Cinque insegnamenti dal disastro in Umbria
Domenica il centrodestra ha conquistato l’Umbria per la prima volta dopo 50 anni di governo della sinistra. La candidata del centrodestra, la senatrice della Lega Donatella Tesei, ha vinto con il 57 per cento dei voti, mentre il suo rivale di centrosinistra, l’imprenditore Vincenzo Bianconi, si è dovuto accontentare del 37 per cento. È una pesantissima sconfitta per il primo tentativo di alleanza organica tra PD e Movimento 5 Stelle che ora rischia seriamente di essere bloccata ancora prima di nascere. Ma da questo disastro c’è anche qualcosa da imparare.
1. A volte le elezioni locali sono davvero elezioni locali
Si dice sempre che le elezioni locali sono casi particolari. Qualche volta è vero, qualche volta invece no. In questo caso sembre proprio che sia vero: la vittoria per il centrosinistra appariva impossibile per una lunga serie di ragioni squisitamente locali. La precedente giunta a guida PD era caduta per via di uno scandalo nella sanità ampiamente cavalcato dal Movimento 5 Stelle locale. A un mese dal voto anticipato, però, le segreterie di Movimento 5 Stelle e PD hanno imposto un’alleanza senza, sostanzialmente, coinvolgere gli iscritti locali dei due partiti (il Movimento ha aperto il voto a tutti gli iscritti, non solo gli umbri, mentre il PD non ha nemmeno fatto finta di interpellarli).
Tutto questo è avvenuto in una regione che, dopo 50 anni di guida del centrosinistra, aveva inziaito a spostarsi a destra già da parecchio tempo. Alle regionali del 2015, ad esempio, il centrodestra era già arrivato a soli tre punti di distanza dal centrosinistra (e la Lega aveva sfiorato il 20 per cento). A Perugia il centrodestra governa oramai da sei anni e, nel 2018, il sindaco uscente è stato rieletto con il 60 per cento dei voti, stessa percentuale ottenuta dal sindaco di centrodestra di Terni, la seconda città della regione.
2. La vittoria di Salvini è stata tattica, oltre che strategica
Quella di domenica non è stata solo una sconfitta dovuta alla storia regionale e alla situazione nazionale: ci sono di mezzo anche le scelte tattiche dei vari partiti. Come ha notato Giovanni Diamanti, Salvini ha preso il voto in Umbria molto seriamente e per settimane ha letteralmente piantato le tende nella regione. Secondo il Corriere, Salvini ha tenuto un comizio o fatto una visita in almeno 50 dei 92 comuni della regione.
Salvini ha letteralmente fatto scomparire la sua candidata presidente, Donatella Tesei, non esattamente popolarissima in Umbria, dove ha lasciato parecchi debiti nel piccolo comune di cui è stata sindaca. Come è sempre riuscito a fare nelle ultime elezioni locali, Salvini ha massimizzato la sua immensa popolarità personale, riuscendo nel frattempo a insistere in maniera sistematica sul suo principale e più efficace argomento: il fatto che l’alleanza PD-M5S è composta da due partiti che fino a poche settimane fa erano profondamente divisi dagli scandali che avevano colpito la regione.
3. La tattica ha a che fare anche con il disastro PD-Movimento 5 Stelle
PD e Movimento 5 Stelle non sembra si siano impegnati a fondo per cambiare l’esito di un voto che appariva scontato. L’accordo elettorale tra i due partiti è stato raggiunto soltanto un mese prima delle elezioni, la campagna elettorale è iniziata tardi e ha coinvolto i leader principali – Zingaretti, Di Maio, Conte – in sortite rapide e ben poco sistematiche in confronto con quelle di Salvini. Con il doppio effetto di rivelare che: primo, nessuno di loro riesce a mobilitare l’elettorato come fa Salvini, nemmeno Conte che, sulla carta dei sondaggi, appare il leader più popolare d’Italia; secondo, con le loro apparizioni hanno contribuito a dare al voto in Umbria una rilevanza nazionale che sarebbe stato meglio evitare.
Anche la scelta del candidato di coalizione si è rivelata infelice. Vincenzo Bianconi, imprenditore alberghiero, è stato piuttosto scialbo e poco incisivo. Il suo profilo era poco caraterrizzato e lui stesso avrebbe potuto benissimo essere un candidato del centrodestra (del quale era infatti un sostenitore fino alle scorse europee). Si è tratto di una scelta senza particolari guizzi o creatività, tutta votata all’impresa impossibile di prendere a Salvini i voti che gli sono più fedeli, quelli di autonomi e imprenditori. Alla fine, Bianconi ha raccolto con la sua lista appena 16 mila voti, appena il 4 per cento (lo stesso risultato dell’invisibile Tesei) ed è riuscito a perdere nella sua stessa città, Norcia (60 per cento a 38 per cento per Tesei).
