Nadal e la Monna Lisa
Capita che se vai a Parigi un salto al Louvre lo fai. Prenotazione o coda, una giornata al museo per eccellenza la dedichi. Poi, vuoi mettere, la Monna Lisa! Almeno una volta nella vita bisogna vederla. Zaino in spalla, macchina fotografica e via verso Leonardo. Che poi, se ci pensi, la Monna Lisa nella vita l’avrai vista milioni di volte. Sui libri, sulle magliette, sulle tazze, sui poster, magari persino sulla carta igienica. Però vuoi mettere l’originale? Poco importa che tutto attorno al Louvre di Monna Lise ce ne siano in vendita a migliaia, quella che conta è dietro un vetro, attaccata ad un muro.
Capita che se vai a Parigi un salto al Parco dei Principi lo fai. Prenotazione o coda, una giornata al tennis su terra rossa per eccellenza la dedichi. Poi, vuoi mettere, Nadal! Almeno una volta nella vita bisogna vederlo. Zaino in spalla, macchina fotografica e via verso il Roland Garros. Che poi, se ci pensi, Nadal nella vita l’avrai visto migliaia di volte. In televisione, sui giornali, su internet, nelle pubblicità, ecco, magari non sulla carta igienica. Però vuoi mettere l’originale? Poco importa che tutto attorno al Roland Garros di tennisti ce ne siano a centinaia, quello che conta è sul campo centrale con il trofeo del vincitore tra i denti.
È la sottile distinzione tra l’arte e la noia, tra il sublime e il pacchiano, tra l’unico e la copia. Nadal che vince il suo ottavo Roland Garros in nove partecipazioni è talmente assurdo, sportivamente parlando, che rischia facilmente di scivolare dall’impresa incredibile che è alla routine del «tanto vince sempre lui». La soporifera finale contro Ferrer, cui neanche le ridicole proteste omofobiche inscenate da scalmanati mascherati sono riuscite a dare un’anima, è solo un episodio inevitabile causato dalla rigidità della compilazione dei tabelloni. Se la semifinale contro Djokovic fosse stata la partita che assegnava il titolo, staremmo ora parlando di un’impresa nell’impresa, di una delle partite migliori di sempre. Il dominio sulla terra rossa di Rafael Nadal va oltre i suoi 27 anni appena compiuti. È un dominio che cambierà per sempre la percezione del tennis sul rosso. Se i francesi decidessero di rinominare il torneo Rafael Garros sarebbe solo metà di quanto andrà riconosciuto allo spagnolo a fine carriera.
A qualcuno Nadal non è simpatico. Forse è troppo modesto, forse è troppo timido per essere popolare come Federer. Magari se iniziasse a dire con orgoglio che il più forte sulla terra, e forse non solo, è lui, le cose cambierebbero. Gli occhi di Nadal sono perennemente immersi in una velata tristezza, il suo sorriso spontaneo appare solo nelle foto più personali, le sue risposte sono sempre pacate, pronte a minimizzare, a cercare una spiegazione, a razionalizzare. Di lui manca il lato spaccone, goliardico, folle del campione. Nadal è sempre un signore, talmente educato da allungare la mano alla guardia del corpo che lo afferra durante l’invasione di campo della finale per ringraziarla, talmente disponibile da aver reso praticamente senza valore il suo autografo, talmente professionale da non mancare mai sui campi d’allenamento. È il paradosso Nadal: difficile trovare qualcuno che ne parli male tra gli addetti ai lavori, molto meno complicato farlo tra gli appassionati di tennis.
Poi c’è il ginocchio. Quella maledetta articolazione che ciclicamente blocca Rafa per mesi, facendo temere che la sua carriera sia a rischio. Non aveva ancora compiuto vent’anni e già si scriveva che uno come Nadal, con quel gioco usurante, così dispendioso, non sarebbe diventato vecchio sui campi da gioco. Eppure ogni volta che si ferma lo spagnolo torna più forte. A febbraio ha interrotto quasi 7 mesi di inattività e da allora ha raggiunto al finale in tutti i tornei disputati perdendone 2 e vincendone 7. In classifica, paradossi della matematica, con la vittoria di Parigi perde una posizione, ma il suo attuale 5° posto in proiezione di fine anno si trasformerà quasi certamente nel numero 1 del mondo.
È il destino dell’arte. Il bello ha bisogno di ripetersi per perpetuarsi, per diventare immortale. Ogni volta che vince Nadal Monna Lisa sorride un po’ di più.