Non sono solo le donne-del-Pd
Non pensavo di diventare un nuovo fenotipo a quasi cinquant’anni, insieme alla Presidente Boldrini e a moltissime altre donne. La dichiarazione disgustosa e inaccettabile di Saverio Siorini, segretario cittadino a San Giovanni Rotondo di “Noi con Salvini” (da cui pare sia stato espulso) con cui chiede – all’indomani degli stupri di Rimini «Ma alla Boldrini e alle donne del Pd, quando dovrà succedere?” ha scatenato forti reazioni di decisa condanna. Non voglio concentrarmi su questo aspetto, sottolineo solo che si tratta del classico esempio di “Schrodinger’s douchebag” ossia di una persona (ma la traduzione di douchebag sarebbe decisamente più connotata) che lancia frasi sessiste, razziste, omofobe o comunque offensive e violente, ma decide che diceva sul serio o scherzava secondo le reazioni che ha scatenato (“rilassatevi, stavo solo scherzando, mamma mia, che permalosi!” è la replica standard).
Vorrei invece soffermarmi sulla definizione “donne del PD”, poiché faccio parte della squadra fin dalla fondazione del partito. Non è la prima volta in cui questa definizione è utilizzata con un’accezione negativa ma stavolta il contesto molto violento l’ha messa in rilievo, perché sembra voler indirizzare la minaccia a un tipo umano specifico, “le donne del PD”, ed è significativo della percezione che alcuni hanno di “noi”. Intanto non è superfluo sottolineare che chi usa questa espressione lo fa anche per appiccicare un’etichetta politica a prese di posizione che non sono certo solo in capo alle donne del Pd; è un trucco per bollare a priori e – magari – dissuadere dal prendere pubblicamente posizione quelle che proprio non ci tengono a essere accostate al Partito Democratico.
La verità è che la voce e la visibilità di moltissime donne sui social contribuiscono ogni giorno a comporre un’azione collettiva che, in quanto tale, ha finito per essere incisiva in materia di diritti civili e condizione femminile/femminismo (una definizione condivisa ancora non c’è, ma sulla sostanza siamo d’accordo in tante); tant’è che ormai anche molti politici uomini prestano attenzione a questi temi, perché ne hanno percepito la rilevanza nel dibattito pubblico (quando invece li avrebbero volentieri lasciati a noi e alle minoranze discriminate).
Insomma, non so ancora se è una buona notizia, ma di sicuro è una notizia: noi donne – non del Pd, ma italiane, non cadete nel tranello – siamo più visibili di prima, perché siamo presenti quasi ovunque (anche se in percentuali e maniere ancora insufficienti) negli organi di partito, nelle amministrazioni locali, in parlamento e nel governo, ma soprattutto perché ci facciamo sentire: la nostra presenza sui social è individuale, spontanea e non coordinata ma forse proprio per questo ancora più incisiva, perché non è un’azione politica di partito, ma il frutto delle convinzioni di ciascuna, è un’onda, una marea costante che suscita l’empatia o attira l’odio di chi una società inclusiva, meritocratica in grado di garantire pari opportunità per tutti (siano essi donne, immigrati, disabili o persone LGBTQ) proprio non la vuole. Continuiamo così, facciamoci sentire, funziona.