Un problema di arredo urbano
Sì alle escort e no alle battone, anzi no, non viene neanche più da fare battutacce: se Berlusconi ha scelto questi giorni per proporre un «reato di prostituzione» è perché evidentemente ha coraggio, coraggio vero, altro che «due pesi e due mignotte» e volgarità del genere. Il presidente del Consiglio in persona – non altri – ha annunciato un giro di vite contro la prostituzione il cui vero obiettivo sembrerebbe il rimpatriare le lucciole che non ottemperano al foglio di via: un pretesto come un altro per esercitare l’allontanamento coatto – e sin qui si potrebbe anche capire, pur senza condividere – ma che si presta comunque a due o tremila contraddizioni. Ha detto infatti il premier: «Avendo constatato che il reato di prostituzione che avevamo preparato mesi fa non è andato avanti, abbiamo deciso di riprendere quella norma». Il riferimento è al disegno di legge Carfagna che anzitutto non risale a «mesi fa» ma a due anni e due mesi fa: introduceva il reato di «prostituzione in luogo pubblico» e prevedeva l’arresto da 5 a 15 giorni più una multa sino a tremila euro: per le prostitute ma anche per i clienti; era infine previsto – ma quello c’era anche prima – un inasprimento delle pene legate alla prostituzione minorile. In secondo luogo, era una legge non priva di una sua «etica» di fondo che il ministro Carfagna espresse così: «Sono assolutamente contraria a qualunque forma di regolarizzazione e legalizzazione della prostituzione perché offende la dignità delle donne. La linea del governo è quella contenuta nella legge che porta la mia firma e che ha l’obiettivo di contrastare la prostituzione e non di regolarizzarla».
La parte più importante della legge probabilmente fu scritta dai ministri Maroni e Alfano, che ne regalarono tuttavia la paternità a una nota favorita di Berlusconi. Lo schiavismo e il racket delle minorenni è un tema di ordine rigorosamente pubblico, di polizia: non è ben chiaro che cosa c’entrassero le Pari Opportunità, a meno di riferirsi alle pari opportunità che prostitute e clienti, ora, avranno di essere arrestati. Per capire l’assurdità della legge basterebbe qualche numero: le stime dicono che prostitute di strada siano circa centomila e c’è da immaginare, se ciascuna avesse anche solo una decina di clienti, di poter arrestare potenzialmente un milione di persone. Che poi in concreto non finirebbe dentro nessuno: per totalizzare anche solo tre anni di carcere – soglia dopo la quale si finisce effettivamente dentro, senza condizionale e dintorni – ci vorrebbero almeno una settantina di condanne, e perché che cosa, alla fine? Per finire dentro 15 giorni al massimo. Chiamasi legge all’italiana.
Ma a parte questo, vediamo di capire. E diamo per appurato che tra le massaggiatrici della Protezione civile, i transessuali di via Gradoli, certe attricette della Rai, certe ragazze di Lele Mora, certe escort del barese e certe festicciuole del Premier (eccetera) c’è un solo mercato che non conosce crisi: quello. Si parla di una professione che in Italia è legale e che solamente una minoranza ormai esercitata in strada: infatti la maggioranza, oltretutto sganciata da qualsiasi racket, lavora in casa propria e con approcci via internet e via telefono. Ma questo dalle parti del governo non l’hanno capito, o l’hanno capito e non gliene frega niente perché hanno deciso che la prostituzione sia un problema di arredo urbano. Se ascoltate chi se ne intende – non i frequentatori, ma per esempio il Gruppo Abele, la onlus di don Luigi Ciotti che opera dal 1965 – ti confermano che il problema semmai è proprio la prostituzione al chiuso, l’appartamento, la casa isolata, il circolo dove si può violare meglio chi è fragile e sfruttato, e dove anche le minorenni sono le più indifese per l’impossibilità di ricorrere a qualsiasi aiuto.
Ma, anche senza essere specialisti, basta essere un minimo logici per chiedersi semplicemente per quale ragione migliaia di persone, che svolgono un mestiere legale ma non legalizzato, non dovrebbero anzitutto pagare le tasse: come accade in altri paesi occidentali meno ipocriti del nostro. Dai 53 anni che ci separano dall’abrogazione della Legge Merlin, invece, la classe politica e la società civile non hanno voluto mai seriamente occuparsi di un problema che a quanto pare imbarazza tutti; il giro di soldi rappresentato da questa branca del terziario irrinunciabile per tanti elettori – ed eletti, a quanto pare – viene ritenuto troppo scabroso. Di fatto c’è un Paese che fa spallucce di fronte allo scudo fiscale, che consente di ripulire e di far rientrare del denaro illegale, e poi c’è un altro Paese che da 53 anni rifiuta di incassare del denaro legale: quello delle prostitute, o trans, o escort, o come volete chiamarle, in fondo dipende solo dalla tariffa o – se passa la legge – dal luogo di esercizio. Si tratta di decidere, in definitiva, se sia più immorale che una prostituta paghi le tasse oppure che non le paghi.
Il resto è sociologia. Il villaggetto globale riluce di ragazzette disposte a qualsiasi cosa per denaro e celebrità (e anche di uomini disposti a vendersi in altri modi) e ormai è saltata ogni maschera, ogni commedia, il mercato è decisamente a cielo aperto: ma siamo un Paese che resta cementato a un’ipocrisia profonda, storicamente e culturalmente radicata, inguaribile, ormai codificata. A regnare incontrastato resta non il diritto positivo, ma il diritto naturale, gli usi & consuetudini, il celeberrimo «si fa ma non si dice». Per intanto una cosa è certa: si fa. E si farà.