Procedura di infrazione, e ora che succede?
La Commissione europea ha raccomandato l’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia. Ora il governo italiano deve decidere se trattare per cercare di evitarla, oppure se rischiare un voto al Consiglio che, con ogni probabilità, approverà la misura.
Per il leader della Lega Matteo Salvini si tratta del fallimento del suo piano europeo. Prima delle elezioni aveva promesso che la grande vittoria degli euroscettici avrebbe intimidito la Commissione e che questa non si sarebbe azzardata a punire l’Italia per la violazione dei vincoli di bilancio. Al voto del 26 maggio, però, gli euroscettici sono andati sotto le aspettative quasi ovunque – con la notevole eccezione dell’Italia. La Commissione non si è fatta intimidire e oggi ha raccomandato l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia, come aveva già fatto lo scorso novembre.
Fallito il piano originale, il governo adesso deve decidere cosa fare. Trattare con la Commissione significa cedere a una richiesta di correzione dei conti (ad esempio promettendo una manovra correttiva) il che non sarebbe soltanto politicamente umiliante per un euroscettico come Salvini, ma probabilmente costringerebbe il governo ad approvare impopolari tagli di spesa o aumenti di tasse.
Sfidare la Commissione all’apparenza sembra meno rischioso. Le procedure di infrazione sono frequenti, ma raramente portano a gravi conseguenze. Il rischio maggiore per l’Italia sarebbe quello di finire sotto il faro degli investitori internazionali e divenire il centro dei loro timori sulla stabilità dell’eurozona. Nel caso peggiore ci sarebbe un ulteriore rialzo degli spread e quindi del costo di rifinanziamento del debito, e questo in un momento in cui il governo già fatica a trovare il denaro con cui finanziare le sue promesse di spesa.
In parte però questo rischio viene già scontato. L’Italia è già un osservato speciale. Lo spread sui nostri titoli di stato è superiore a quello della Grecia e non c’è report di banca internazionale che non indichi l’Italia tra i grandi rischi per la stabilità economica futura insieme alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Se e quanto ancora si muoveranno gli spread in caso di procedura di infrazione sarà quindi una misura efficace di quanto la Commissione è realmente in grado di incidere sui mercati (una cosa che forse la stessa Commissione non è ansiosa di scoprire). Gli investitori sono nervosi, ma per ora lo spread non ha dato segni di particolare preoccupazione.
Il problema nello sfidare apertamente la Commissione prima che economico è politico. Mantenere il paese fuori dalla procedura di infrazione è trasversalmente ritenuto uno dei principali doveri di qualsiasi governo. Dai rappresentanti dell’industria alla grande stampa passando per la presidenza della Repubblica, non c’è “potere forte” del paese che non abbia espresso orrore per questa possibilità. Per molti, tornare in procedura di infrazione come eravamo fino al 2013 rappresenta il primo passo nel percorso che porta al disastro per eccellenza: l’uscita dall’euro, organizzata o frutto di incidente che sia. Si tratta di un timore che rischia di allarmare il ceto produttivo del Nord, che sopravvive grazie alle catene di valore europeo nelle quali è inserito, e il ceto produttivo del Nord funziona come una cinghia di trasmissione con i quadri locali leghisti e di lì al partito nazionale. Uomini come il sottosegretario Giancarlo Giorgetti non sono al governo soltanto per la loro abilità nel trattare con Salvini, ma anche perché rappresentano un’importante fetta dei sostenitori della Lega, in grado di esprimere le sue preferenze sulle azioni da intraprendere.
È ancora da vedere quanto Salvini sia in grado di sfidare apertamente la sua base storica, ma non c’è dubbio che lo scontro frontale con l’Unione Europea, in una situazione economica ancora precaria, lo metterà di fronte a una questione difficile da risolvere. Per questa ragione, la scelta migliore è probabilmente cedere con fermezza. L’elettorato ha dimostrato di avere una grande fiducia in Matteo Salvini e non c’è ragione di pensare che lo punirà più di tanto se accetterà una ritirata tattica. Soprattutto se questa ritirata non avrà conseguenze negative per lo zoccolo duro dei suoi sostenitori.
Qualche miliardo di euro di risparmi per accontentare la Commissione si può ottenere in maniera relativamente facile con dismissioni e privatizzazioni, tagli ai programmi sociali e alle misure promesse dagli alleati del Movimento 5 Stelle, che dopo la batosta delle europee saranno costretti ad accettare qualsiasi imposizione. Se si dovesse arrivare a un taglio degli 80 euro, la perdita di consenso tra i lavoratori dipendenti potrebbe essere compensata da un ulteriore taglio delle tasse agli autonomi (una delle categorie tra cui è più forte il sostegno alla Lega).
Naturalmente la Lega può decidere di fare tutto questo e nel contempo sfidare la Commissione. Salvini può decidere di andare dritto verso la procedura di infrazione e puntare a galvanizzare i suoi sostenitori magari con l’obiettivo di arrivare ad elezioni da disputare in un crescendo populista anti-europeo. Per farlo, però, dovrebbe rinnegare la posa del moderato di buon senso che, con tutte le sue ambiguità, ha cercato di assumere nell’ultimo anno. E che, accidentalmente, è la stessa che lo ha portato al 34 per cento.