Il cibo ha sostituito la moda?
Gli italiani mostrano spesso una fortissima resistenza al cambiamento, tranne una cosa, il cibo; quando decidono di pranzare o cenare fuori di casa, ultimamente sembrano preferire qualsiasi soluzione al tradizionale ristorante. Sono disposti a innovare su tutto: gironzolano per strada assaggiando lo street food multietnico o i prodotti tipici delle sagre, sperimentano nell’intimità delle case altrui il social eating e gli home restaurant, pronti a pagare sconosciuti come fossero professionisti purché cucinino per loro.
Che cosa è successo? È successo che il cibo ha battuto la moda 1:0 e l’ha sostituita come trend topic (direbbero gli esperti) nelle conversazioni sociali dal vivo come sul web. Oggi tutti parlano di alimentazione, ricette, prodotti a chilometro zero per misurarsi gli uni con gli altri, così come venti anni fa disquisivano di griffe, stilisti e modelle.
La novità però è che il cibo si è posto al centro del chiacchiericcio e dei nuovi consumi con modalità opposte a quelle che hanno favorito l’esplosione del fenomeno moda. Durante la passata edizione della Social Media Week a Milano, che si è svolta qualche mese prima di Expo 2015, c’è stato chi ha illustrato una teoria che ho trovato alle prime un po’ sorprendente, ma che mi ha poi affascinato: mentre, quarant’anni fa, l’abbigliamento di qualità smise di essere un lusso per aristocratici per diventare prêt-à-porter quando si passò dall’artigianalità delle sartorie su misura all’industrializzazione di qualità, ora per il cibo si sta assistendo al fenomeno inverso: si rifiuta l’eccessiva industrializzazione degli alimenti e si va alla ricerca dell’artigianalità, dei prodotti locali e stagionali, della cucina del territorio. Per la moda si passò dall’artigianato all’industria, per il cibo ora si attiva il percorso inverso, orientando la propensione alla spesa dalla grande distribuzione alla scelta di nicchia, esotica, biologica, tradizionale che sia.
In entrambi i fenomeni, nella moda allora come per il cibo oggi, il made in Italy gioca però sempre un ruolo da protagonista che Expo e il dopo Expo stanno testimoniando ed è un vantaggio competitivo da non dimenticare.
Questi fenomeni sembrano rivelare il desiderio di concentrare sulla propria spesa alimentare (una delle poche indispensabili e comprimibile fino a un certo punto) un vero e proprio investimento identitario, come se il vecchio e banale slogan “Dimmi come mangi e ti dirò chi sei” si tramutasse in “Ti mostro come mangio e ti dimostro quel che valgo”. È un consumo accompagnato da un bisogno di socialità diffusa e il più possibile collettiva: mangiare all’aperto o in grandi spazi, in mezzo a un sacco di gente, nelle fiere e nelle sagre, lungo i mercati dello street food. Tante carovane di cibo che si snodano in centinaia di località italiane in contemporanea, dove l’economicità dell’offerta gastronomica consente in pratica a tutti di dimostrare che si sa scegliere comunque il meglio e si è capaci di scelte originali o responsabili.