Cosa non va nello spot anti-euro del M5S (musica a parte)
Negli ultimi giorni in molti si sono divertiti a parlare male del video anti-euro del Movimento 5 Stelle, che pare essere circolato più attraverso i canali dei suoi detrattori che per quelli dei suoi promotori.
In questo post vorrei provare ad analizzare questo lungo spot che pare non piacere a nessuno. Dopo essermi divertito col disco che pare piacere a tutti (me incluso), mi sembra un giusto contrappasso.
Nota: negli ultimi giorni lo spot è stato fatto sparire dai suoi promotori, non perché a loro non piacesse, ma per una mera questione di copyright: nel video è stato utilizzato un brano di Ludovico Einaudi senza autorizzazione come colonna sonora.
Per fortuna ne è rimasta traccia su YouTube.
Qui non si parla di politica
L’argomento, come tutto ciò che riguarda l’universo grillino (notoriamente ipersuscettibile e spesso foriero di risse da bar), è spinoso e richiede un po’ di premesse cautelative.
La prima è una rassicurazione: in questo post non intendo giudicare lo spot dal punto di vista politico. La seconda è una scrematura: trascurerò tutte le critiche emerse in rete per antipatia politica nei confronti del movimento di Grillo e Casaleggio ed eviterò come la peste il tono da “voi siete gli scemi del villaggio” con cui molti affrontano l’universo grillino.
Quella parte politica chiede di essere presa sul serio ed è giusto farlo, almeno qui.
Alte aspirazioni, bassa qualità
E allora prendiamo sul serio questo spot – che non è esattamente uno spot canonico, vista la sua durata fuori standard di 2 minuti e 30 secondi.
Dal punto di vista formale non posso che concordare con le critiche trovate online: è girato e fotografato in modo approssimativo e manca di ritmo. La cosa di per sé non dovrebbe scandalizzare: è fatto in casa da un movimento politico e non da professionisti della comunicazione.
Pur essendo artigianato fatto da volontari, però, lo spot grillino ha pretese alte. E qui casca l’asino.
Il video cerca di raffigurare una narrazione complessa, con un “prima” e un “dopo” attraverso un flashback. E lo fa con uno spot in gran parte muto, quindi molto dipendente dalla qualità delle immagini e della recitazione. In più, il tono della narrazione è serissimo ed enfatico, senza un milligrammo di ironia: la drammatica musica di Ludovico Einaudi è stata scelta proprio per ottenere questo effetto.
Purtroppo il conflitto tra aspirazioni e resa genera spesso comicità involontaria. Anzi, per dirla con Tommaso Labranca, genera trash, visto che è evidente che lo spot grillino rientra in modo perfetto nella sua celebre definizione: “emulazione mancata di un modello alto”. È chiaro il tentativo di ispirarsi ai grandi spot pieni di enfasi che periodicamente hanno successo a livello globale e che di norma sono prodotti con investimenti faraonici in creatività e produzione.
A puro livello estetico, quindi, la campagna grillina esibisce quell’aura amatoriale grama (ce n’è una bella, invece, dove il regista è in grado di costruire una poetica con mezzi poveri, penso ad alcune cose di Pasolini o al sottovalutato Augusto Tretti) che ricorda le parti non copulanti dei film porno – quelle su cui Eco scrisse un’epica Bustina di Minerva – o direttamente la Telenovela Piemontese resa famosa dalla Gialappa’s Band in Mai Dire TV.
Come le diete, ma al contrario
Proviamo a mettere da parte l’aspetto puramente formale dello spot ed entriamo nel merito della sua narrazione e del suo messaggio. Torniamo all’abc, peraltro tagliato con l’accetta, ma come avrete intuito l’universo grillino non brilla per attenzione al dettaglio.
Il fine di un’attività di comunicazione, prendendola larga, è contribuire al successo della marca (o in questo caso un partito).
Questo può essere fatto attraverso un messaggio che abbia un senso – cioè sia comprensibile immediatamente dal maggior numero possibile di persone appartenenti al target desiderato – e in più abbia una funzione, cioè stimoli un’azione – pratica o ideologica – da parte dei destinatari.
