Prostitute, banche e olio d’oliva

Non è vero che in Germania tassare la prostituzione rende 4 miliardi di euro l’anno, non è vero che l’Italia è il più grande importatore di olio d’oliva al mondo e non è vero che in un anno di governo Monti le banche italiane hanno guadagnato in borsa il 70%. Sono alcuni degli errori e delle imprecisioni fatti ieri durante la puntata di Servizio Pubblico.

Non è vero, come ha sostenuto Beppe Grillo durante un servizio registrato, che l’Italia è il più grande importatore di olio d’oliva del mondo. Il primato spetta agli Stati Uniti. L’Italia è il più grande importatore di olio d’oliva in Europa: la nostra produzione di olive, infatti, non riesce a tenere testa alla nostra domanda interna di olio. L’Italia produce meno olive della Spagna – che ha una tradizione di olio degna quanto la nostra, e con una resa per ettaro inferiore (qui trovati i dati FAO). Qui e qui potete trovare due articoli che approfondiscono l’argomento.

Matteo Salvini, europarlamentare della Lega Nord, ha detto che la Germania guadagna ogni anno 4 miliardi di euro dalla tassazione delle prostitute, ma è un dato falso e impossibile da verificare. In Germania la prostituzione è legale, ma le agenzie incaricate non forniscono dati precisi su quanti lavoratori si sono registrati come prostitute. Il loro numero esatto, quindi, non si conosce. Un sindacato ha diffuso la cifra di 400 mila prostitute, ma i numeri più realistici parlano di circa 200 mila lavoratori del sesso.

Lo stesso rapporto del governo tedesco sottolinea che la tassazione delle prostitute è particolarmente difficile: le transazioni avvengono quasi sempre in contanti e si suppone che gran parte del mercato riesca a evadere il fisco. L’intero fatturato, quindi il totale dei guadagni della prostituzione – sia quelli in nero che quelli dichiarati, è stimato in circa 8 miliardi di euro. Nella città di Bonn, ad esempio, dove la tassazione delle prostitute è definita un successo, circa 200 lavoratrici procurano al fisco 250 mila euro l’anno, cioè 1.250 euro a testa. Se applicassimo questa cifra alla stima più larga di 400 mila prostitute in Germania, il guadagno netto per il fisco sarebbe di 500 milioni di euro l’anno.

Sempre secondo Salvini, durante l’anno del governo Monti le banche avrebbero guadagnato il 70% di valore in borsa.  Si tratta di un dato completamente sbagliato. Il giorno dell’entrata in carica del governo Monti, il settore banche della borsa di Milano valeva 18.899 punti. Oggi si aggira intorno agli 11 mila punti. Salvini ha poi ricordato una storia che gira molto in rete: quella per cui ci sarebbero 98 miliardi di euro evasi dalle grandi società del gioco d’azzardo che lo stato, per qualche motivo, non vuole riscuotere.

Non è vero e la storia è più complessa. La cifra di un’evasione da 98 miliardi avrebbe dovuto far suonare un campanello d’allarme a tutti i giornalisti presenti in trasmissione per la sua enormità. Per avere un’idea delle proporzioni pensate che si tratta di un ventesimo del debito pubblico italiano e di circa un sesto di tutta la spesa pubblica del nostro paese. L’intero settore delle slot machine fattura in un anno circa 50 miliardi. Questo significa che per raggiungere quella cifra, avrebbe dovuto evadere completamente le tasse per quattro o cinque anni. Questo significa anche che quelle società non hanno nessun modo di pagare quella cifra, nemmeno andando in fallimento.

Ecco come andò veramente. Le slot machine sono collegate ad una rete tramite la quale lo stato può controllare quanto incassano e quindi tassare quel guadagno. Dal 2004 al 2006, per una serie di motivi su cui si sta ancora indagando – un classico pasticciaccio all’italiana in sostanza – moltissime slot machine rimasero scollegate da questa rete. Questi “scollegamenti” vennero classificati come causati da “forza maggiore”, e quindi, come previsto dalla legge, i concessionari invece che pagare secondo i risultati della rete, pagarono un forfait.

Nel 2007 la Corte dei Conti incaricò la Guardia di Finanza di controllare quante slot e per quanto tempo furono scollegate dalla rete e di calcolare la multa corrispondente. La legge prevedeva infatti che per ogni ora di mancato collegamento il concessionario dovesse pagare 50 euro di multa. La cifra calcolata fu di 98 miliardi – attenzione: questa cifra è la multa, non il calcolo del denaro evaso. Dopo cinque anni di processi e varie traversie, la Corte dei conti ha respinto la multa e condannato i gestori delle slot a pagare 2,5 miliardi. Una cifra che è comunque enorme e ammonta all’80% di quanto le società condannate hanno guadagnato tra il 2004 e il 2007.

Come ha detto Maurizio Landini, segretario generale della FIOM, è vero che l’articolo 8 della manovra finanziaria approvata a settembre 2011 permette che con i contratti aziendali e territoriali vengano derogati i contratti nazionale e le leggi, in particolare lo Statuto dei lavoratori. Quello che Landini non ha detto è che tali deroghe devono essere approvate dai sindacati maggiormente rappresentativi (CGIL, CISL e UIL) e poi sottoposte al referendum di approvazione dei lavoratori.

Sempre secondo Landini, ogni grande paese al mondo ha dalle due alle quattro grandi aziende automobilistiche. Si tratta di un’affermazione falsa. Se è vero che Francia e Germania hanno diverse grandi aziende automobilistiche, di cui molte (Opel, Peugeot) in grave crisi, Spagna e Regno Unito non hanno nessuna azienda automobilistica di dimensioni importanti.

L’avvocato Roberto Vassalle, presentato come “il terrore delle banche” da Giulia Innocenzi, ha spiegato che in Italia da vent’anni c’è una commistione tra banche e politica, causata principalmente dalla presenza di politici all’interno delle fondazioni bancarie che a loro volta controllano le banche. Quest’ultimo fatto è senz’altro un fatto vero. Bisogna sottolineare però che prima di questi vent’anni la commistione tra banche e politici – sia che venga considerata un bene o un male – era certamente maggiore, visto che il sistema bancario era pubblico e lo stato controllava direttamente le banche.

Salvini ha sostenuto, parlando dell’Unione Europea che «tutti mettono dazi tranne noi», intendendo probabilmente che nel suo complesso l’UE sia un’area meno protezionista del resto mondo. Potete controllare di persona i punteggi di apertura del mercato su questo documento della Camera di commercio internazionale. Non è presente un dato medio per l’UE, ma anche ad una rapida lettura risulta chiaro che la divisione tra paesi protezionisti e meno protezionisti segue più o meno precisamente la linea che divide i paesi industrializzati dalle economie in via di sviluppo – i primi sono più aperti dei secondi. I paesi europei economicamente più stabili sono anche quelli con il mercato più aperto – anche se questa correlazione, ovviamente non implica necessariamente una causalità.

Infine, una nota leggera: in un altro intervento registrato, Beppe Grilo ha detto: «Cina e India non esportano più». L’India, in realtà, non ha mai esportato molto – come avevamo scritto qui – e questo è uno dei problemi principali della sua economia. Sulle esportazioni cinesi invece, permetteteci di fare una pausa. Siamo stanchi di battere sulla nostra tastiera – prodotta in Cina – e quindi spegniamo il cellulare – assemblato in Cina – e ci togliamo le scarpe – marchio italiano, ma made in China. Con i piedi sul tavolo ci accendiamo una sigaretta. L’accendino, manco a dirlo, è fabbricato in Cina.

 

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca