Ha nominato Matt Gaetz come procuratore generale e Tulsi Gabbard come direttrice dell'intelligence
Altre accuse contro Matt Gaetz
Una donna ha testimoniato davanti al comitato etico della Camera statunitense di aver visto Matt Gaetz avere un rapporto sessuale con una ragazza di 17 anni a una festa nel 2017, quando lui aveva 35 anni ed era deputato per il Partito Repubblicano. La donna ha aggiunto che Gaetz avrebbe offerto a lei e un’altra donna dei soldi in cambio di un rapporto sessuale, secondo quanto riferito lunedì dall’avvocato delle due donne, Joe Leppard.
Le accuse sono riferite a un’indagine a carico di Gaetz condotta dal comitato etico per accuse di molestie sessuali e uso di droghe illegali, tra le altre cose. Il procedimento si è chiuso la settimana scorsa, contestualmente alle dimissioni di Gaetz dall’incarico di deputato. Tra il 2021 e il 2023 Gaetz fu sottoposto anche a un’altra indagine, condotta dal dipartimento di Giustizia (quello che ora dovrebbe guidare come procuratore generale), per accuse di tratta di persone minorenni a scopo sessuale. Anche questa però venne chiusa nel 2023 senza la formulazione di accuse formali.
Gaetz ha sempre negato di aver avuto rapporti sessuali con ragazze minorenni e di aver pagato per avere rapporti. Il comitato etico avrebbe dovuto diffondere un rapporto sugli sviluppi dell’indagine, ma le dimissioni di Gaetz e la conseguente chiusura dell’indagine hanno bloccato la procedura. Non è chiaro se il rapporto, ormai pronto, verrà diffuso comunque.
Della sua nomina avevamo parlato qui:
Un’altra nomina di cui si sta già parlando parecchio
Tra le varie nomine annunciate la scorsa settimana, il presidente eletto Donald Trump ha scelto Tulsi Gabbard come direttrice dell’intelligence. La decisione sembra fatta apposta per far arrabbiare gli oppositori di Trump, e per dire che durante il suo secondo mandato ci sarà una politica estera ben diversa da quella attuale.
Gabbard era una deputata del Partito Democratico, ma nel 2022 lasciò il partito e divenne una delle più convinte sostenitrici di Trump e della sua corrente MAGA. È nota soprattuto per aver preso posizione a favore del presidente russo Vladimir Putin e del dittatore siriano Bashar al Assad. Ne abbiamo parlato qui:
Il “ballo di Trump” è un meme
Negli ultimi giorni negli Stati Uniti diversi atleti hanno celebrato le loro vittorie o i punti segnati con alcune mosse che imitano un tipico balletto che Donald Trump, vincitore delle elezioni presidenziali, faceva durante i comizi in campagna elettorale. Le mosse consistono nel far andare avanti e indietro le braccia e ondeggiare le anche, mentre i piedi sono fermi: Politico ha paragonato le mosse degli atleti a «tuo zio che balla a un matrimonio dopo aver trangugiato lo spritz Aperol dell’open bar».
L’analisi della sconfitta, per Kamala Harris
In seguito al risultato delle elezioni presidenziali statunitensi del 5 novembre, nel Partito Democratico ci si è iniziati a chiedere dove abbia sbagliato Kamala Harris. Non c’è una risposta certa e nemmeno una sola risposta possibile: si possono fare alcune considerazioni sulla base di quello che è successo durante la campagna elettorale, dei risultati e delle analisi proposte finora sul voto.
C’entrano di certo alcune decisioni del presidente Joe Biden e la sua impopolarità, oltre ad alcune decisioni sbagliate prese da Harris durante la sua breve campagna elettorale. Ne abbiamo parlato qui:
Come cambierà l’America con Trump – video
Nel nuovo video settimanale, Francesco Costa racconta come cambieranno gli Stati Uniti dopo l’elezione di Donald Trump: che impatto avrà la sua presidenza su economia, immigrazione, politica estera, sanità e altri aspetti della società statunitense? Il video è disponibile gratuitamente sul canale YouTube Da Costa a Costa:
Le nomine di governo di Donald Trump, molto estreme e molto MAGA
Il presidente eletto Donald Trump nei giorni successivi alla sua rielezione ha iniziato a riempire alcuni dei ruoli della sua amministrazione, peraltro dando seguito alla promessa di inserire anche Elon Musk nella squadra di governo.
