Israele sta davvero cercando di risparmiare i civili?
Correzione
L’articolo che troverete qui sotto è quello che ha avuto più successo nella storia del mio blog. Fu pubblicato alla fine del luglio 2014, tre settimane dopo l’inizio di “Margine di protezione”, l’operazione militare israeliana nella striscia di Gaza. Fu commentato 800 volte e suscitò diverse discussioni su Twitter e su altri blog. Il giorno successivo alla pubblicazione fui invitato a parlarne su RadioTre. Un anno dopo non condivido più tutto quello che scrissi all’epoca e ho aggiunto queste poche righe per indicare ai miei lettori dove mi sono sbagliato.
Nel titolo era contenuta la domanda a cui cercavo di rispondere nell’articolo:
Quanto e con quanto successo l’esercito israeliano stia cercando di evitare perdite tra i civili?
All’epoca nei combattimenti a Gaza erano già morti più di mille palestinesi e altri mille sarebbero morti prima della fine dell’operazione, un mese dopo. Secondo molti l’esercito israeliano stava deliberatamente attaccando i civili palestinesi. Nel mio articolo parlai di una statistica che sembrava raccontare una storia opposta.
Se Israele sta attaccando la Striscia in maniera indiscriminata o, come sostengono alcuni, prendendo di mira esplicitamente i civili, allora dovremmo aspettarci che le perdite principali tra i palestinesi ricadano [nella coorte d’età più diffusa tra gli abitanti di Gaza: i bambini tra gli 0 e i 14 anni che costituiscono il 43 per cento della popolazione nella Striscia]. Per scoprire se le cose stanno così è possibile utilizzare i dati diffusi dal ministero della Salute di Gaza che ha comunicato ad Al Jazeera e ad altri media i nomi e le età di tutte le persone morte a Gaza dall’inizio dei combattimenti. […]
Ecco i risultati: la fascia di età 0-14 anni che rappresenta il 43,30 per cento degli abitanti di Gaza ha subito il 17,6 per cento delle perdite totali. Le donne, che rappresentano circa la metà degli abitanti di Gaza, hanno subito il 20,3 per cento delle perdite. La sproporzione si inverte quando invece andiamo a vedere le fasce d’età dove è più probabile trovare dei combattenti. Gli abitanti della Striscia che hanno tra i 20 e i 24 anni rappresentano poco meno del 9 per cento della popolazione, ma rappresentano il 24 per cento dei morti causati da Israele. Quelli tra i 25 e i 29 rappresentano l’8,1 per cento della popolazione, e il 17,7 per cento dei morti.
Poche righe sotto rispondevo alla domanda del titolo:
Se questi numeri sono corretti […] lo scollamento tra i valori che ci si aspetterebbe in caso di un attacco indiscriminato è davvero sostanzioso. Questo fatto unito alle prove fornite da Israele sui suoi tentativi di risparmiare la vita ai civili (volantini e telefonate che avvertono i residenti di una certa area degli attacchi, roof-knocking e video che mostrano attacchi interrotti per via della presenza di civili) lasciano effettivamente supporre che Israele stia cercando di causare il minor numero possibile di danni alla popolazione e che i suoi sforzi abbiano avuto in qualche misura successo.
In realtà l’esercito israeliano non stava cercando di causare il “minor numero possibile di danni alla popolazione”. Mentre scrivevo il mio articolo l’esercito israeliano aveva già ucciso più di venti civili in un attacco aereo compiuto per uccidere un unico leader di Hamas. Quando le truppe di terra si trovarono sotto attacco nei sobborghi di Gaza, l’artiglieria aprì il fuoco in maniera massiccia contro la città per proteggere i soldati israeliani. È evidente dal numero di munizioni sparate in poche ore che l’esercito israeliano abbia sacrificato la salvaguardia dei civili per proteggere i suoi militari.
Cosa ancora peggiore, la frase è ambigua e sembra intendere che l’esercito israeliano cercasse di limitare i “danni” alla popolazione, comprese anche la distruzione di infrastrutture. Con il passare delle settimane e con ancora maggiore chiarezza lo scorso giugno, dopo la pubblicazione di un lungo rapporto delle Nazioni Unite, è divenuto evidente come l’esercito israeliano abbia deliberatamente distrutto infrastrutture civili che avevano un ridotto o inesistente valore militare. Centinaia e forse migliaia di abitazioni vicine al confine con Israele sono state abbattute dai bulldozer dell’esercito, non perché da quelle case provenisse il fuoco degli uomini di Hamas, ma perché erano situate in punti strategici. A leggere alcuni resoconti di soldati israeliani impegnati nelle operazioni di quei giorni, sembra che moltissime case siano state distrutte per pura e semplice rappresaglia.
