Dispaccio uno: Daraa
Questo è il primo “dispaccio” di una serie settimanale con cui cercherò di raccontare le guerre che stanno attraversando il mondo musulmano. Qui ho raccontato il progetto.
La rivoluzione siriana cominciò a Daraa, nel sud del paese, quando un gruppo di liceali scrisse su un muro: «È arrivato il tuo turno dottore». Il giorno dopo la polizia fece irruzione nella scuola e arrestò decine di studenti con l’accusa di aver minacciato Bashar al Assad, il dittatore del paese laureato in medicina a Londra. Nei giorni successivi i genitori dei ragazzi manifestarono davanti alla prigione e in poche settimane la rivolta di piazza si trasformò in guerra civile. Quattro anni dopo, Daraa è tornata al centro degli eventi, un crocevia dove si incontrano le strane alleanze e le numerose contraddizioni che ha creato questa guerra complicata. È un luogo dove Israele collabora con al Qaida, mentre a pochi chilometri di distanza la misteriosa setta dei drusi, un tempo alleata del regime, si prepara ad abbandonare il suo antico protettore. Ma è soprattutto la città dove la rivolta siriana è cominciata e dove i ribelli sperano di farla finire.
La fortezza
Daraa si trova in fondo a uno stretto corridoio controllato dalle forze del regime ed è l’ultima linea di difesa prima dei sobborghi di Damasco. È una città-fortezza che blocca ai ribelli l’accesso alla M5, l’autostrada lunga cento chilometri che porta alla capitale. Oggi i ribelli non possono percorrere questa strada perché è troppo pericoloso lasciarsi alle spalle un concentramento di forze così imponente come quello che il regime ha schierato per difendere Daraa. Ma se la città dovesse cadere, non ci sarà più nulla che impedirà ai ribelli di avanzare lungo l’autostrada fino alle linee di difesa subito a sud della capitale. Per questo motivo il 25 giugno i ribelli del “Southern Front” (SF) hanno annunciato con grande clamore mediatico l’inizio di “Tempesta del sud”, l’assalto generale per la conquista di Daraa.
La fase acuta dell’offensiva è durata dal 25 al 27 giugno. Oggi si combatte ancora, ma l’attacco sembra aver perso energia. Circa 200 ribelli sono stati uccisi e un numero ancora maggiore è stato ferito. Erano mesi oramai che il regime subiva sconfitte ogni volta che i ribelli prendevano l’iniziativa, tanto che lo scorso marzo in molti ipotizzavano che Assad potesse fuggire dal paese da un momento all’altro. A Daraa invece il regime ha tenuto duro ed è riuscito fino ora a respingere i ribelli con successo. Che cosa è accaduto?
Un video dell’offensiva realizzato dal centro media del Southern Front
Le divisioni
Per capire cos’è andato storto a Daraa bisogna guardare dall’altra parte del paese, a nord, vicino al confine con la Turchia. Qui i ribelli sono riusciti a conquistare la città di Idlib alla fine dello scorso marzo e proprio oggi hanno lanciato una nuova offensiva contro Aleppo. La chiave del loro successo è stata una collaborazione senza precedenti. La coalizione “Jaish al-Fatah” (JAF), che riunisce diverse brigate islamiste tra cui al Nusra, l’organizzazione siriana affiliata ad al Qaida, si è alleata a numerose brigate della “Free Syrian Army” (FSA), i ribelli moderati. Questi gruppi hanno messo in piedi una “centrale di comando” unificata con cui coordinare le operazioni: mentre la FSA utilizzava lanciamissili TOW di fabbricazione americana per distruggere i carri armati del regime, i kamikaze di al Nusra si lanciavano a bordo di veicoli imbottiti di esplosivo per neutralizzare i capisaldi nemici. A sud questo coordinamento non sembra essersi verificato, anzi: i ribelli sono arrivati a scontrarsi gli uni con gli altri.
Chi sono gli uomini di SF
Lo SF fa parte della FSA, cioè la variegata coalizione dei ribelli siriani moderati, e dichiara di avere ai suoi ordini 35 mila combattenti appartenenti a più di 40 brigate a loro volta composte da uomini originari del sud della Siria e legati tra di loro da affiliazioni tribali. Le basi dello SF sono vicine alla Giordania, un paese alleato degli Stati Uniti dove almeno dal 2013 la CIA ha iniziato un programma segreto per addestrare i ribelli moderati e armarli con missili TOW, lo stesso sistema d’arma utilizzato dalla FSA ad Idlib (il programma comunque non è molto vasto ed è probabile che non più di un paio di migliaia di combattenti abbiano ricevuto dei rudimenti di addestramento).