Le scelte di Trump in questa prima fase sono andate tutte nella stessa direzione: puntare su persone fidate, che conosce da tempo o che appartengono alla cerchia ristretta dei suoi sostenitori più convinti, esponenti della parte più radicale del movimento MAGA. Questo implica che le stesse nomine siano state piuttosto estreme e insolite: per esempio ha scelto il presentatore televisivo Pete Hegseth come suo segretario alla Difesa, o il deputato della Florida Matt Gaetz come procuratore generale degli Stati Uniti, l’equivalente (circa) del ministro della Giustizia. Gaetz fin qui si era fatto notare soprattutto per aver avuto nel 2023 un ruolo decisivo nella rimozione dell’allora speaker della Camera Kevin McCarthy, in un processo che bloccò i lavori del Congresso per mesi.
Come direttrice dell’intelligence è stata scelta Tulsi Gabbard, ex deputata Democratica, che provò anche a candidarsi presidente nel 2020, prima di lasciare il partito e diventare una delle più convinte e acritiche sostenitrici di Trump. Gabbard è considerata una simpatizzante del presidente russo Vladimir Putin e piuttosto ostile a quello ucraino, Volodymyr Zelensky.
Ne abbiamo parlato più approfonditamente qui.
Dove eravamo rimasti, dove siamo ora
Abbiamo seguito le elezioni statunitensi in un altro liveblog, che speriamo abbiate seguito: se avete bisogno di recuperare qualcosa, lo trovate qui sotto.
Riprendiamo il racconto su “Da Costa a Costa” quando è arrivata una risposta anche all’ultimo grande dubbio sull’esito elettorale: i Repubblicani avranno la maggioranza anche alla Camera e quindi controlleranno, oltre alla presidenza, entrambe le camere del Congresso (al Senato la situazione era chiara già dalla notte elettorale).
Donald Trump ha detto che non gli «importa molto» se sparano ai giornalisti
In uno degli ultimi comizi prima della fine della campagna elettorale Donald Trump è andato particolarmente “a braccio”, più di quanto non faccia abitualmente, allontanandosi dal testo concordato con i responsabili della sua campagna. A Lititz, in Pennsylvania, ha detto fra le altre cose che non avrebbe dovuto lasciare la Casa Bianca, dopo le elezioni del 2020, ha denunciato brogli per truccare le prossime elezioni e ha usato un linguaggio particolarmente violento. In particolare se l’è presa con i giornalisti presenti, dicendo che non gli «importerebbe molto» se qualcuno sparasse loro.
Trump ha detto questa cosa parlando del pannello di vetro antiproiettile che lo proteggeva sul palco, misura introdotta dopo il tentativo di assassinarlo a Butler, in Pennsylvania, a luglio. «Ho questo pezzo di vetro intorno a me, ma quello che davvero circonda tutti noi sono le fake news». Trump si riferisce abitualmente ai giornalisti chiamandoli fake news (notizie false) e in questo caso indicava i molti che erano intorno al palco: «Se qualcuno volesse colpire me, dovrebbe sparare attraverso le fake news. E non mi importerebbe molto». Ha poi ripetuto «Non mi importa, non mi importa», suscitando risa e applausi del pubblico.
Nelle ore seguenti il portavoce della campagna di Trump Steven Cheung ha provato a sostenere che Trump non intendesse quello che è stato capito, ma che volesse solo sottolineare come «anche i giornalisti corrano un grande pericolo».
Le foto di una tradizione statunitense: i cartelli elettorali in giardino
Nonostante da tempo la propaganda elettorale si faccia perlopiù sui social network, e non solo a ridosso del voto, negli Stati Uniti resiste la tradizione dei cartelli elettorali nei giardini, quelli con loghi, slogan e i nomi dei candidati di questo o quel partito. Spesso sono accompagnati da bandiere, scritte ironiche e decorazioni di Halloween, dato il periodo in cui si tengono le elezioni. Anche se la loro storia risale all’Ottocento, sono diffusi soprattutto dagli anni Sessanta: in questo articolo abbiamo raccolto alcune foto dei cartelli di questa campagna.
Avete una domanda sulle elezioni americane? Qui probabilmente c’è la risposta
Il momento delle elezioni si avvicina, sabato il vicedirettore del Post Francesco Costa ha provato a rispondere a tutte le domande che potrebbero rimanervi. Lo ha fatto nella newsletter settimanale di Da Costa a Costa, l’ultima prima delle elezioni presidenziali statunitensi. Ci si può iscrivere a Da Costa a Costa gratuitamente qui, per riceverla ogni sabato. Qui invece c’è il canale YouTube, dove il 5 novembre dalle 22:30 la redazione del Post seguirà e racconterà in diretta lo scrutinio e il risultato elettorale.
Abbiamo ripreso le 84 domande e risposte in un articolo, questo:
Gli ultimi giorni di campagna elettorale per Donald Trump e Kamala Harris
Martedì – tra quattro giorni – si concluderanno le elezioni presidenziali statunitensi: in questi ultimi giorni i due candidati, il Repubblicano Donald Trump e la Democratica Kamala Harris, hanno programmato una serie di ultime iniziative e comizi per convincere elettori ed elettrici ancora indecisi a votare per loro, soprattutto nei cosiddetti stati in bilico, quelli decisivi per l’esito delle elezioni. Trump e Harris sono appena stati in Nevada, in Arizona e in North Carolina e andranno in Wisconsin, Georgia, Michigan. Ne abbiamo parlato qui:
Altri endorsement notevoli per Kamala Harris
Alcuni dei principali attori e attrici dei film sugli Avengers, i supereroi protagonisti di una fortunatissima saga della Marvel, hanno fatto una specie di endorsement collettivo a Kamala Harris, la candidata Democratica alla presidenza degli Stati Uniti. In un video condiviso sui social network Scarlett Johansson, Robert Downey Jr. e Don Cheadle, tra gli altri, hanno cercato di trovare uno slogan adatto a Harris, concordando alla fine su «down with democracy», che si può rendere come “dalla parte della democrazia”.
Ma ha dato il suo sostegno alla candidata Democratica anche LeBron James, uno dei giocatori di basket più forti della storia. Ha pubblicato sui suoi profili social un video, un montaggio di molte frasi razziste di Trump e di suoi sostenitori, accompagnate da una musica cupa e da immagini d’archivio delle lotte per i diritti civili delle persone nere. A commento del video ha scritto che «per lui la scelta è chiara»:
Un po’ di cose sugli stati in bilico
Le elezioni presidenziali del 5 novembre saranno di fatto decise dai risultati di sette stati in bilico, ossia dove il risultato è molto incerto e influenzerà l’esito generale del voto. Sono North Carolina, Georgia, Arizona, Nevada, Pennsylvania, Wisconsin e Michigan.
Ognuno ha caratteristiche diverse, e la campagna elettorale ha girato intorno a temi diversi. Ne abbiamo parlato qui:
La causa contro la lotteria da un milione di dollari al giorno di Elon Musk è stata rinviata a dopo le elezioni
Giovedì il miliardario Elon Musk non si è presentato a un’udienza della corte di Filadelfia, in Pennsylvania, a proposito della sua lotteria che regala un milione di dollari al giorno. La convocazione era obbligatoria, ma giovedì il giudice Angelo Foglietta ha deciso di sospendere temporaneamente la causa finché non sarà valutata da una corte federale, come chiesto mercoledì dagli avvocati di Musk. Se ne riparlerà quindi dopo le elezioni presidenziali del 5 novembre.
Con l’obiettivo di rimandare o annullare l’udienza, mercoledì sera gli avvocati di Musk avevano depositato alla corte di Filadelfia una “mozione di rimozione”, ossia una richiesta affinché il caso venisse preso in carico da una corte federale, dato che la lotteria avviene in più stati e non solo in Pennsylvania. La lotteria è rivolta alle persone iscritte ai registri elettorali degli stati in bilico, fra cui la Pennsylvania, che firmano una petizione a favore della libertà di parola e del diritto di possedere armi ed è promossa dalla sua organizzazione a favore di Donald Trump, America PAC.
