Una panzana sulla disoccupazione
Il primo giugno l’ufficio studi della CGIL ha pubblicato una ricerca in cui, tra le altre cose, si dice che per tornare ai livelli di occupazione del 2007 ci vorranno 63 anni. Ieri sera a Ballarò, dove è stata citata la ricerca, la segretaria della CGIL, Susanna Camusso, ha cercato di minimizzare dicendo che la ricerca era una “provocazione”. Questo piccolo episodio è un paradigma di quello che non si dovrebbe fare e in particolare di quello che non dovrebbero fare i giornalisti.
Lo studio si intitola La ripresa dell’anno dopo (ed è scaricabile qui). Si tratta di una ricerca di 7 pagine, l’autore è Riccardo Sanna, dell’ufficio economico della CGIL. Lo scopo della ricerca è chiarito a pagina 3:
[…]capire quanto tempo ci vuole ancora per parlare di ripresa e recuperare il livello pre-crisi, se venissero prese come riferimento le suddette previsioni macroeconomiche ISTAT – e, dunque, senza elaborare alcun modello econometrico originale – a prescindere dalla congiuntura internazionale.
Il grassetto è nostro, tra poco vedremo perché è importante. Dopo questa premessa, la ricerca presenta tre scenari possibili per il futuro dell’Italia. Nel primo la crescita economica in Italia prosegue in maniera costante con il tasso previsto per il 2014: +0,7%. In questo scenario il PIL pre-crisi verrebbe recuperato nel 2026, la produttività nel 2017 e il livello di investimenti nel 2024. Il livello di occupazione verrebbe recuperato nel 2076, cioè tra 63 anni.
Gli altri due scenari sono più ottimistici e prevedono invece che nel futuro sarà costante il tasso di crescita che l’Italia ha avuto tra 2000 e 2007, cioè +1,6%. In questi due scenari si prevede di recuperare più o meno tutto quello che abbiamo perso tra il 2020 e il 2030.
A questo punto la domanda che ci si dovrebbe fare è: come sono stati ottenuti questi risultati? Torniamo alla parte evidenziata qualche paragrafo sopra. Questa ricerca è stata compiuta senza elaborare alcun modello econometrico originale e a prescindere dalla congiuntura internazionale. In altre parole i ricercatori hanno semplicemente immaginato che il PIL cresca in maniera costante al livello previsto per il 2014 o alla media del 2000 e il 2007 e hanno fatto una moltiplicazione.
Questo risultato non ha nessuna validità scientifica – come più o meno implicitamente ammette lo stesso testo della “ricerca”. Non ha senso fare previsioni a 5 o 10 anni (figurarsi a 63) senza elaborare modelli econometrici – cioè modelli statistici che cercano di simulare uno scenario economico – fingendo che la congiuntura internazionale non esista, come se l’Italia vivesse in una bolla di vetro sterile. Lo ha ammesso, più esplicitamente, Camusso mentre era ospite a Ballarò: la ricerca era una “provocazione”, quindi, possiamo concludere “non” era una ricerca, nel senso comunemente inteso.
Il comunicato stampa (che potete trovare qui) con cui la CGIL comunicava la pubblicazione della “provocazione” non è stato altrettanto prudente e non sono stati prudenti i giornali che lo hanno ripreso. Un breve elenco incompleto di chi lo ha cavalcato comprende: L’Unità, Il Giornale, Il Sole 24 Ore, Il Fatto Quotidiano. In questi articoli a volte è possibile rintracciare qualche dubbio, ma i titoli e i primi paragrafi danno tutti abbastanza per certo il risultato ottenuto dal centro ricerche della CGIL.
Chi ha sbagliato? Tutti, come dicevamo, anche se probabilmente una fetta di responsabilità maggiore va ai giornalisti. Nessuna legge vieta alla CGIL di pubblicare i dati che vuole e le previsioni che più gli piacciono, sopratutto se, come in questo caso, ammette più o meno implicitamente che non sta facendo una vera e propria previsione sul futuro.
Le ricerche economiche, come quelle in qualunque ambito scientifico, devono seguire un percorso determinato. Certo, è possibile sedersi davanti a un foglio Excel, calcolare qualche dato e ottenere qualche risultato interessante, ma questo deve essere certificato da qualcuno. In ambito accademico questo processo si chiama peer review e prevede la pubblicazione della ricerca su importanti riviste scientifiche del settore che sottopongono la ricerca allo scrutinio di un gruppo di esperti della materia. Recentemente ci sono stati alcuni esempi piuttosto noti di cosa può succedere quando una ricerca economica non viene sottoposta a questo processo.
Non è necessario seguire il processo di peer review per ottenere risultati scientificamente affidabili. Il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE, ad esempio, producono spesso paper di ricerca che non necessariamente affrontano lo stesso processo di revisione di un articolo accademico. Ma FMI e OCSE hanno una reputazione di affidabilità che deriva dal curriculum di chi viene assunto per fare ricerca e dal fatto che i loro risultati sono – quasi – sempre corretti e comunque mai completamente senza fondamento coma la “provocazione” della CGIL.
In un paese normale, questa “provocazione” avrebbe causato al centro studi della CGIL un danno reputazionale incalcolabile e avrebbe reso difficile a chiunque prendere sul serio qualunque ricerca che pubblicherà in futuro – un danno che non può non estendersi anche al vero modello econometrico presente nella ricerca, in cui si cerca di prevedere gli effetti del piano per il lavoro della CGIL.
In Italia tutto questo vale doppio: il dibattito su numeri e dati è spesso impreciso, la conoscenza economica e scientifica è carente – lo abbiamo sottolineato spesso. Dovrebbe essere prioritario evitare di pubblicare “ricerche” che sono in realtà provocazioni. Conoscendo la tendenza dei giornalisti italiani ad essere proni a qualunque “ricerca” per quanto eseguita con dubbia metodologia ed elaborata da scienziati non proprio affidabili, queste cautele dovrebbero essere raddoppiate. Non prendiamo nemmeno in considerazione l’ipotesi della malizia: l’idea cioè che questa “provocazione” non scientifica sia stata fatta apposta per finire sui titoli di alcuni giornali.
Nonostante questo, la colpa principale in questa faccenda resta dei giornalisti. Nel riportare questa notizia non hanno fatto il loro lavoro: non c’è un modo più semplice di dirlo. Hanno letto male la ricerca, non hanno consultato le loro fonti per avere un’altra opinione e hanno gonfiato quella che a loro sembrava la notizia più importante. Quella che era un’ipotesi che gli stessi ricercatori indicavano come non scientifica – una provocazione, appunto – è stata tramutata in una verità. I giornalisti hanno acriticamente riportato il comunicato stampa della CGIL, cancellando anche le cautele che i ricercatori avevano inserito nel documento. Hanno trasformato le ipotesi in certezze e le hanno stampate in titoli da nove colonne.