni, dichiara che Berlusconi le diede 50mila euro (150mila, secondo altre fonti) e che il 14 febbraio 2010, ad Arcore, ancora minorenne, confessò la sua vera età a Berlusconi il quale le avrebbe risposto, più o meno: «Dirai che sei la nipote di Mubarak, così potrai giustificare le risorse che ti metterò a disposizione». Cioè bonifici, regali, affitto gratis eccetera. Anche questa sarebbe una «prova evidente», secondo il gip di Milano: quella del tentativo del Premier di far rilasciare la giovane dalla questura così da impedirle di svelare i misteri del bunga bunga. Oltre a questo, i pm hanno prove di regali e versamenti, testimonianze, intercettazioni (più che contraddittorie) e l’analisi delle celle telefoniche che prova la molteplice presenza di Ruby ad Arcore: ma la famosa pistola fumante continua a non esserci, perché nessuno – neanche Repubblica – mette nero su bianco che Ruby e Berlusconi abbiano mai avuto rapporti sessuali, tantomeno lei. Secondo Repubblica, male che sia andata, Ruby avrebbe detto che Berlusconi le avrebbe al limite «proposto» di fare sesso. Ma poi, dopo aver specificato che comunque di sesso non ne hanno mai fatto, lei stessa racconta che Berlusconi la congedò dicendole che si sarebbero potuti rivedere solo quando fosse diventata maggiorenne.
Non mancano altre contraddizioni che la difesa è pronta a far sue. L’unica «testimone oculare» di rapporti sessuali tra Ruby e il cavaliere è naufragata miseramente: la mitomane Nadia Macrì. Dopodiché Ruby ha sparato senz’altro una marea di panzane. Ha detto che durante l’ultimo incontro ad Arcore si è ritrovata a cena con George Clooney ed Elisabetta Canalis e Daniela Santanché: ha parlato di un cerimoniale condiviso da «un lungo elenco di nomi celebrati e popolari, in televisione o in Parlamento… Io ero la sola vestita»; aveva pure citato «conduttrici televisive celebri o meno note, star in ascesa, qualcuna celeberrima, starlet in declino, qualche velina, più di una escort, ragazze single e ragazze in apparenza fidanzatissime, due ministre». Due ministre. Nude. Sarà difficile, per la procura, dimostrare che la credibilità di Ruby funzioni a intermittenza.