Lo stesso è accaduto con alcuni degli edifici nelle zone più prestigiose di Gaza. Negli ultimi giorni di guerra l’aviazione israeliana ha distrutto alcuni appartamenti di lusso e centri commerciali con lo scopo di “creare pressione sulla classe dirigente di Gaza”. È evidente che Israele non ha fatto tutto quello che era possibile per risparmiare i civili e che in alcuni casi abbia volontariamente preso di mira infrastrutture civili senza alcun valore militare.
Ancora oggi credo che sia sbagliato dire che Israele abbia attaccato i civili in maniera del tutto “indiscriminata” o che, addirittura, abbia preso di mira in special modo i non combattenti. Le statistiche che ho utilizzato sulle fasce di età non sono mai stati smentite e sono state citate anche in articoli del New York Times e di BBC. La maniera corretta di utilizzare quei numeri, però, è quella contenuta in questi due articoli e in quello che scrissi successivamente per il Post: mettere in guardia dal prendere letteralmente le cifre sulle morti fornite all’epoca dall’ONU, che provenivano sostanzialmente da una fonte controllata da Hamas, il ministero della Salute di Gaza. Utilizzare questi dati per sostenere che l’esercito israeliano stava “cercando di causare il minor numero possibile di danni alla popolazione” è stato certamente un errore di cui mi scuso con i miei lettori.
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Il 28 luglio è cominciato il 21° giorno dell’operazione “Margine di protezione”, l’offensiva condotta dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. In queste tre settimane sono state uccise più di mille persone, in gran parte palestinesi. Si tratta di una tragedia che sta giustamente angustiando gran parte del mondo (anche se tragedie ancora più gravi, come quella che prosegue in Siria da più di tre anni, ricevono un’attenzione mediatica molto inferiore). Nonostante questo, chi è interessato all’argomento, ha il dovere di cercare di comprendere nel dettaglio cosa stia succedendo, aldilà della propaganda di una parte o dell’altra. Per farlo, uno degli strumenti migliori sono i numeri grezzi, anche se spesso vanno presi con grande cautela – come vedremo tra poco.
Il mio obbiettivo in questo articolo è rispondere ad una domanda molto precisa: Israele sta davvero cercando di risparmiare la vita ai civili? Si tratta di uno dei punti centrali nelle argomentazioni utilizzate dal governo israeliano per giustificare il conflitto e in quanto tale è importante capire se è un’affermazione supportata dai fatti oppure del tutto inconsistente. Credo sia importante specificare che con questo articolo intendo solo rispondere a questa domanda: non mi interessa individuare buoni o cattivi di questo conflitto e nemmeno indicare chi ha la legge internazionale dalla sua parte o quale delle due parti in campo si è resa responsabile di crimini di guerra. Questo articolo è il primo che intendo scrivere cercando di analizzare i numeri che sono disponibili su questo conflitto. Nella prossima puntata proverò a capire se l’operazione Margine di protezione è efficace nell’impedire o rallentare il lancio di razzi da parte delle milizie palestinesi.
Israele cerca davvero di risparmiare i civili?
La prima cosa da tenere presente è che Israele possiede il potenziale militare per uccidere ognuno dei circa due milioni di abitanti della Striscia di Gaza nel giro di pochi giorni e senza necessità di ricorrere ad armi nucleari. Che Israele si stia trattenendo dall’utilizzare tutta la forza che può mettere in campo è un fatto incontrovertibile: come ha scritto anche Giovanni Fontana sul suo blog, Israele non ha nessuna convenienza ad uccidere civili in maniera indiscriminata.
Quanto e con quanto successo l’esercito israeliano stia cercando di evitare perdite tra i civili, invece, è un altro discorso che ha bisogno di numeri e dati per poter essere compreso. L’esercito israeliano ha pubblicizzato molto le tecniche che sostiene di utilizzare per risparmiare la vita ai civili palestinesi (come ad esempio il roof-knocking, che avevamo spiegato qui). Guardando i bilanci delle perdite palestinesi non sembra che questi sforzi stiano funzionando molto. Forse è così, ma questi sforzi di certo stanno funzionando meglio rispetto all’ultima operazione condotta via aria e via terra nella Striscia di Gaza. Durante i 22 giorni dell’Operazione Piombo Fuso, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, si calcola che circa 1.400 palestinesi siano stati uccisi. Nei 21 giorni di Margine di protezione circa mille palestinesi sono stati uccisi, quasi un terzo in meno.
