La versione di Paolo

Il primo libro di Paolo Gentiloni, La sfida impopulista, è soprattutto due cose: un racconto dei suoi anni da ministro degli Esteri e da presidente del Consiglio e un manifesto per trovare una soluzione a quella che lui chiama la “tempesta populista”.  Tra le due cose è più la prima che la seconda (ed è una fortuna).

Gran parte delle sue 230 pagine sono di fatto un memoriale, dove, come in un realistico romanzo, Gentiloni ripercorre gli episodi salienti degli ultimi anni. Il primo capitolo, ad esempio, si apre con il racconto di quando il paese rischiò di trovarsi orfano del suo presidente del Consiglio poiché un gabbiano era stato risucchiato nei motori dell’Airbus presidenziale che da Ciampino avrebbe dovuto portarlo al Forum di Davos, in Svizzera.

A volte, lo stile incalzante e gli argomenti trattati fanno sembrare il libro del pacato Gentiloni un romanzo d’azione di Tom Clancy. Ad esempio quando racconta il complicato insediamento del governo libico di al-Sarraj, organizzato per mesi dalla diplomazia e dall’intelligence italiane:

È il martedì dopo la Pasqua del 2016. Alle 23.09 ricevo un sms di Giorgio Starace, il mio bravissimo inviato speciale per la Libia: il Consiglio presidenziale, guidato da al-Sarraj, ha preso il largo da quindici minuti. Dopo aver inuitilmente tentato per alcuni giorni di raggiungere l’aeroporto di Tripoli, fatto chiudere dal leader islamista Nuri Busahmein che presiede il Congresso generale nazionale (GNC) di Tripoli e controlla la zona dell’aeroporto, al-Sarraj ha deciso il giorno di Pasqua di muoversi via mare dal porto tunisino di Sfax. Il nostro ambasciatore a Tunisi De Cardona collabora creando un contatto con un armatore per provvedere un’imbarcazione di appoggio a quella di al-Serraj. Si tratta sul prezzo. L’arrivo a Tripoli, che toglie il governo di accordo nazionale dalla condizione di governo in esilio è rocambolesco. Un guasto meccanico al largo lo ritarda di alcune ore. Un nostro drone sorveglia dall’alto.

Oppure quando Gentiloni racconta uno dei maggiori momenti di tensione tra governo e PD, quando quest’ultimo iniziò a chiedere che il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco non venisse riconfermato (come poi invece accadde).

«Mi dicono che il PD vuole presentare una mozione contro Visco…che facciamo?». Alle 13.03 di martedì 17 ottobre da questo sms di Pier Carlo Padoan scopro l’esistenza di un’iniziativa che provocherà una certa tensione nei rapporti tra governo e PD. La mozione in realtà è già stata presentata. Faccio sapere tramite Anna Finocchiaro [ministro per i rapporti con il Parlamento, ndr] che il parere del governo sarà contrario e lo comunico per telefono anche a Matteo Renzi, il quale mi dice di non saperne un gran che.

Non siamo certamente abituati a sentire raccontare i fatti politici dai loro protagonisti in questa maniera realistica e dettagliata ed è un peccato che ad ogni episodio vengano dedicate al massimo una decina di pagine. I lettori saranno attirati dallo spiraglio che Gentiloni apre sul recente passato, ma rimaranno frustrati se sperano di vedergli spalancare la porta. È un difetto inevitabile del libro, dovuto in parte al carattere dell’autore, riservato e poco incline alla polemica (anche se non mancano gli attacchi a Matteo Renzi ad esempio sulla legge elettorale e sulla gestione della vicenda bancaria), ma anche al momento storico in cui è stato scritto.

Le grandi figure politiche del passato si sono dedicate alle loro memorie a fine carriera. Giorgio Napolitano attese fino al 2005, quando oramai tutto ciò che gli rimaneva da fare era essere eletto presidente della Repubblica, prima di pubblicare le sue memorie. E a quel punto, non solo tutti gli altri principali protagonisti della sua storia erano morti, ma era defunto persino il partito di cui aveva fatto parte.

Gentiloni invece, incalzato dai tempi della moderna editoria e dalla velocità dei cicli politici, ha pubblicato il suo libro mentre i protagonisti di cui racconta le vicende sono ancora vivi e politicamente attivi, oltre che impegnati in complesse vicende partitiche (un congresso in cui lo stesso Gentiloni si è schierato apertamente per uno dei contendenti, Nicola Zingaretti). Lui stesso non sembra avere intenzione di ritirarsi dalla scena politica e quindi deve dosare con cura le indiscrezioni che fa ai suoi lettori, ben cosciente che potrebbe presto tornare a lavorare dietro quelle quinte in cui ci ha fatto sbirciare.

Tutti gli eventi narrati sono uniti dal filo rosso che dà il titolo al libro: il tentativo di elaborare una pratica politica alternativa al “nazionalpopulismo”, il vero avversario politico che Gentiloni individua nell’Italia di oggi. «L’onda nazionalpopulista può essere fermata», scrive nella breve conclusione in cui riassume le sue tesi politiche. Bisogna individuare un “blocco democratico” che abbia al suo centro il PD, ma che sia composto anche da altre realtà provenienti dalla società civile.

Questo “blocco democratico” deve abbandonare la narrazione comunicativa dedicata esclusivamente ai “vincenti”, come ha fatto il PD negli ultimi anni, e tornare a occuparsi degli “sconfitti dalla globalizzazione”, riscoprendo almeno una parte della sua anima sociale e solidale, ma senza spostarsi troppo a sinistra. È un punto su cui Gentiloni torna spesso nel libro e che non è nuovo nemmeno nel resto del PD: chi sostiene che la sconfitta del partito sia dovuta a “fake news” e divisioni interne è oramai una minoranza.

La “sfida impopulista” di Gentiloni, quindi, è solidamente radicata nella riflessione politica italiana e internazionale, come dimostrano le innumerevoli citazioni di saggi e studi politici disseminati in tutto il libro (e particolarmente concentrati nell’ultima parte, in maniera forse persino eccessiva: un minor numero di citazioni e una maggiore rielaborazione originale di quei temi avrebbero forse giovato alla scorrevolezza della parte più difficile del libro).

Il contributo originale che Gentiloni porta al dibattito è quello tratto dalla sua esperienza di governo, il suo tentativo (per quanto breve e incompiuto) di rispondere da un lato ai timori degli elettori (è sotto il suo governo che i flussi migratori sono stati di fatto bloccati e che vengono approvati sussidi contro la povertà come il REI), dall’altro di offrire un linguaggio diverso, pacato e rassicurante, alle intemerate dei nazionalpopulisti, ma anche a quelle di una parte del suo stesso partito.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca