Falluja, la città dov’è nata l’ISIS
«Falluja è sinonimo di inferno»
Michael Weiss, Hassan Hassan, “ISIS, inside the Army of Terror”
Uno degli scontri decisivi della guerra in Iraq è cominciato lunedì quando l’esercito iracheno ha attaccato Falluja, la città dove è nata l’ISIS. Fu qui che nel 2004 gli eredi di Saddam Hussein si allearono con gli uomini di al Qaida e fu sempre qui che riuscirono a bloccare un’offensiva dell’esercito americano e a sopravvivere a una seconda. Se gli islamisti riusciranno un’altra volta a difendere la loro città natale sarà un colpo formidabile per la loro propaganda. Se invece il governò riuscirà ad espugnare la città avrà compiuto un passo simbolico nella riconquista del paese.
Il piano per riconquistare la città è stato studiato a lungo ed eseguito in maniera metodica. Combattere in un ambiente urbano è una faccenda lenta e sanguinosa (come avevo raccontato parlando dell’assedio di Aleppo) e il governo iracheno sa bene che l’ISIS difenderà ogni metro quadrato della città. Falluja è stata prima isolata in modo che i difensori non possano ricevere rinforzi e da lunedì l’esercito regolare e le milizie volontarie che formano il grosso delle truppe impegnate nei combattimenti hanno iniziato lentamente a stringere il cappio intorno ai quartieri centrali più densamente abitati della città. Come ha detto un comandante delle milizie irachene: «Ci riprenderemo Falluja un pezzo per volta».
Un filmato che mostra le operazioni preliminari per isolare Falluja
Si tratta della tattica migliore che gli iracheni possono utilizzare e lo hanno già fatto con successo a Tikrit e a Baiji, una città vicino ad un importante raffineria. Gli iracheni sono obbligati alla prudenza dalle caratteristiche del loro esercito: molto più numeroso delle milizie dell’ISIS, ma anche meno motivato e spesso meno addestrato. Gli iracheni dispongono di armi più potenti dell’islamisti, ma gran parte di questo arsenale non si può utilizzare in maniera indiscriminata all’interno di una città piena di civili e l’ISIS sta facendo di tutto per impedire agli abitanti di lasciare la città. Così l’esercito è costretto a lavorare in maniera metodica, combattendo prima nelle campagne intorno alle città, dove può utilizzare appieno la superiorità dei suoi armamenti. Una volta che la città è circondata può cominciare il lavoro di rastrellamento casa per casa: un processo lento, ma che fino ad oggi ha garantito buoni risultati.
Saranno necessarie molte cautele per vincere Falluja, la città che da dieci anni è la spina nel fianco di chiunque governi a Baghdad. Falluja ha circa 300 mila abitanti e si trova nel cosiddetto “triangolo sunnita”, l’area dell’Iraq dove si concentrano gli abitanti della setta maggioritaria dell’Islam, ma minoritaria in Iraq. È stata una città a lungo coccolata dal regime di Saddam Hussein che qui ha costruito fabbriche e creato posti di lavoro. In cambio gli abitanti di Falluja hanno affollato i ranghi del partito Baath, dell’intelligence e delle forze armate del regime iracheno. Falluja era uno degli obbiettivi principali dell’invasione americana del 2003 e doveva essere la destinazione di una grossa guarnigione. Ma l’invasione fu molto più facile del previsto, le truppe della coalizione arrivarono a Baghdad praticamente senza incontrare resistenza e gli americani decisero di lasciare soltanto una piccola forza a Falluja, schierata poco fuori città in un complesso chiamato “Dreamland” che prima della guerra veniva utilizzato come resort di lusso dai due figli di Saddam e dall’élite del partito. A Falluja gli iracheni non opposero resistenza e la struttura locale del partito Baath e dell’esercito semplicemente si dissolse, mescolandosi alla popolazione locale.
Il regime di Saddam era sostanzialmente laico, ma meno di quanto si pensi comunemente. Fin dalla metà degli anni Ottanta Saddam e l’élite del partito intrapresero un programma di re-islamizzazione del paese che accelerò dopo la rivolta degli sciiti nel 1991. In quegli anni era chiaro che il socialismo laico pan-arabo, la prima ideologia del regime di Saddam, era oramai in declino e che il Medio Oriente si andava ridisegnando sulla base di linee etniche e religiose. In quegli anni Saddam fece aggiungere le parole “Allah è grande” sulla bandiera irachena, fece costruire moschee, sponsorizzò pellegrinaggi alla mecca ed inviò membri del partito Baath nelle scuole coraniche. Il piano funzionò anche meglio del previsto e molti baathisti rimasero affascinanti dalle predicazioni degli imam islamisti. Quando gli americani invasero l’Iraq, furono questi membri del partito ad aprire i depositi segreti di armi ai loro nuovi alleati fondamentalisti. E insieme, fin dall’estate del 2003, iniziarono una campagna di attacchi contro gli americani e contro la nuova polizia irachena in tutto il “triangolo sunnita”.
