La questione del gas russo
Secondo una diffusa lettura della crisi in Ucraina, uno dei principali fattori che dovrebbero spingere l’Europa a trattare con prudenza la Russia è la dipendenza che il vecchio continente ha dal gas russo (se ne parla qui, ad esempio). Alle sanzioni europee, infatti, la Russia potrebbe rispondere con un taglio delle forniture di gas che ci farebbe sprofondare in un gelido inverno nel quale non potremmo più riscaldare le nostre case, far funzionare le nostre industrie e riscaldare i nostri pasti.
È una strategia che il presidente russo Vladimir Putin potrebbe decidere di intraprendere (in queste ultime settimane ci ha abituato a scelte piuttosto imprevedibili) e se lo facesse le economie europee subirebbero certamente dei danni. Ma ne subirebbero molti meno rispetto a qualche anno fa e, probabilmente, chi pagherebbe di più per questa scelta sarebbe proprio la Russia. Questo per almeno due motivi: il primo è che l’Europa da diversi anni non è più così dipendente dal gas russo e la seconda è che la Russia è almeno altrettanto dipendente dai ricavi che ottiene dalla vendita del gas.
Non è sempre stato così. In passato ci sono state diverse crisi energetiche, durante le quali la Russia – per brevi periodi – ha interrotto le forniture di gas all’Europa gettando nel panico diversi governi europei. Durante l’ultima crisi, nel 2009, diversi paesi dell’Europa centrale dichiararono lo stato di emergenza e in Bulgaria e Slovacchia scuole ed edifici pubblici vennero chiusi per diversi giorni. Negli ultimi cinque anni, però, sono cambiate parecchie cose.
Come potete vedere in questa infografica realizzata da @ginoselva, i principali paesi europei sono dipendenti dalle importazioni di gas russo per una quantità non superiore a circa un terzo del totale (il paese più dipendente è la Germania, con il 39 per cento, mentre Spagna e Regno Unito fanno completamente a meno del gas russo, qui trovate tutti i dati a pagina 22). Perdere un terzo delle proprie forniture di gas non è uno scherzo, ma bisogna considerare che si tratta di una minaccia molto meno spaventosa se fatta a marzo, cioè all’inizio della bella stagione, rispetto ad ottobre o novembre. Inoltre, un inverno insolitamente mite ha permesso ai vari paesi europei di formare ampie riserve strategiche di gas che basteranno per diversi mesi (secondo alcune analisi, infatti, nel 2013 la domanda europea di gas è stata la più bassa dal 1999).
Non solo: sul mercato oggi sono disponibili molti più fornitori di gas rispetto al passato. Come ha scritto su Forbes Christopher Coats, un giornalista ed esperto di questioni energetiche, un’interruzione delle forniture russe porterebbe certamente ad un incremento dei prezzi, ma gli stati europei potrebbero continuare a rifornirsi da paesi come Norvegia e Algeria. Il recente boom dello shale gas negli Stati Uniti, infatti, ha “liberato” una serie di produttori di gas che ora sono in cerca di mercati dove vendere il gas che non viene più acquistato dagli americani.
A questo bisogna aggiungere che la dipendenza è reciproca. Anzi: da un certo punto di vista, la Russia dipende dalle vendite di gas ancora più dell’Europa. Circa un terzo del gas prodotto da Gazprom (la società che esporta la maggiore quantità di gas russo ed è controllata dal governo federale) viene venduto all’Europa. Se a queste esportazioni sommiamo quelle che riceve l’Ucraina arriviamo alla metà del totale delle vendite di Gazprom. L’Unione Europea, inoltre, è anche il principale destinatario delle esportazioni di petrolio russo, con una quota intorno all’80 per cento. Il totale delle esportazioni di gas e petrolio genera, attraverso i ricavi di Gazprom e le imposte, la metà di tutte le entrate del governo federale russo. Questo significa che poco meno di un terzo delle entrate del governo federale russo dipendono dalla vendita di gas e petrolio all’Europa e all’Ucraina.
Tagliare per rappresaglia queste forniture significherebbe per il governo russo perdere dall’oggi al domani circa 100 milioni di dollari al giorno, secondo Coats. Questo salasso non farebbe che peggiorare una situazione già grave. Il bilancio russo si è sforzato in maniera considerevole per pagare l’organizzazione delle olimpiadi di Sochi e già oggi – con i ricavi dalla vendita di gas ancora al sicuro – diversi analisti dubitano che il governo abbia le risorse necessarie a mantenere in piedi per un lungo periodo l’esercito necessario a invadere e occupare la Crimea e i territori orientali dell’Ucraina.