Il metodo australiano

L’Australia ha una fama immeritata di paese con la fauna più letale del mondo ed esiste una fiorente produzione di meme su questo tema. In realtà ragni velenosi, meduse, scorpioni, serpenti, squali e coccodrilli uccidono in media soltanto cinque persone ogni anno contro le venti che muoiono in incidenti di equitazione. Ma l’Australia possiede davvero uno degli ambienti più letali del pianeta. Non è l’oceano, né la foresta e nemmeno il deserto. È il numero 5 di Adelaide Avenue, Canberra, la residenza ufficiale del primo ministro.

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Negli ultimi ventisei mesi quattro diversi primi ministri si sono succeduti nel paese. L’ultimo in ordine di tempo, Tony Abbott, si è dimesso lunedì e come gli altri tre prima di lui ha perso l’incarico a causa di un complotto dei suoi stessi compagni di partito. Se pensavate che #enricostaisereno fosse il massimo del macchiavellismo possibile in politica, la versione reale di “House of cards”, bè: fareste bene a leggere questa storia che arriva dalla parte opposta del mondo.

La politica australiana secondo “I Simpson”

Fino a cinque anni fa c’era solo un modo per descrivere la politica australiana: sonnolenta. Per 11 anni dal 1996 al 2007 il paese ha avuto lo stesso primo ministro, il liberale John Howard. Prima, dall’83 al ’96, si erano succeduti soltanto due primi ministri laburisti. Poi, nel 2010, fu come se qualcuno avesse lasciato cadere una goccia di sangue in una piscina piena di squali. All’epoca era primo ministro il leader del partito Laburista Kevin Rudd, un ex professore universitario, che tre anni prima aveva stravinto le elezioni grazie a quella che i media australiani definirono «la migliore campagna elettorale nella storia del paese».

Rudd era affascinante e carismatico, con la battuta sempre pronta e un sorriso rassicurante da padre di famiglia. Tra i suoi primi atti di governo ci fu una riconciliazione con gli aborigeni australiani e la firma del protocollo di Kyoto. Nel 2008 in risposta alla crisi finanziaria fece approvare un enorme piano di investimenti pubblici e il paese non passò nemmeno un semestre di recessione. Nel marzo del 2009 Rudd divenne il primo ministro più popolare nella storia del paese con una percentuale di approvazione del 74 per cento.

Difficilmente Rudd avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati senza l’aiuto del suo braccio destro e vice-primo ministro Julia Gillard, un ex avvocato del lavoro e prima donna a ottenere la carica di vice-primo ministro. Nel 2007 Rudd si era alleato con Gillard per rovesciare il vecchio leader del partito, reduce da una grossa sconfitta elettorale. I giornali australiani li avevano definiti «i due politici più ambiziosi della loro generazione» e pronosticarono per loro un grande futuro. Quello che accadde, invece, fu l’inizio della più lunga e sanguinosa faida nella storia della politica australiana e forse di tutto il mondo occidentale.

All’inizio, Rudd e Gillard sembravano la coppia ideale, un «dinamico duo», come lo descrisse lo stesso Rudd. Lui era paterno e rassicurante, lei severa e apparentemente sempre in grado di portare a casa dei risultati. La loro relazione era così stretta che di fatto governavano il paese da un gabinetto ridotto formato da loro due e altri due ministri. Le cose andarono bene per i primi due anni, poi, nell’estate del 2009, le agenzie di statistica nazionale cominciarono a pubblicare i risultati del grande piano di investimenti anti-crisi approvato l’anno precedente.

Venne fuori che milioni di dollari australiani erano stati sprecati in programmi inutili e Rudd venne accusato di aver utilizzato alcuni progetti per finanziare attivisti vicini al suo partito. Un funzionario del programma disse di avere le prove della sottrazione dei fondi e Malcolm Turnbull, il leader dell’opposizione, iniziò a cavalcare lo scandalo. Per fortuna di Rudd venne fuori che le prove erano state falsificate e Turnbull fu costretto a dimettersi (avrebbe avuto la sua vendetta qualche anno dopo, come vedremo tra poco). Ma quella di Rudd fu una vittoria amara: la sua reputazione era stata intaccata e Turnbull fu sostituito alla guida del partito Liberale da Tony Abbott, un avversario che si sarebbe rivelato molto più tenace.