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4. Il PD alla fine tiene, il Movimento 5 Stelle invece è un disastro
A contare per bene i voti, PD non va così male rispetto a un anno e mezzo fa. Alle politiche 2018 il PD aveva raccolto il 24 per cento, 126 mila voti in tutto. Alle europee di maggio, nel mezzo dello scandalo sulla sanità, era riuscito a mantenere la stessa percentuale, ma (con un’affluenza più bassa) era sceso a 107 mila voti. Domenica, il PD è sceso in percentuale a poco più del 22 per cento e ha ottenuto in tutto 93 mila. Insomma, il PD ha sostanzialmente conservato in percentuale la stessa quantità di voti e questo nonostante gli scandali, nonostante l’incredibile tira e molla sulle dimissioni della presidente di regione, nonostante un candidato non proprie eccezionale e nonostante l’alleanza con gli ex nemici del Movimento 5 Stelle.
La parte veramente “debole” della coalizione si è invece rivelato il Movimento 5 Stelle. Alle politiche 2018 era il primo partito della regione, con il 27 per cento e 140 mila voti. Alle europee di maggio è riuscito a dimezzare il suo risultato: 65 mila voti e 14 per cento, mentre ieri è arrivato un ulteriore dimezzamento: 7 per cento e 30 mila voti. In altre parole, in poco più di un anno e mezzo e senza subire scandali, senza avere il peso di mezzo secolo trascorso al governo della regione, il Movimento è riuscito a dimezzare il suo risultato ad ogni elezione arrivando alla fine a perdere quattro quinti dei suoi voti in regione.
5. È un brutto colpo per l’alleanza PD-Movimento 5 Stelle, ma non necessariamente la sua fine
Con il senno di poi non è stata una buona idea mettere l’alleanza PD-Movimento 5 Stelle alla prova del voto in una situazione così sfavorevole. La sconfitta in Umbria è diventata un’arma nelle mani di coloro che dentro e fuori i due partiti non vogliono l’alleanza. Ma visti tutti i fattori elencati fino ad ora, più che i limiti assoluti di un’alleanza PD-Movimento 5 Stelle, il voto di domenica mostra i limiti di questa alleanza: un freddo accordo di palazzo il cui unico collante è l’inimicizia nei confronti di Salvini (non sono solo i critici a definire così questa alleanza: Renzi, probabilmente il più visibile tra i componenti della maggioranza, lo ha sempre rivendicato apertamente).
Va dato merito al segretario del PD Nicola Zingaretti per avere sempre detto che l’alleanza con il Movimento 5 Stelle aveva senso solo se fosse stata un’alleanza politica, basata su un progetto coerente e con una base elettorale di riferimento. Questo progetto però fino ad ora non è mai decollato. Lo si è visto ad esempio nella totale mancanza di obiettivi comuni tra i due partiti e nell’assenza di una visione condivisa della società. Conte, Zingaretti e il ministro dell’Economia Gualtieri, ad esempio, avevano abbozzato un tentativo di progetto politico comune con la legge di bilancio: colpire gli evasori (che sono soprattutto autonomi e artigiani, la base elettorale più fedele al centrodestra) e aiutare i dipendenti e gli abitanti del Sud (elettori di PD e Movimento 5 Stelle).
La mancanza di risorse da spendere, però, ha impedito che la “carota” della manovra fosse particolarmente appetibile, mentre l’opposizione e una parte della stessa maggioranza si sono focalizzate nel criticare il “bastone”. Di Maio ha passato il suo tempo a inseguire disperatamente il tradizionale elettorato leghista, attaccando la lotta all’evasione e cercando di introdurre misure a favore degli imprenditori. Renzi ha provato a fare lo stesso, mettendoci sopra il carico ulteriore dell’abolizione di quota 100, una proposta di certo non molto popolare. Insomma: la coalizione potrebbe ancora avere speranze se i suoi componenti riuscissero a focalizzare il loro elettorato di riferimento e se adottassero un discorso politico e misure economiche in grado di mobilitarlo. Il risultato dell’Umbria ha dimostrato chiaramente quali saranno le conseguenze se non ci riusciranno.