La narrazione dello spot grillino segue uno schema classico “prima vs dopo”. È un modello narrativo molto utilizzato in pubblicità: si evidenziano e si rendono funzionali alla propria causa le differenze tra un brutto “prima” e un bel “dopo”, con l’intervento del prodotto/servizio pubblicizzato a fare da discrimine tra i due momenti.
Insomma, il classico schema “non mi filava nessuna, poi ho comprato XYZ e ora devo respingere le donne con lo sfollagente”.
Nel caso dello spot del Movimento 5 Stelle, però, la narrazione è al contrario: “come stiamo male, ora che abbiamo l’euro! Ai tempi della Lira stavamo benissimo. Quindi torniamo alla lira!”.
Al di là del rovesciamento di uno schema tradizionale, con tutti i rischi che comporta, il problema dello spot è che non fa vedere elementi forti a supporto della sua narrazione. Cioè, in 2 minuti e mezzo di spot non ho visto cose e ragioni che diano sostanza alla tesi dello spot.
Lo spot, passo dopo passo
Provo a spezzettare il messaggio e ad analizzarlo per parti.
“Come stiamo male, ora che abbiamo l’Euro”.
La rappresentazione del dolore, della povertà e del disagio causati dall’Euro è liquidata in pochissimi secondi: si vede il protagonista, vestito normalmente, che – con una recitazione alla “Occhi del cuore” – fa una faccia un po’ triste e poi, di fronte a una delle fontane di Piazza Farnese, getta una moneta da un euro come se volesse esprimere un desiderio.
Onestamente, è un po’ poco. Sta a noi spettatori riempire il vuoto narrativo lasciato dagli autori dello spot. Il problema è che dobbiamo fare tutto noi, visto che nulla dice che il protagonista sia povero (anzi, si permette di buttare un euro intero in tempi di crisi!), sia senza lavoro, abbia una ridotta capacità d’acquisto o chissà cos’altro di politicamente utile a rappresentare il concetto di crisi. Potrebbe tranquillamente essere uno che è triste perché boh, gli è morto il gatto o la sua squadra del cuore ha perso.
Insomma, ci sono troppe premesse sottintese.
“Ai tempi della Lira stavamo benissimo”
Questo concetto è il cuore dello spot e, pare, il suo focus. L’intenzione degli autori è rappresentare l’Italia prima della cura (a loro detta fatale) dell’Euro.
Qui i creativi che hanno pensato lo spot hanno peccato di modestia. La pubblicità tende a essere a grana grossa, di solito ragiona per iperboli e sineddochi e raramente conosce mezze misure. Quindi non c’è spazio per rappresentare gioia, felicità e sicurezze moderate: o le raffiguri alla grande o non passano.
Di fatto nello spot si vede il protagonista che compra un caffè, va dal barbiere, acquista un libro (di carta) in libreria e infine va al ristorante con la fidanzata, consumando un aperitivo fatto di qualche tartina e una bottiglia di vino in due. E paga tutto in lire, a occhio al cambio degli anni Novanta.
Il problema in questo caso è che non è ritratto un passato perduto meraviglioso: quelle raffigurate sono tutte azioni normali, che si fanno anche adesso che paghiamo in Euro e non definiscono uno scenario particolarmente appetibile, né come fascino, né come serenità. L’unico elemento straordinario è il fatto che il protagonista mangia il finger food con forchetta e coltello, ma archiviamo la cosa alla voce “cattiva messa in scena”, come lo scontrino fatto a mano presentato dal cameriere a fine aperitivo.
Se volevano farci venire la nostalgia dei tempi della Lira, sono andati troppo sul leggero: hanno raffigurato un mondo così normale da non incontrare le aspirazioni della maggior parte delle persone.
“Torniamo alla Lira!”
Questa è la parte più critica dello spot, quella in cui si tirano le fila e arriva, esplicito, il messaggio.