Alla fine del 2009 Rudd erano in calo nei sondaggi. Probabilmente non era nulla più del naturale calo di consensi che tocca ad ogni governo dopo qualche anno, ma il resto del partito fiutò la debolezza del leader e si preparò ad approfittarne. Rudd sostiene ancora oggi che il tradimento lo colse completamente di sorpresa, ma alcuni indizi lasciano pensare che in realtà sapesse che qualcosa si stava preparando alle sue spalle. Nel corso del 2009 Rudd affiancò a Gillard un potente notabile di partito che nel 2007 lo aveva aiutato ad ottenere la guida del partito, Mark Arbib. Il suo piano, probabilmente, era di affiancare alla sua potente vice un fedelissimo in modo da poterla tenere sotto controllo, ma la strategia gli si rivoltò contro in maniera spettacolare.

Mark Arbib (AP Photo/Keystone, Dominic Favre)

Mark Arbib (AP Photo/Keystone, Dominic Favre)

All’inizio dell’estate 2010 i sondaggi interni del partito Laburista mostravano che Rudd avrebbe perso le elezioni se si fosse votato in quel momento. Il 23 giugno Arbib e altri leader di partito dissero a Gillard che avevano raccolto abbastanza voti tra i parlamentari del partito da poter rovesciare Rudd se lei si fosse candidata come nuovo leader del partito. Gillard racconta che rimase inizialmente fredda all’offerta, ma quando seppe che alla fronda si erano aggiunti i delegati del potente sindacato australiano, accettò. Nel pomeriggio del 23 fece sapere a Rudd che lo sfidava ad un voto di fiducia davanti ai parlamentari del partito. Rudd tentò freneticamente di chiamare a raccolti i suoi per tutta la notte del 23. Il giorno dopo, il 24 giugno, si rese conto che non avrebbe mai potuto vincere la sfida e a mezzogiorno offrì le sue dimissioni. Poche ore dopo Julia Gillard giurò come primo primo ministro donna nella storia dell’Australia. Quel pomeriggio, quando Rudd annunciò le sue dimissioni aveva le lacrime agli occhi.

Gillard non si sarebbe liberata facilmente dell’immagine di traditrice del primo ministro più popolare della storia australiana. Come ha raccontato un suo collaboratore nel documentario “The Killing Season”: «Avevamo fatto di lei una Lady Macbeth e lei non si sarebbe più liberata di quell’immagine». Per cercare di limitare i danni, Gillard convocò immediatamente elezioni anticipate e fu una tragedia. La campagna elettorale fu goffa e piena di promesse che le sarebbero state rinfacciate negli anni successivi. I Laburisti persero la maggioranza e furono costretti a formare una coalizione con i verdi e con altri indipendenti per formare un governo. Le potenti fazioni del partito erano insoddisfatte e nel tentativo di tenerli in riga Gillard fu costretta a concedere ad ognuno dei capibastone un posto di governo. Rudd venne nominato ministro degli esteri.

La vita del governo Gillard non fu facile. Qualche mese prima, la sera delle sue dimissioni, Rudd aveva convocato il suo staff nella residenza ufficiale del primo ministro che si preparava ad abbandonare. Il suo discorso cominciò con la parola: «Ritorneremo». I tre anni successivi furono una schermaglia continua tra Rudd e Gillard. Rudd fece filtrare alla stampa la notizia che durante il suo governo Gillard si era opposta ad alcune misure molto popolari come l’innalzamento delle pensioni. Lo staff di Gillard fece arrivare alle televisioni un video di alcuni anni prima in cui si vedeva Rudd imprecare mentre cerca di registrare un messaggio in cinese.