L’udienza, di carattere urgente, era stata convocata con 24 ore di anticipo, dopo che lunedì il procuratore distrettuale di Filadelfia, Larry Krasner, aveva intentato una causa contro Musk e l’America PAC, sostenendo che la lotteria fosse illegale perché influenzava gli elettori. Poche settimane fa anche il dipartimento di Giustizia aveva avvertito che la lotteria avrebbe potuto violare la legge federale che proibisce di pagare qualcuno a seconda dell’iscrizione o meno nei registri elettorali.
Secondo l’Economist entrambi i candidati hanno esattamente il 50 per cento di possibilità di vincere
Secondo il modello probabilistico curato dall’Economist, al momento sia Kamala Harris che Donald Trump hanno esattamente il 50 per cento di possibilità di vincere le elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre. Il modello dell’Economist non si basa solo sui risultati dei sondaggi, ma crea una serie di scenari ipotetici che tengono conto di molte altre variabili e determina in quanti scenari vince un candidato rispetto all’altro. Ora, entrambi vincono 50 volte su 100: una completa parità.
Dell’incertezza dei sondaggi avevamo parlato qui:
Il mancato endorsement sta costando caro al Washington Post
La scorsa settimana il Washington Post, uno dei più noti e prestigiosi quotidiani statunitensi, ha annunciato che non avrebbe sostenuto alcun candidato alle elezioni presidenziali, non solo quelle del prossimo 5 novembre ma anche quelle future. La decisione sta già avendo conseguenze concrete: lo stesso Washington Post ha detto di aver perso 250mila abbonati nei giorni successivi all’annuncio, pari al 10 per cento del totale.
La decisione aveva creato estese polemiche perché, secondo quanto rivelato da alcuni giornalisti rimasti anonimi, la redazione era già pronta a pubblicare un articolo a sostegno della candidatura Democratica Kamala Harris, ma i dirigenti avrebbero bloccato tutto all’ultimo minuto. Sempre secondo fonti interne citate dallo stesso Washington Post, la decisione di cambiare approccio sarebbe stata presa direttamente da Jeff Bezos, proprietario del giornale dal 2013, fondatore di Amazon e capo della società spaziale Blue Origin.
Gli endorsement sono un’usanza consolidata tra i giornali statunitensi e sono espressi dagli editorial board, ossia gruppi di giornalisti che scrivono gli editoriali e il cui lavoro è rigidamente separato dalla redazione che lavora quotidianamente alle notizie, alle inchieste e ai reportage. Nelle ultime settimane diversi altri quotidiani hanno dichiarato il loro sostegno a Harris, tra cui il New York Times e l‘Atlantic.
Arnold Schwarzenegger sosterrà Harris e Walz
Con un lungo post pubblicato sul social network X, l’ex attore e governatore della California Arnold Schwarzenegger ha detto che alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre voterà per la candidata Democratica Kamala Harris e per il suo vice Tim Walz. È un endorsement piuttosto particolare, dato che per otto anni (2003-2011) Schwarzenegger governò la California come esponente del Partito Repubblicano.
«Lasciatemi essere onesto con voi: al momento non mi piace nessuno dei [due] partiti», ha scritto. Dopo però ha criticato duramente Donald Trump, definendolo «un candidato che non rispetta il voto a meno che non sia per lui, che manda i suoi sostenitori ad assaltare il Congresso mentre li guarda con una Coca Zero, che non ha dimostrato di avere la capacità di approvare alcuna misura se non un taglio delle tasse che ha aiutato i suoi finanziatori», e altro ancora.
«Sarò sempre un americano prima di un Repubblicano», ha aggiunto.
Trump ha fatto un comizio molto peggiore di tutti gli altri
Domenica sera Donald Trump ha tenuto un comizio al Madison Square Garden, il famoso palazzetto dello sport di New York, in cui lui e gli altri oratori intervenuti hanno usato una retorica molto violenta, più di quella abituale. In particolare, Trump e gli altri oratori hanno fatto commenti apertamente razzisti e misogini contro Kamala Harris e contro gli elettori afroamericani e latinoamericani, usando una retorica volgare e aggressiva.