Una questione ancora più delicata del numero totale dei morti è la percentuale dei combattenti rispetto ai civili. In quasi qualunque guerra sia mai stata combattuta i non combattenti sono stati coinvolti ed uccisi, sia intenzionalmente che non intenzionalmente. Quando si combatte in aree densamente popolate il numero di civili uccisi aumenta in maniera esponenziale (Gaza, è importante sottolinearlo, ha una densità abitativa che è il doppio di quella del comune di Roma). Il numero di civili morti, naturalmente, aumenta anche se l’esercito difensore non cerca di proteggere i civili della sua parte: una cosa che Hamas è accusato di compiere su base quotidiana, ad esempio lanciando missili da postazioni vicino a scuole o moschee e nascondendo armi nelle case dei civili (un’accusa che è stata in parte confermata dal direttore della ONG Human Rights Watch, che di solito è estremamente critica nei confronti di Israele e dall’ONU, che ha ritrovato missili di Hamas nascosti all’interno delle sue scuole).
#Hamas is putting civilians at risk but “no evidence” it forces them to stay–definition of human shields: @NYTimes. http://t.co/9yvh1cRSer
— Kenneth Roth (@KenRoth) 25 Luglio 2014
Secondo l’ONU, circa il 75 per cento dei morti nel conflitto sono civili, ma è necessario prendere questo dato con una certa cautela. In un conflitto come quello di Gaza non solo non è facile distinguere civili e militari prima di colpire, ma è anche difficile capire chi è stato ucciso dopo che l’attacco è stato sferrato. È atroce da dire, ma un cadavere è un cadavere e a meno che non venga ritrovato armato, con un’uniforme o con altri segni di riconoscimento, è impossibile senza una lunga indagine distinguere se si tratti di un combattente oppure di un civile. Nei suoi rapporti, l’ONU non specifica la metodologia che utilizza per distinguere le perdite civili da quelle militari. Secondo i giornali israeliani, l’ONU utilizza i dati del ministero della Salute di Gaza (che è controllato da Hamas) che a sua volta indicherebbe come civili tutti coloro che non vengono uccisi con un’uniforme di Hamas addosso. Se così fosse, sarebbe un metodo di misurare le perdite civili poco affidabile.
Esiste in realtà una distinzione non precisa, ma indicativa per distinguere le perdite civili da quelle militari. Tendenzialmente i combattenti di qualunque conflitto sono in maggioranza maschi in giovane età, tra i 16 e i 40 anni. Naturalmente non ha senso sostenere che tutti i maschi della Striscia di Gaza tra i 16 e i 40 anni sono combattenti e nemmeno che tutti gli altri non lo sono. Però possiamo ragionevolmente aspettarci che la percentuale di combattenti tra i maschi che si trovano nella fascia d’età 16-40 sia superiore, ad esempio, alla percentuale di combattenti tra le donne nella fascia d’età 50-70, o in quella dei maschi tra gli 0 e i 15 anni. Più Israele cerca di mirare i suoi attacchi soltanto ai miliziani, più dovremmo aspettarci che siano alte le perdite nella fascia d’età in cui sono più numerosi i combattenti. Al contrario, meno cautele Israele mette in campo, più dovremmo vedere perdite nella fascia di età più diffusa nella Striscia di Gaza (qui trovate un po’ di informazioni sulla demografia degli abitanti della Striscia). Qual è questa fascia d’età? Si tratta dei palestinesi che hanno tra gli 0 e i 14 anni e che rappresentano il 43,3 per cento di tutti gli abitanti della Striscia di Gaza (possiamo essere ragionevolmente certi che in questa fascia d’età non ci sono combattenti).
Se Israele sta attaccando la Striscia in maniera indiscriminata o, come sostengono alcuni, prendendo di mira esplicitamente i civili, allora dovremmo aspettarci che le perdite principali tra i palestinesi ricadano in questa fascia d’età. Per scoprire se le cose stanno così è possibile utilizzare i dati diffusi dal ministero della Salute di Gaza che ha comunicato ad Al Jazeera e ad altri media i nomi e le età di tutte le persone morte a Gaza dall’inizio dei combattimenti. Per qualche ragione il ministero ha smesso di specificare il sesso delle vittime dopo i primi giorni, ma guardando ai nomi propri è possibile distinguere i maschi dalle femmine con una certa precisione. Negli ultimi giorni diversi esperti hanno provato ad analizzare questi numeri e vedere come sono distribuite le perdite nella popolazione di Gaza (ad esempio se ne parla qui, qui, qui e qui). Per i miei conteggi ho utilizzato questo documento, aggiornato a sabato 26 luglio (per sicurezza ho verificato che nomi ed età siano compatibili con quelli diffusi dal ministero della Salute e che i conti e le percentuali siano state calcolate in maniera corretta, una cosa che, con un po’ di pazienza, potete fare anche voi).
Ecco i risultati: la fascia di età 0-14 anni che rappresenta il 43,30 per cento degli abitanti di Gaza ha subito il 17,6 per cento delle perdite totali. Le donne, che rappresentano circa la metà degli abitanti di Gaza, hanno subito il 20,3 per cento delle perdite. La sproporzione si inverte quando invece andiamo a vedere le fasce d’età dove è più probabile trovare dei combattenti. Gli abitanti della Striscia che hanno tra i 20 e i 24 anni rappresentano poco meno del 9 per cento della popolazione, ma rappresentano il 24 per cento dei morti causati da Israele. Quelli tra i 25 e i 29 rappresentano l’8,1 per cento della popolazione, e il 17,7 per cento dei morti.
In altre parole: la distribuzione dei palestinesi uccisi sembra compatibile con l’intenzione di Israele di prendere di mira i membri delle milizie e di cercare di risparmiare i civili. Sembra invece statisticamente meno compatibile con la possibilità che Israele stia mettendo in atto un bombardamento indiscriminato o con l’accusa che le sue tecniche per risparmiare i civili siano del tutto inefficaci. Attenzione: non si tratta di prove conclusive e potrebbero esserci altre spiegazioni per questi numeri. Ad esempio, le perdite inferiori alle aspettative tra donne e bambini potrebbero essere dovute al fatto che queste due categorie sono più protette, più prudenti e meno inclini a rischiare la vita. Forse donne e bambini sono i primi ad abbandonare le aree che Israele avverte di voler attaccare, mentre i giovani maschi lasciano quei luoghi meno di frequente (ad esempio per continuare a lavorare).
Se questi numeri sono corretti, però, lo scollamento tra i valori che ci si aspetterebbe in caso di un attacco indiscriminato è davvero sostanzioso. Questo fatto unito alle prove fornite da Israele sui suoi tentativi di risparmiare la vita ai civili (volantini e telefonate che avvertono i residenti di una certa area degli attacchi, roof-knocking e video che mostrano attacchi interrotti per via della presenza di civili) lasciano effettivamente supporre che Israele stia cercando di causare il minor numero possibile di danni alla popolazione e che i suoi sforzi abbiano avuto in qualche misura successo. Questo non significa che non siano accaduti incidenti in cui sono stati uccisi soltanto civili e non combattenti (come quello dei quattro ragazzi palestinesi uccisi mentre giocavano su una spiaggia della Striscia). Non significa nemmeno che in futuro non possano emergere episodi in cui singoli soldati israeliani o gruppi di soldati abbiano preso esplicitamente di mira dei civili (magari a causa dello stress da combattimento). Le statistiche, però, sembrano suggerire che questi episodi non sono la normalità. Posto che ogni morte è una tragedia e ogni vittima della guerra lascia dietro di sé una famiglia disperata, se Israele non avesse davvero alcun interesse a tutelare le vite dei civili palestinesi con ogni probabilità dovremmo vedere un numero maggiore di morti nelle fasce di popolazione più numerose nella Striscia, e cioè le donne e i bambini.
Visto che stiamo parlando di un tema molto controverso, ci tengo a ripetere ancora una volta cosa non sto dicendo. Non voglio sostenere che Israele abbia il diritto legale di bombardare la Striscia di Gaza, né che faccia bene e che debba continuare a farlo e non voglio sostenere che le politiche di Israele nei territori occupati sono giuste. L’unica cosa di cui mi sono occupato in questo articolo è cercare di dare una risposta alla domanda che potete vedere nel titolo.