Siena, il Monte dei Paschi e l’autarchia
Siena ha costruito sulla «senesità» il suo mito autarchico, finora rimasto intonso grazie a un incredibile mix di potere finanziario e potere politico. Adesso però anni di ossessione — la «senesità del Monte dei Paschi» che non deve essere intaccata — scricchiolano sotto i «toc toc» del mercato che bussa al portone di Rocca Salimbeni. L’equilibrio perfetto fra lo strapaese e lo strapotere, che ha permesso alla città di vivere placidamente grazie alle erogazioni della «mucchina da mungere», la Fondazione che controlla Banca Mps con il 48 per cento, avrà bisogno di puntelli esterni. Il 15 per cento delle quote sarà venduto. I finanziamenti sono stati congelati, bocciofile, circoli Arci e associazioni culturali rimarranno a bocca asciutta, il bando per quest’anno non è stato pubblicato e chissà quando ne verrà fatto uno nuovo. In 15 anni sono stati riversati su Siena e dintorni quasi due miliardi di euro, con il record di 233 milioni nel 2008. Quale altra città italiana ha un rapporto così stretto fra una banca e il suo territorio? Finora ogni intervento non senese è stato vissuto nella città del Palio come un’ingerenza esterna, l’arrivo del «forestiero» vissuto come un tentativo di conquista ordito dai barbari. Se volete avere un’idea rapida di quello che sto dicendo, guardatevi questo servizio di La7 firmato da Alessandro Sortino:
Adesso però la campanella è suonata, il Monte annuncia la riduzione del 3 per cento delle spese del personale, i sindacati rispondono con lo sciopero – il primo unitario da vent’anni a questa parte, ma anche loro hanno delle responsabilità; cosa facevano mentre la baracca veniva giù? – e per il futuro della banca si cercano nuove strategie. Ma anche un nuovo management. Intanto i forestieri stanno giungendo in città. È arrivato Fabrizio Viola come direttore generale (fra qualche settimana sarà nominato amministratore delegato). Poi toccherà al nuovo presidente della Banca. Giuseppe Mussari è in scadenza e il suo successore potrebbe essere l’ex ad di Unicredit Alessandro Profumo, un nome che divide il Pd. Ma la svolta richiesta per una città come Siena è superiore e prescinde dalle «grandi firme». La spiega in maniera molto elegante l’ex sindaco Roberto Barzanti: «L’eccessiva attenzione dei partiti e dei gruppi in cui sono divisi dovrebbe cedere il passo a soluzioni fondate su programmi e su una selezione del ceto dirigente a forte caratura tecnica». Insomma serve un Monti anche per il Monte?