Un anno di ISIS
Dopo un lungo sonno trascorso nell’oscurità dell’abbandono, è giunto il tempo per quelle generazioni che sono state affogate in un oceano di disgrazie, che sono state svezzate con il latte dell’umiliazione, che sono dominate dai più iniqui tra tutti gli uomini – per loro è giunto il tempo di rialzarsi.
Con queste parole il portavoce dell’ISIS proclamò il 29 giugno del 2014 la nascita dello Stato Islamico. In un anno l’ISIS è passata dalle parole ai fatti e tra Siria ed Iraq ha creato un semi-stato abitato da milioni di persone e con un esercito più numeroso e agguerrito della maggior parte dei membri dell’ONU. E continua ad espandersi. Oggi miliziani che dichiarano fedeltà all’ISIS o ad uno dei suoi gruppi clone combattono in tutti i principali conflitti che attraversano il mondo musulmano: dal Pakistan alla Nigeria, dalla Somalia alla Siria, dall’Iraq alla Libia passando per lo Yemen. Secondo alcuni questi conflitti sono uniti da un filo rosso e quello a cui stiamo assistendo è l’inizio di una nuova guerra mondiale. Voglio cercare di capire se questa è la lettura migliore del momento storico che abbiamo di fronte o se la situazione è in realtà molto più complessa di come la immaginiamo di solito. Per farlo ho deciso di pubblicare per tutta l’estate un post alla settimana in cui racconterò cosa sta accadendo sul campo.
Di cosa mi occuperò?
Degli sviluppi politici e soprattutto militari in Siria, Iraq e Libia cercando di dedicare un po’ di spazio anche ai conflitti di cui si parla di meno: Nigeria, Yemen, Somalia e Pakistan-Afghanistan. Mi occuperò soprattutto di cronaca, cioè cosa succede e dove, ma quando ce ne sarà l’occasione farò anche degli “spiegoni” per illustrare alcune dinamiche di questi conflitti (cose di questo tipo: come funzionano in pratica i bombardamenti aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti).
Perché parlare di guerre?
Perché le guerre sono importanti: senza una guerra in Siria non ci sarebbe l’ISIS e non ci sarebbe al Qaida senza una guerra in Afghanistan trent’anni fa. La stampa, specialmente in Italia, racconta questi conflitti soprattutto quando arrivano a toccarci direttamente: quando producono attentatori che colpiscono le nostre città o quando creano instabilità che favorisce l’immigrazione. Sono conseguenze importanti, ma occuparsi soltanto di questi fenomeni è come studiare la febbre dimenticando l’infezione che l’ha causata. Quello che mi interessa è capire e raccontare questi conflitti, scendendo anche nei dettagli tecnici quando sarà necessario.
Perché ora?
È una settimana simbolica: un anno fa l’ISIS annunciò la sua trasformazione in Stato Islamico e l’autoproclamatosi califfo Abu Bakr al Baghdadi tenne il suo primo, e fino ad ora unico, discorso pubblico. Ma è anche un momento in cui molte cose si preparano ad accadere.
– Siria
C’è un sacco di movimento. Nel nord del paese i curdi siriani hanno inflitto una serie di sconfitte all’ISIS e negli ultimi sei mesi sono diventati uno degli attori più importanti di tutto il conflitto. Il regime siriano è sempre più in difficoltà a causa delle offensive dell’ISIS al centro del paese e quelle degli altri gruppi ribelli nel sud e nel nord. Le potenze regionali, Turchia, paesi del Golfo, Giordania e Iran, hanno percepito che le cose stanno cambiando rapidamente e cominciano a intervenire negli affari del paese in maniera sempre più esplicita. Persino Israele ha ammesso di aver appoggiato alcuni gruppi di ribelli. In altre parole: di carne al fuoco ce n’è tanta e molta altra arriverà nelle prossime settimane.
– Iraq
All’inizio di giugno tutto il mondo ha parlato della caduta di Ramadi, la più importante vittoria ottenuta dall’ISIS nel 2015. L’esercito iracheno e le milizie sciite finanziate e addestrate dall’Iran hanno utilizzato questi due mesi per raccogliere le forze e ora hanno la possibilità di scegliere se attaccare Ramadi o un’altra città vicina, Falluja. Soprattutto Falluja è importantissima per l’ISIS: è la città dove è nato l’estremismo sunnita in Iraq e il teatro della più cruenta battaglia della prima guerra civile irachena (gran parte delle scene di combattimento del film “American Sniper” sono ambientate durante la battaglia di Falluja). Riprendere Ramadi o Falluja sarebbero importanti vittorie morali, non riuscire a conquistarle sarebbe la prova definitiva che il governo iracheno non è in grado di gestire l’ISIS da solo.
– Libia
Il caos che ha coinvolto il paese meriterebbe una serie di post a parte (anche per l’importanza che ha la Libia per l’Italia). Negli ultimi mesi i due governi rivali di Tripoli e Tobruk sono stati incapaci di giungere a un accordo pacifico mentre il paese continua a scivolare dal loro controllo. L’ISIS ha subito una disfatta a Derna, la capitale dell’estremismo libico, dove un’altra milizia locale ha espulso i combattenti che avevano giurato fedeltà allo Stato Islamico, ma dall’altra parte del paese, a Sirte, l’ISIS è più forte che mai e non c’è nessun forza all’orizzonte che sembra determinata abbastanza per poterli scacciare dalla città.
Come seguirò questi avvenimenti
Una volta a settimana (due in casi straordinari) pubblicherò un “dispaccio” che avrà come titolo il luogo del quale intendo occuparmi. Cercherò di scegliere una città o una regione dove è accaduto un avvenimento significativo che mi permetta allo stesso tempo di spiegare un tema più ampio. Ad esempio, nel primo post che pubblicherò nei prossimi giorni racconterò la battaglia di Daraa, in Siria, che racconta bene le difficoltà che attraversa il regime siriano, la complessa situazione dell’opposizione “moderata” e dei suoi rapporti con i ribelli affiliati ad al Qaida e mi permetterà anche di spiegare il coinvolgimento di Israele e il ruolo dei misteriosi drusi.
Le fonti che utilizzerò sono quelle classiche (giornali e agenzie di stampa internazionali), ma cercherò per quanto possibile di avvicinarmi alle fonti primarie disponibili su internet (ONG, attivisti locali, giornalisti che si trovano sul posto) e di parlare con esperti e analisti ogni volta che che ne avrò l’opportunità. Internet e smartphone hanno fatto sì che nessuna guerra della storia fosse così “pubblica” come quella in Siria e, in misura minore, le altre di cui mi occuperò, quindi cercherò di utilizzare anche video, tweet e commenti pubblicati dagli stessi combattenti.
È un esperimento ambizioso e complicato e spero di riuscire a portarlo avanti anche grazie al vostro aiuto. Consigli, suggerimenti e correzioni sono bene accetti sia su Twitter (mi trovate qui) che nei commenti al blog.