Troppe eccellenze, pochi confronti
Tutte le volte, troppe, che ogni santo giorno incappo nella definizione “eccellenze italiane” sussulto, e urlo dentro di me. Si legge decine di volte sui social, si sparge sull’uditorio in ogni evento istituzionale o politico, e il suo abuso è il sintomo di un ragionamento che è fallato alla base.
Eccellenza è ciò che eccelle, cioè che supera tutti gli altri, qualcosa che, quando comparato, vince. Dovrebbero essere pochissimi in ogni campo, dai formaggi alle décolleté, dai musei contadini ai materiali aerospaziali. E invece se ne fa un uso spropositato: ci sono le eccellenze italiane e quelle del made in Italy, le eccellenze del territorio e quelle dell’innovazione. È sufficiente una ricerca veloce per scoprire che il virus si è sparso a inizio 2014, quando Google Trend segnala un picco massimo nell’interesse nel tempo e regionale (Italia); da lì non è mai sceso sotto una media del 50.
È significativo che si abusi di questa definizione proprio in Italia, un paese che scappa dalla meritocrazia e dalla regolare competizione. O forse non è strano per niente: definendo eccellente qualsiasi faccenda (un salame, una raccolta contadina, un’azienda sopravvissuta alla crisi, un prodotto artigianale) chi dovrebbe farsi carico della sua valorizzazione e promozione, cerca di sottrarla al confronto, attribuendole una certificazione di qualità indiscussa e quindi non comparabile, che si impone al mondo senza richiedere sforzi onerosi ai proponenti. Oppure, al contrario, chi si propone da promotore di eccellenze, prova a captare la benevolenza dei potenziali clienti, pubblici o privati che siano. Insomma, si prova a fare i furbi, mentre sarebbe il caso di ricorrere al concetto di unicità: qualcosa – un prosciutto, una valvola o un monumento che sia – che si produce o si trova solo lì, in quel paese, in quella regione; un’unicità che vale pena studiare, approfondire e, se del caso, tutelare. Perché l’unicità caratterizza, ma non valorizza di per sé, e richiede comunque una comparazione e una scelta strategica – politica o imprenditoriale che sia – per tutelarla. In un paese dove, come scriveva lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla «Gli italiani sono abituati, fin dal Medioevo, a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo» dovremmo selezionare molto duramente le eccellenze e ricercare con più cura le unicità, meno preziose ma più diffuse, senza scordarci il confronto competitivo.