Nel febbraio del 2012 Rudd si sentì abbastanza forte da scoprire le carte. Si dimise da ministro degli Esteri e sfidò Gillard in un voto interno al partito. Fu sconfitto con 71 voti a 31, ma non si arrese. Mentre Rudd lasciava trascorrere i mesi riallacciando rapporti all’interno del partito, l’approvazione del governo Gillard – azzoppato dai veti incrociati della sua composita coalizione – continuava a calare e nel giugno del 2013 un gruppo di notabili chiese ufficialmente a Rudd di candidarsi nuovamente contro Gillard nel quarto voto di sfiducia a un leader di partito in soli due anni. Le indiscrezioni sulla possibile rivolta contro Gillard circolarono per settimane sulla stampa. Poi, il 26 giugno, a Gillard fu chiesto direttamente di rispondere sulla questione nel corso di un’intervista televisiva.

Gillard minimizzò la questione e disse che il partito era compatto alle sue spalle, ma aggiunse che sarebbe comunque stata disposta ad affrontare qualunque avversario in un voto di fiducia. Poche ore dopo, alle 17, Rudd disse di essere pronto a sfidarla per la terza volta. Gillard rispose annunciando un voto di fiducia per le 19 della sera stessa, promise che se avesse perso si sarebbe ritirata dalla politica e chiese a Rudd di fare altrettanto. Rudd accettò. Alle 19 e 52 minuti il partito annunciò i risultati del voto interno. Rudd aveva ottenuto 57 voti. Gillard 45. Il Guardian commentò nel suo liveblog: «Kevin Rudd è ritornato».

Fu un ritorno breve e poco glorioso. Rudd si trovò per le mani un governo traballante e un partito lacerato. Non aveva altra scelta che affrettare le elezioni anticipate nella speranza di ottenere una nuova e più solida maggioranza. Ma questa volta i suoi avversari liberali erano pronti. Il loro leader, Tony Abbott, accusò duramente il partito Laburista per aver condizionato il paese con le sue continue lotte interne. Cosa sarebbe accaduto, disse, se dopo una vittoria dei laburisti il partito avesse passato altri tre o quattro anni a concentrare tutte le sue energie nella faida Rudd-Gillard? La sua campagna elettorale funzionò e il 7 settembre del 2013 ottenne una spettacolare vittoria. Rudd si dimise da leader del partito laburista e da parlamentare, esattamente come aveva fatto Gillard pochi mesi prima.

Abbott sembrava imbattile e la politica australiana riportata finalmente alla sua sonnolenta normalità. Nessuno poteva immaginare che due anni dopo la sua vittoria Abbott sarebbe caduto nello stesso modo in cui erano caduti i suoi storici avversari del partito laburista. Pochi giorni fa, lunedì 14 settembre, in seguito al calo di popolarità del suo governo, Abbott è stato sfidato da un rivale interno per la leadership del partito: Malcolm Turnbull, lo stesso leader liberale che aveva cavalcato il falso scandalo delle mail contro Rudd. In un voto a sorpresa lunedì pomeriggio Turnbull ha ottenuto la maggioranza dei voti, costringendo Abbott a dimettersi e diventando il nuovo primo ministro dell’Australia. C’è ancora sangue nella piscina degli squali. Abbott ha promesso che non cercherà di danneggiare il suo nuovo leader come fecero Rudd e Gillard, ma appena ventiquattro ore dopo le sue dimissioni i giornali australiani hanno ricevuto un documento che dimostra come nei suoi anni da ministro Turnbull abbia nominato un bassissimo numero di donne all’interno del suo ministero. È la prima fuga di notizie che danneggia Turnbull, ma probabilmente non sarà l’ultima. Se c’è una cosa che gli ultimi cinque anni di faide interne ci hanno insegnato, è che una volta iniziato con il metodo australiano è difficile smettere.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca