Il problema delle primarie per i parlamentari
Questa volta, si rischia di offrire all’apparato partito la possibilità di imprimere un fenomenale colpo di coda al ricambio parlamentare. Perché sia chiaro a tutti che fissare le Primarie per i parlamentari del PD il 29 e 30 dicembre significa neutralizzarle. E lo dico proprio perché firmataria della mozione pro primarie parlamentari che Civati e Vassallo presentarono in Assemblea Nazionale l’estate scorsa, mozione che non fu poi votata ma ritirata, su richiesta del segretario Bersani che, in “cambio”, assunse l’impegno solenne di adottarle, se la legge elettorale non fosse stata modificata.
Quindi, Bersani è stato di parola.
Però, se pensiamo all’obiettivo delle primarie, ossia rendere del tutto contendibili le candidature al Parlamento, queste del 29 e 30 dicembre rischiano di non raggiungerlo del tutto.
Le Primarie e il loro regolamento saranno approvati in via definitiva dalla Direzione Nazionale del 17 dicembre, quindi al momento non è possibile ipotizzare se verrà o no adottato il sistema proposto da Civati e Vassallo. Ma, per paradosso, poco importano le regole, perché è la variabile tempo che rischia di incastrare seriamente il meccanismo e rendere questa consultazione un meccanismo perfetto non tanto per candidare,quanto per legittimare con la vittoria anche le candidature che sono mera espressione degli apparati locali.
Ci sono solo dodici giorni dal 17 al 29 dicembre, contando pure Natale e Santo Stefano: chi avrà le risorse per raccogliere le firme per candidarsi, fare campagna on line e off line, mailing list e telefonate, riunioni e tweet a tutto spiano? Ma soprattutto: chi potrà raccogliere un numero sufficiente di preferenze per spuntarla sugli altri?
Ci riusciranno i più conosciuti e i già eletti e, in ogni caso, coloro che gestiscono la macchina organizzativa e sono pronti ad attivarla in un battito di ciglia, quanto è l’equivalente di dieci giorni. Ecco perché una variabile tempo così ridotta limiterà fortemente la rosa dei papabili candidati da parte delle strutture territoriali del partito.
Affidare quindi interamente questa scelta ai territori potrebbe non realizzare quella che, in tante occasioni, Bersani ha ribadito essere una sua ferma intenzione: rinnovare la compagine parlamentare del PD. Come potrà farlo se l’intero meccanismo è delegato alle federazioni territoriali? Come verificare che sui territori non scelgano la strada vecchia al posto di quella nuova?
Con la legittimazione derivante dalla vittoria delle primarie ma con il Porcellum ancora vivo e vegeto che nessuno ha avuto la forza di togliere di mezzo, la direzione e la segreteria nazionale dovrebbero invece condividere con i territori la responsabilità dell’innovazione della compagine parlamentare, contemperando l’effetto centripeto di primarie così compresse.
Per tutte queste ragioni, le primarie parlamentari erano e rimangono inevitabili ma il livello nazionale del PD dovrebbe comunque porsi il problema di presidiare attentamente il processo per far sì che i livelli territoriali garantiscano davvero che il rinnovamento delle liste non sia solo di facciata. Perché una cosa è certa: queste primarie “senza tempo” mostreranno soprattutto la reale capacità e la voglia di rinnovamento delle federazioni provinciali.