Olek’s Appeal: Injustice Anywhere Is A Threat To Justice Everywhere
Tre anni fa, più o meno oggi, scrissi il testo di un piccolo progetto pilota: sehnsucht-live TV. Questo progetto voleva portare alla luce la vita e la ricerca di artisti poco conosciuti al tempo della scena newyorchese oltre oceano. Voleva soprattutto cogliere un segnale molto forte, un segnale che io stesso sentivo il bisogno di imparare ad emettere successivamente, e parlare di artisti attivi, determinati ad esprimersi e trovare il proprio percorso, con una tensione creativa costante nonostante ogni genere di cosa che fosse d’impiccio e la crisi che proprio in quei mesi stava colpendo in modo molto duro gli Stati Uniti.
Non avevo mai diretto delle riprese, delle persone, collaborato con un cameraman (una delle persone -anche se ci vediamo di rado- a cui sono più affezionato tra i miei amici, Nicolas Pezzarossi -che nel frattempo con la sua compagna ha avuto un figlio, il piccolo Ettore, e di recente è andato a filmare le convention dei repubblicani e dei democratici-), bevuto caffè o documentato qualcosa con delle fotografie, ma quello non era esattamente il mio problema. Se pensate che fare un documentario, un film, scrivere o fare foto di per se sia difficile vi incoraggio a farlo. Non lo è. Non lo è se il vostro obiettivo è più grande del risultato tangibile, se riuscite a buttare il cuore oltre l’ostacolo, se quello che cercate sono delle risposte che forse avranno un senso dopo, alla fine, quando gli occhi si chiudono e punto e come dice Probst: “ci rivediamo tra pochi minuti”.
Il mio cuore oltre all’ostacolo, segreto e non dichiarato ad esempio, forse nemmeno a me stesso, -quello che sto scrivendo ora non lo avrei mai ammesso a me stesso tre anni fa, intendiamoci- era capire perchè stomacavo non appena finivo un disegno e iniziare, finalmente, una ricerca artistica, anzi, capire cosa fosse a tutto campo una ricerca artistica vivendo e raccontando le esperienze di altre persone, e dare delle coordinate di partenza al mio percorso per il resto della mia di vita nel bene e nel male.
Il progetto, scritto quella sera fu discusso il mattino dopo nella sede di Pulse Media, vincitori del Film Festival di Locarno dell’anno precedente con Piombo Fuso di Stefano Savona. Le premesse del testo erano pura fantascienza. Nicolas era già un bravo cameraman con all’attivo le prime esperienze con magazine on line e tv. Io avevo tutto da dimostrare, letteralmente. Mi viene da ridere quando penso a me e lui discutere del progetto con tutta quella convinzione e ottenere una piattaforma multimediale temporanea dove pubblicare video, foto, articoli, interviste, un diario e l’offerta di farne un libro a giochi ancora aperti. Meno forse nel vedermi a New York due settimane dopo nell’irripetibile folle insensatezza di autofinanziarsi un progetto del genere con più o meno quattrocento dollari al mese che erano davvero tutti i soldi che avevo in banca ed era anzi grasso che colava. Credo che tutto quello che successe meriti di essere raccontato, anche nei dettagli, come le vaghe e inutili autorizzazioni per filmare in strada che ci eravamo fatti fare da una tv locale, le dormite a meno quindici gradi o le assurde triangolazioni per portare a casa ogni giorno filmati e interviste buoni abbastanza per essere pubblicati con la neve fuori più o meno alta così.
È una storia questa che avrei voluto presentare a tre anni da quella bellissima incursione a partire da dicembre, con più calma, prendendo il tempo giusto e partendo dal giorno delle riprese. Poi ieri mattina ho ricevuto questo:
Olek, un’artista che abbiamo filmato durante quel periodo, chiedeva in quella mail rivolta a tutti i suoi amici un aiuto. Tornando da un evento di beneficenza con un regista australiano che aveva filmato la sua performance, Olek è stata vittima di un tentativo di stupro in un bar di Londra al quale per difendersi, giustamente, ha reagito colpendo l’uomo con un pugno. Poco dopo Olek si è ritrovata in carcere senza che le sue parole fossero ascoltate e trattata già da colpevole. La storia riportata non senza ironia, segno della sua forza che la contraddistingue nei suoi mastodontici lavori di comunicazione ad uncinetto che ormai hanno fatto il giro del mondo, è l’ennesima e poco straordinaria situazione che una donna si trova ad affrontare in un mondo piuttosto ingrato legato a giustificare un uomo in qualsiasi sua azione “perchè uomo”. In questo caso un uomo ubriaco invitato a più riprese ad allontanarsi e decisamente indesiderato. Ora lui ha cinque punti di sutura attorno all’occhio e lei cinque capi di accusa, un braccialetto elettronico, l’obbligo del coprifuoco e la possibilità ancora aperta di finire in prigione. Questa a me sembra una grave ingiustizia. Che subire molestie e difendersi con i mezzi del caso sia una cosa legittima, si, per me lo è, perchè un pugno è meglio di essere stuprate. Che una donna venga spogliata e derisa durante un interrogatorio, subisca una incarcerazione senza la possibilità di lavarsi per giorni e stacchi un assegno che puo’ coprire l’acquisto di una piccola casa a Londra per un gesto totalmente ovvio che viene seppellito con tutta l’omertà del caso quando è l’uomo che colpisce una donna a me sembra una cosa vergognosa che descrive molto bene un altro tipo di “State Of The Union”, quello del rapporto tra donne e uomini, che ormai sono abituati a convergere nelle tacite divergenze più che ad accettarsi come individui con pari dignità.
Poche settimane fa le piccole bambine di una mia amica sfogliando le pagine di una rivista di scienze indicavano con il dito la grande immagine di una delle sue grandi opere fatte all’uncinetto. Ora quella stessa persona credo abbia bisogno di supporto e come donna di altrettanta solidarietà. Almeno quanta quella che è stata data all’uomo che ha ricevuto giustamente un pugno ed è stato accolto e protetto da un mondo di uomini, dalla loro mentalità che fatica seriamente ad uscire dalla propria dinamica di sopraffazione e che accetta che si parli di diritti delle donne finchè se ne parli e basta, finchè la sua forza possa minacciare, ridicolizzare o costringere e restringere la volontà femminile che alla fine dei conti è identificata come subalterna in qualsiasi cultura, che questa abbia la “licenza artistica” di portare una minigonna o essere coperta da capo a piedi.
Per ripagare le spese del processo e i danni di quel piagnucoloso patetico uomo, che sicuramente non ha imparato nulla da questa lezione e anzi monetizza sulla sua ignoranza fondamentale, Olek sta vendendo le stampe di fotografie delle sue installazioni e dei suoi lavori rendendo irresistibile la possibilità di aiutarla.
La mia preferita, che ho pubblicato qui sopra, è quella di lei con il suo enorme lavoro alle sue spalle con le parole di Martin Luther King – a cui mi sento molto legato e che mi ha accompagnato con la sua biografia, nuovamente, durante parte di questa bellissima ormai passata estate- : Injustice Anywhere Is A Threat To Justice Everywhere.
Donate! E a presto, con qualche filmato.