Monti, Renzi e l’opzione liberale
Le primarie del centrosinistra fra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani sono finite da neanche un mese eppure sembra che siano passati anni. E lo dico al netto del mio contraccolpo psicologico – le ho seguite intensamente per due anni, inevitabile che abbia una certa sensibilità sull’argomento – perché l’impressione è che siano state letteralmente fagocitate dai giorni successivi. Il che è inevitabile in un Paese come il nostro, con una memoria storica di tre ore. Il punto però politicamente parlando è un altro. La vittoria di Bersani ha un orientamento preciso, che è sotto gli occhi di tutti. Non ha prevalso la linea di Renzi, quella che per semplificazione si definisce “liberale”. La conosciamo, non starò qui a rispiegare il programma politico del sindaco. Finora siamo stati abituati a pensare che non ce ne fossero altre, di alternative liberali (a parte “Fermare il declino” e pochi altri ma di sicuro non mainstream). La mossa di Mario Monti di ieri (seppure con il suo carico di ambiguità non chiarite) rischia di creare seri problemi a Renzi. Mediatici, politici. Il sindaco ha scelto, coerentemente, di tornare a fare il suo mestiere, chiudendosi in un silenzio piuttosto esplicito. La rottamazione non è ancora conclusa – la Rosy Bindi è sempre lì pronta a candidarsi, in deroga, a Reggio Calabria – ma adesso a portare avanti un’agenda liberale c’è Monti. L’addio al Pd di Pietro Ichino, uno degli autori del programma renziano, è da questo punto di vista significativo (un addio probabilmente meditato da tempo, non nato certo in questi giorni e non sulla spinta di qualche intervista). Altri lo seguiranno? Possibile. Resteranno nel Pd in quota minoranza? Altrettanto possibile. Enrico Morando, Paolo Gentiloni, Giorgio Tonini e Stefano Ceccanti (parlamentari uscenti del Pd e renziani) hanno invitato Monti all’assemblea dell’associazione LibertàEuguale del 12 gennaio. In questo scenario Renzi forse spera che Bersani vinca le elezioni e che non riesca a governare a lungo. Ma a parte queste supposizioni su cosa farà il sindaco, l’opzione montiana – che è una candidatura d’establishment ancora tutta, elettoralmente, da pesare – potrebbe rappresentare alle politiche un’alternativa per chi aveva votato Renzi alle primarie. Il problema di Monti sono le persone che si porterà dietro. Ritrovarsi con Cesa, per citarne uno, non dà certo garanzie di rinnovamento. E quando nascono movimenti del genere il rischio è di raccattare personale politico senza badare troppo al curriculum e alle storie (pensate a come ha gestito il reclutamento Fli, soprattutto a livello locale). Comunque, la domanda mi pare legittima: non è che Monti si “mangerà” Renzi?