Gente di cui Alfano si è dimenticato andando via
Nel nostro Paese ci sono emergenze che meritano la prima pagina e ci sono emergenze non meno gravi che, con rare quanto lodevoli eccezioni, proprio non riescono a trovare attenzione. È comprensibile che i cumuli di immondizie sulle strade di Napoli, i barconi che scaricano umanità mediterranea a Lampedusa, gli scontri in Val di Susa, si prestino a essere ripresi, fotografati o raccontati a forti tinte. Si crede che il gusto del lettore-telespettatore si soddisfi più facilmente con storie come queste, piuttosto che con quelle banali, ripetitive e tutto sommato fastidiose che possono raccontare le vite umiliate di decine di migliaia di detenuti accatastati nelle carceri italiane.
Una strage di diritti umani si sta consumando nelle nostre città, al di là delle mura di prigioni che sono a tutti gli effetti mondi separati dal resto della società, e riuscire a sensibilizzare l’opinione pubblica su questa emergenza sembra un’impresa colossale. Ci sta provando da mesi Marco Pannella, offrendo il suo corpo smagrito e assetato a testimonianza e denuncia di uno scandalo che ha fruttato all’Italia la condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo per “trattamenti inumani e degradanti”, con risarcimento danni a carico. Infatti, se il sovraffollamento carcerario è un fenomeno che riguarda più della metà dei Paesi membri dell’Ue, la patria di Cesare Beccaria ha un tasso di sovraffollamento del 153%: siamo secondi solo alla Bulgaria.
Nel gennaio 2009, il ministro della giustizia Angelino Alfano aveva parlato di carceri fuorilegge, e quello stesso ministro che ora è segretario nazionale del Pdl aveva annunciato con grande enfasi l’avvio di un grande “piano carceri” con la costruzione di 17mila posti in più entro il 2012. Ci siamo quasi e nessuno più ne parla. È evidente che la soluzione non può consistere nel costruire sempre più carceri, che poi, tra l’altro, dovrebbero essere vigilate da un personale che è sempre più scarso e sottoposto a condizioni di lavoro sempre più estreme.
Marco Pannella, con il suo sciopero della fame e della sete, chiede che si ponga un argine alla deriva dei diritti umani “per impedire il collasso dei tribunali, quindi per evitare che migliaia di persone languiscano in galera in attesa di processo, serve un provvedimento d’urgenza”. Marco Pannella chiede un’amnistia.
È uno di quei provvedimenti cui molti di noi oppongono un rifiuto d’istinto, identificando l’amnistia con l’impunità, correndo con il pensiero a quelli che “la passeranno liscia”. È un pensiero solo apparentemente accettabile, che guarda alla giustizia come alla vendetta della società contro chi ha rotto il patto sociale. Non è la nostra idea di giustizia. Inoltre, il primo a dover rispettare le regole dovrebbe essere chi di quelle regole è la fonte: lo Stato. E in Italia lo Stato non rispetta la sua legge perché tratta in modo inumano i detenuti, e nel breve termine nulla lascia credere che la situazione cambierà: le condizioni igieniche e l’assistenza sanitaria non miglioreranno, il malessere della polizia penitenziaria non diminuirà, le morti dei detenuti (1500 negli ultimi 10 anni) continueranno.
Ho deciso di sottoscrivere l’appello sull’emergenza della giustizia e carceraria perché, nelle condizioni attuali, l’amnistia appare l’unico provvedimento d’emergenza capace di alleggerire l’intollerabile pressione del sovraffollamento e delle sue drammatiche conseguenze. Ovviamente avendo chiaro che ci ritroveremo presto di fronte allo stesso problema se non lo affronteremo in modo diverso da come fatto finora. L’amnistia non servirà cioè a nulla se non si vorranno eliminare gli effetti nefasti di leggi come quelle che mandano in carcere i tossicodipendenti o i clandestini. Non servirà se non si deciderà di imboccare con decisione la strada delle pene alternative. Non servirà se i parlamentari italiani che condividono l’allarme per questa situazione non vorranno far seguire coerenti atti formali alle loro dichiarazioni.