Ci vuole un’etica anche del turismo
Il 18 gennaio 2017 a Rigopiano una valanga travolse una struttura alberghiera e fece ventinove vittime. Quest’anno parecchia gente ha scelto questa località come meta della gita di Pasquetta ma non per portare un fiore in memoria, bensì per scattarsi un selfie e allestire un barbecue tra i cumuli di macerie. La vicenda ha scatenato parecchie reazioni di condanna, ma non è per nulla un caso eccezionale: avevamo già letto di chi si è precipitato a vedere il relitto della Concordia all’Isola del Giglio, di chi si aggirava nei territori colpiti dai terremoti dell’Aquila e di Amatrice, fino ai “pellegrinaggi” al Tunnel dell’Alma dove morì Lady Diana o alla villetta di Cogne. E’ turismo anche questo? E che razza di turismo è?
È dark turism o turismo nero, una definizione coniata nel 1996 proprio per descrivere questi flussi di “turisti” spinti dal desiderio di visitare luoghi legati alla sofferenza, dove si sono consumati disastri naturali o fatti di sangue; si parla di forma “tanatoscopica” del viaggio, di thanaturismo. Gli inglesi, che studiano il fenomeno da trent’anni, hanno individuato anche sotto categorie: il turismo della guerra, dei disastri, delle prigioni, quello cimiteriale, dell’Olocausto o quello a caccia di fantasmi, solo per citarne alcuni.
Il turismo del macabro spazia dal tour operator inglese che organizzava tour nelle località dove Ratko Mladić compì i suoi orrendi massacri, agli attuali tour nelle città bombardate del Medioriente fino alle visite a Ground Zero, ai cimiteri monumentali e ai campi di sterminio nazisti.
Ma la sofferenza delle persone può davvero rientrare nel nostro svago?
Sono tutte esperienze equivalenti, ammissibili allo stesso modo?
Questi esempi si possono ricomprendere nel concetto vasto di turismo, però dobbiamo riconoscere che, al pari del turismo sessuale (tanto per citare un altro caso molto discusso) non hanno tutti la stessa valenza. Molto a che fare con il modo con cui ci poniamo nei confronti degli altri, con quanto sono importanti per noi, siano essi in vita o defunti. Come fare per tracciare una linea di demarcazione?
Se per esempio ci meraviglia che il Consiglio d’Europa abbia istituito l’Itinerario Culturale Europeo dei Cimiteri Monumentali forse ci aiuta la motivazione addotta: “The significance of the European Cemeteries Route resides in its multicultural diversity, which is mainly given by the interaction among its members rather than the simple value of its individual components”. Ma soprattutto riusciamo a dipanare un po’ questo groviglio se ricorriamo al concetto di etica del turismo.
Tanti, forse troppi, considerano il tempo dedicato ai viaggi, alle gite, alle vacanze come un periodo di sospensione non solo dal lavoro, dove tutto è permesso, come se il sollevamento dalle incombenze giornaliere esentasse pure dal rispetto di valori e principi propri, condivisi o altrui e fosse un vero e proprio tempo dell’anarchia. Invece è vero esattamente il contrario: proprio perché è depurato dai doveri quotidiani, questo tempo vissuto riflette i nostri valori.
È sbagliato, sbagliatissimo, arrostire salamelle davanti alle macerie dell’albergo di Rigopiano così come farsi un selfie sorridenti ad Auschwitz, perché entrambe le scelte non rispettano un’etica del turismo (per citare il titolo di un bel libro pubblicato l’anno scorso, che per la prima volta in Italia tenta di dare alcune risposte al tema). Chi si precipita a vedere le macerie di Amatrice o quelle dell’albergo a Rigopiano non ci va per rendere omaggio o commemorare i defunti, ci va per farsi un selfie, in maniera ben diversa da chi si reca in visita ad Auschwitz o a Ground Zero.
Nei primi casi siamo di fronte a puro turismo voyeuristico che non dimostra alcuna attenzione e sensibilità per i defunti, un fenomeno da condannare per evitare che si ripetano comportamenti lesivi del rispetto dovuto. Il fattore tempo è poi l’altro elemento da tenere in considerazione: ne è passato infatti troppo poco dal verificarsi delle tragedie perché abbia potuto svolgere un ruolo di purificatore morale o consentire una neutralizzazione emotiva necessari per costituire un codice condiviso di comportamenti individuali o di riti per la commemorazione collettiva.
Quando si viaggia, l’empatia è un dovere e la dispatia un divieto, ingredienti indispensabli perché il fine ultimo del viaggio sia davvero quello di aggiungere conoscenza e togliere ignoranza.