Un marine scrive un messaggio sul “Blackwater bridge”, il ponte dove furono appesi i corpi di quattro contractor americani uccisi dagli insorti
Falluja era già una delle città più pericolose dell’Iraq quando il 31 marzo del 2004 uno di questi attacchi colpì un convoglio che trasportava aiuti umanitari. Quattro contractor della Blackwater furono tirati giù dalle loro auto, picchiati e poi bruciati vivi. I loro corpi carbonizzati furono appesi a un ponte della città e le loro fotografie diffuse in tutto il mondo: a meno di un anno dalla fine dell’invasione l’amministrazione americana aveva già perso il controllo di una grande città del paese. Una settimana dopo il massacro duemila marines degli Stati Uniti attaccarono Falluja. In cinque giorni di combattimenti conquistarono a caro prezzo circa il 25 per cento della città, ma le perdite tra i civili e tra gli stessi marines furono così alte che i loro comandanti gli ordinarono di fermarsi. Per il resto del mese le posizioni rimasero stabili con i ribelli e gli americani che si sparavano da un lato all’altro delle strade. Gli americani utilizzarono potenti amplificatori con cui diffondevano ad altissimo volume pianti di neonati, musica heavy metal e altri suoni insopportabili nel tentativo di fare uscire i ribelli allo scoperto. Non ebbero molta fortuna. A maggio, dopo aver causato quasi 300 morti tra i civili, gli americani proclamarono un cessate il fuoco unilaterale, ritirarono le truppe e passarono le consegne a una brigata irachena (che pochi mesi dopo avrebbe disertato passando dalla parte dei ribelli).
La battaglia era stata un pareggio, ma pareggiare con il più potente esercito del mondo aveva una valore simbolico senza precedenti per i ribelli iracheni. Il loro capo, un giordano di nome Abu Musab al Zarqawi, divenne famoso in tutto il mondo come l’eroe della resistenza sunnita agli americani. A ottobre dello stesso anno, al Zarqawi annunciò di aver giurato fedeltà ad Osama Bin Laden e la sua banda di jiahdisti ed ex baathisti convertiti divenne nota come al Qaida in Iraq (AQI). A quel punto gli Stati Uniti decisero di fare sul serio. Lo spettro evocato da George Bush per giustificare la guerra in Iraq, l’alleanza tra Saddam e Bin Laden, si era davvero materializzato e non poteva essere lasciato crescere. Quasi 15 mila uomini furono schierati intorno a Falluja e nella notte del 7 novembre le punte d’assalto penetrarono in città a piedi e con le baionette inastate sui fucili. Un generale americano disse: «Ci hanno sempre visto muoverci a bordo di veicoli. Voglio che sappiano che questa volta facciamo sul serio».
Combattimenti a Falluja nel novembre del 2004
I combattimenti più cruenti durarono per sei giorni, ma le operazioni di rastrellamento andarono avanti fin quasi alla fine di dicembre. Mille insorti e almeno ottocento civili morirono nella battaglia e un terzo della città venne completamente raso al suolo. Riconquistare Falluja costò all’esercito americano 95 morti e più di 600 feriti, tante perdite quante quelle subito nel corso dell’intera campagna per conquistare il paese un anno prima. Al Zarqaqwi e la sua leadership riuscirono a fuggire e ancora una volta trasformarono una sconfitta militare in un successo della loro propaganda. Zarqawi fu ucciso dagli americani nel 2006, ma dieci anni dopo il suo giuramento, il primo gennaio del 2014, i suoi eredi hanno riconquistato Falluja. Era la prima città dopo dieci anni a cadere interamente nelle mani dei ribelli che a quel punto avevano già cambiato nome diverse volte. Da AQI si erano ribattezzati ISI e quando conquistarono Falluja oramai da mesi si facevano chiamare ISIS.
Questo è il terzo “dispaccio” di una serie settimanale con cui cercherò di raccontare le guerre che stanno attraversando il mondo musulmano. Qui ho raccontato il progetto. Qui potete trovare gli altri dispacci.
Alla scrittura di questo articolo ha collaborato Andrea Lazzaroni