Le donne di Miradolo non sanno far politica
Le donne di Miradolo (tremila abitanti, Pavia) proprio non sanno far politica, a quanto pare. Devono essere ben imbranate. E dire che sono mesi che le cercano, le cercano, ma non ne trovano di adatte per fare le assessore. A giugno, il sindaco rieletto conferma praticamente in blocco la giunta precedente, tutta maschile. Se andava prima, andrà bene anche dopo, no?
È stato anche sfortunato perché, dichiara, non ha trovato donne disponibili: «Fare l’assessore, del resto, richiede impegno e sacrificio. Evidentemente non tutti possono garantire il loro lavoro per il Comune in questi termini» . Soprattutto le donne che, si sa, hanno anche la casa a cui badare.
La legge però parla chiaro: nei comuni con più di tremila abitanti nessuno dei due sessi deve essere rappresentato in giunta in misura inferiore al 40 per cento. L’opposizione si appella al Tar, che in autunno accoglie il ricorso azzerando la giunta. E il sindaco si attiva pubblicando un’indagine conoscitiva per ricevere le candidature di potenziali assessore. Una bella mossa trasparente che, infatti, raccoglie ben 18 candidature tra cui scegliere le due assessore mancanti.
Ottimo, dai che il problema si risolve! Ma le candidate saranno qualificate? Avranno le competenze professionali, tecniche o politiche per gestire al meglio le deleghe assessorili? Al quotidiano locale, il sindaco risponde: «Nove tra le candidate risiedono a Miradolo Terme e sono per lo più sposate con famiglia. Altre nove sono di fuori Miradolo, soprattutto single. C’è anche una giornalista». Accidenti, questa sì che è una profilazione interessante.
Concediamo ancora un po’ di tempo e aspettiamo pazienti l’esito della selezione rigorosa, visto che l’avviso pubblico chiedeva anche «un’adeguata esperienza politico-amministrativa, desumibile dal curriculum vitae». Quella stessa che io, tanto per intenderci, non avevo quando sono stata nominata assessora provinciale quattro anni fa. Era la prima volta che mi candidavo, ero risultata tra i primi tre eletti in provincia per il mio partito e non avevo la benché minima esperienza amministrativa. Evidentemente, fare l’assessora a Miradolo è roba tosta.
Infatti, la selezione va a vuoto. Nessuna è risultata idonea. E il sindaco ha controfirmato il decreto di nomina della giunta. Sempre la stessa, tutta al maschile: dopo cinque mesi, il ricorso, la condanna, il bando, la selezione, siamo da capo a piedi.
Questa non è una storia da niente, da un sorriso ironico e via. Questi sono segnali di fumo da riserva indiana – gli ultimi di una lunga serie troppo italiana – tutta al maschile e che parla chiaro: “Occhio, che la politica non è mestiere da donne. Roba complicata, state al calduccio nelle vostre case, chi ve lo fa fare?”
Le donne – ma pure gli uomini – spesso attivano la loro partecipazione partendo dai problemi o dai progetti che hanno a portata di mano e che stanno loro a cuore. Si attivano per la scuola scalcinata dei figli, per la gestione dei rifiuti zoppicante, per l’ennesima proposta di un centro commerciale divora suolo, per il forse pericoloso nuovo impianto di smaltimento. E se ci prendono gusto, passano poi all’impegno politico locale, quasi sempre per il Comune. La fiducia nella politica è quasi pari a zero, ma se si attivano meccanismi partecipativi, la risposta positiva c’è sempre.
Quando però un’amministrazione gioca a rimpiattino con la legge e le sentenze, finisce per essere intimidatoria. Perché scoraggia l’impegno dei cittadini e, nel caso di Miradolo, delle cittadine.
Serve per tenerle fuori dal municipio e in terza fila nella politica. Molto spesso funziona. Si allungano i tempi, si moltiplicano i paletti, e si trova alla fine, più in là nel tempo, una bella “soluzione politica”. D’altronde si sa, la gente dimentica in fretta. E le donne hanno troppo da fare in cucina.
P.S.: caso mai vi chiedeste qual è il colore politico dell’amministrazione di Miradolo, vi dico che non ha importanza alcuna: lista civica e, per la cronaca, con un esponente del mio partito.