Lanciamissili TOW in azione lo scorso maggio lungo l’autostrada M5 tra Daraa e Damasco
Questi aiuti, però, sembra che siano arrivati ad un prezzo: a quanto pare il governo giordano e la CIA forniscono armi, addestramento e denaro soltanto a quelle brigate che si rifiutano di collaborare con gli estremisti. I fatti di Idlib, lo scorso marzo, spiegano ancora una volta il perché. Dopo aver conquistato la città, soltanto gli islamisti del JAF hanno avuto diritto a spartirsi il bottino e oggi sono loro a governare la città, mentre le brigate della FSA sono state completamente escluse. Nell’offensiva di Aleppo di questi giorni sta accadendo la stessa cosa e gli islamisti che hanno lanciato l’attacco hanno già annunciato che imporranno la legge islamica su tutte le zone conquistate. A Daraa, quindi, gli islamisti sono stati esclusi dalla centrale operativa dello SF. I loro uomini hanno comunque partecipato all’attacco (almeno a quanto si può capire dalle dichiarazioni dei vari gruppi e dai video che hanno pubblicato), ma lo hanno fatto senza coordinarsi con lo sforzo principale dello SF. La disorganizzazione e le forze del regime, più numerose e agguerrite che a Idlib, hanno causato il blocco dell’offensiva, almeno per il momento.
Israeliani e drusi
A pochi chilometri di distanza dalle basi dello SF c’è anche chi non va così per il sottile nello scegliersi le amicizie: questa settimana, infatti, il governo israeliano ha ammesso ufficialmente di aver fornito aiuto ai ribelli. Israele è storicamente uno dei principali nemici del regime siriano e quindi è abbastanza normale che veda un alleato nei ribelli moderati. Ma tra i mille combattenti che Israele ha detto di aver curato nei suoi ospedali dall’inizio della guerra ci sono quasi certamente anche quelli di al Nusra, una formazione che come abbiamo visto è affiliata ad al Qaida. Secondo gli osservatori dell’ONU che si trovano lungo il confine, a volte l’aiuto israeliano è andato aldilà delle cure in ospedale e in alcune occasioni soldati israeliani sono stati visti consegnare ai ribelli misteriose casse. A quanto pare i ribelli hanno ricambiato Israele fornendo indicazioni per dirigere attacchi aerei contro alcuni alti ufficiali di Hezbollah, un’organizzazione libanese nemica di Israele che sta attivamente aiutando il regime siriano.
Gli israeliani non sono arrivati ad ammettere un così alto livello di collaborazione, che imbarazzerebbe tanto Israele quanto gli stessi uomini di al Qaida. Secondo il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon l’accordo con i ribelli è più semplice: aiuto sanitario in cambio della promessa di non avvicinarsi troppo al confine e di non toccare i drusi, un altro dei numerosi attori del dramma siriano che in questi mesi è diventato di colpo più importante. I drusi sono stati a lungo tempo una sorta di mistero per gli antropologi. Appartengono ad un’antica religione misterica molto gelosa dei proprio segreti che da mille anni ha smesso di fare proseliti: soltanto i figli di drusi possono a loro volta diventare drusi. In Israele vivono circa 130 mila drusi che raggiungono spesso elevate posizioni nell’amministrazione e nell’esercito (un druso comanda la brigata Golani, una delle formazioni più decorate dell’esercito israeliano).
In Siria ci sono forse altri 700 mila drusi, la maggior parte dei quali vive nella regione di As Suwayda (vedi cartina sopra), l’unica altra zona oltre a Daraa che il regime di Assad controlla nel sud della Siria. Come in Israele, anche in Siria i drusi hanno raggiunto posizioni elevate all’interno dell’esercito, ma negli ultimi mesi la loro alleanza con il regime ha cominciato a guastarsi. Il patto si basa sulla protezione che la dinastia di Assad garantisce ai drusi contro la maggioranza sunnita che in passato li ha spesso perseguitati. Ma oggi, pressato com’è da tutti i lati, il regime fatica a difendere la regione di As Suwayda. Di recente, i ribelli islamisti hanno più volte attaccato i drusi, obbligandoli a convertirsi e uccidendo quelli che si rifiutavano. Così da mesi i giovani drusi hanno iniziato a disertare l’esercito del regime, preferendo arruolarsi nelle milizie locali di autodifesa. Poche settimane fa gli abitanti di As Suwayda sono scesi in piazza per bloccare un convoglio militare del regime che cercava di lasciare la città. Come i curdi a nord, anche i drusi sembravano avviati sulla strada della creazione di una regione autonoma in grado di difendersi da sola: un altro tassello nella lenta balcanizzazione della Siria.
Alla scrittura di questo articolo ha collaborato Andrea Lazzaroni