La magia, infatti, qui si rompe: la scena totalmente muta dei circa 2 minuti precedenti (un po’ tirata per le lunghe, a essere sinceri) viene interrotta dall’arrivo degli stivali di Paola Taverna, parlamentare grillina nota per i suoi modi non esattamente da college svizzero.
La Taverna raccoglie la moneta da un euro lanciata dal protagonista (che aveva sbagliato mira, centrando l’asfalto e non la fontana) e si lancia in una rapidissima filippica: “Stiamo realizzando il tuo sogno di uscire dall’Euro, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto”. E poi parte la call-to-action che invita a firmare il referendum anti-Euro del Movimento 5 Stelle (che peraltro non è un referendum) e tutto si chiude con il povero protagonista che si ritrova mille lire di carta in mano al posto della moneta da un euro che aveva buttato.
(e se non avessi scritto le premesse in apertura del post, ora starei facendo una battuta su “uno vale uno” applicato al cambio Euro-Lira praticato nello spot).
Qui lo spot perde qualsiasi valore, per ragioni molteplici. Sgombriamo subito il campo da quelle estetiche, che pure ci sono: la rottura del silenzio dello spot muto e il mix tra il modo in cui è presentata in scena Paola Taverna (inquadrata a partire dagli stivali, modello eroe) e la pessima recitazione e performance vocale di quest’ultima rendono il tutto fuori luogo e ben poco gradevole. Ma questo è il problema minore.
Il vero errore si annida nel senso delle parole della parlamentare grillina: “Stiamo realizzando il tuo sogno di uscire dall’Euro”.
La narrazione, in questo caso, sbaglia sogno. La gente, anche quella in crisi, non sogna di “uscire dall’Euro”. Sogna semmai di stare bene, di essere economicamente serena, di avere più potere d’acquisto. Uscire dall’Euro, restando nell’ottica grillina, semmai è uno strumento per ottenere tutto questo. Ma non è il fine, è il mezzo. Confonderli, nell’economia di uno spot, è gravissimo e fa saltare tutto.
Il video grillino, insomma, non si concentra sul benefit (che di solito nelle campagne di questo genere è di tipo emozionale) ma sullo strumento che teoricamente lo dovrebbe garantire, il che equivarrebbe a dire “compra questo deodorante, perché così realizzerai il sogno di avere questo deodorante”.
Perfino le pubblicità più apertamente di prodotto si focalizzano sul benefit garantito al consumatore e non sul prodotto stesso, che semmai ne è ente abilitante: “compra questo deodorante, così saprai di fresco tutto il giorno e potrai fare il cascamorto con successo con la vicina di casa sexy”.
Ok, ma allora a cosa serve questo spot?
Uno spot fatto cercando di copiare idee e mood a pubblicità di successo, realizzato con regia, fotografia e recitazione degne dei video di una cresima e viziato gravemente nel suo messaggio non serve a niente.
Gli spettatori devono dare per scontati troppi passaggi, fare troppi sillogismi e sorvolare su troppe incongruenze e ingenuità produttive per riuscire a raccogliere un messaggio motivato e farlo proprio.
Ho il timore che gli unici che riescono a capire fino in fondo lo spot grillino sono quelli che conoscono già la posizione del Movimento 5 Stelle sul tema euro e che in virtù di questo hanno ragionevolmente già un’opinione in merito.
D’altronde è uno spot che non funziona dal punto di vista del fascino (perché non ritrae un “prima” e un “dopo” sufficientemente efficaci) ed è quasi nullo sotto l’aspetto dell’argomentazione, visto che dà per scontato (e quindi non dimostra, non accenna, non motiva) l’assunto che con la Lira si stia meglio economicamente e la conseguenza che col ritorno della Lira si torni a stare di nuovo bene.
Uno spot che capiranno solo i grillini e i non-grillini politicamente già informati e con le opinioni già formate ha un solo effetto, al di là dello spreco di banda: conferma le opinioni a chi già le ha. Per il resto non sposta voti e coscienze, confermando l’ipotesi secondo la quale il Movimento 5 Stelle ha seri problemi di efficacia in tutti i campi.