Il discorso più commentato è stato quello di Tony Hinchcliffe, un comico che ha parlato prima di Trump e ha definito l’isola di Porto Rico «un’isola di spazzatura galleggiante» e ha detto che le persone latinoamericane «adorano fare bambini», proseguendo poi con alcune battute crude sul sesso dei latinos. Ha poi fatto battute su palestinesi, ebrei e perpetuato un vecchio stereotipo razziale sugli afroamericani. Altri oratori hanno attaccato Harris con estrema volgarità: uno le ha dato di fatto della prostituta. Questo comizio potrebbe avere delle conseguenze, ne abbiamo parlato più in esteso in questo articolo:
Anche Beyoncé ha infine espresso il suo sostegno a Kamala Harris
Venerdì Kamala Harris ha fatto un comizio a Houston, in Texas, a cui hanno partecipato circa 30mila persone: insieme a lei sul palco c’erano anche la cantante Beyoncé e il cantante di musica country Willie Nelson, entrambi originari dello stato e molto amati dalla popolazione texana, e la cantante Kelly Rowland (che invece è della Georgia). Negli scorsi mesi Beyoncé, che è una delle artiste più famose e influenti al mondo, aveva permesso a Harris di usare la sua canzone “Freedom” come colonna sonora della sua campagna elettorale, vietandolo invece a Donald Trump, cosa che aveva reso chiaro un suo implicito sostegno a Harris. Tuttavia una sua dichiarazione più esplicita era attesa.
Il comizio era incentrato sul tema dei diritti riproduttivi e dell’aborto, dato che in Texas c’è un divieto totale di abortire salvo in casi in cui è necessario per salvare la vita della persona incinta: è un’eccezione molto problematica dato che anche in questi casi spesso i medici sono costretti ad aspettare che le condizioni della paziente siano critiche prima di intervenire, per non rischiare di essere legalmente perseguibili. Beyoncé non ha cantato ma ha fatto un discorso a favore del diritto delle donne di abortire, dicendo «non sono qui come una celebrità. Non sono qui come una politica. Sono qui come madre». Riferendosi al pubblico ha aggiunto: «la vostra libertà è un vostro diritto divino, un vostro diritto».
Secondo i sondaggi Harris non ha praticamente speranze di vincere in Texas (poiché nonostante i recenti cambiamenti rimane ancora uno stato prevalentemente Repubblicano), ma un comizio sul tema dell’aborto insieme a Beyoncé potrebbe avere un effetto anche negli stati in bilico, dove Donald Trump nelle ultime settimane è salito nei sondaggi.
Quasi in contemporanea al comizio di Harris è stata pubblicata online l’intervista a Trump di Joe Rogan, che conduce il podcast più ascoltato al mondo.
L’endorsement del Washington Post non arriverà
Il Washington Post, uno dei giornali più influenti negli Stati Uniti, ha scritto in un editoriale che non esprimerà il proprio “endorsement” (cioè il sostegno a un candidato) per le prossime elezioni presidenziali, né lo farà più in futuro. È una cosa che era stata in parte prevista, ma è anche una notizia perché dal 1976 il Washington Post ha sempre sostenuto candidati Democratici e perché in generale è una presa di posizione che ci si aspetta dai giornali statunitensi, sebbene da anni ci sia un dibattito sul tema. Il New York Times ha scritto che, secondo alcuni giornalisti del Washington Post, prima che i dirigenti del giornale prendessero questa decisione era stata preparata la bozza per l’endorsement di Kamala Harris.
Tra le ipotesi di cui si discute c’è che questa decisione sarebbe stata condizionata dagli interessi di Jeff Bezos, imprenditore capo di Amazon e Blue Origin che ha acquistato il giornale nel 2013, a mantenere buoni rapporti col governo nell’eventualità in cui vinca Trump. Il Washington Post è inoltre da tempo impegnato ad aumentare il suo numero di abbonati per fronteggiare una crisi che va avanti da un paio d’anni, tra le altre cose puntando a raggiungere più persone con idee conservatrici. Alcuni giornalisti della redazione hanno fatto sapere di essere contrari a questa decisione, il comitato di redazione (Washington Post Guild) ha detto di essere «molto preoccupato» e l’opinionista Robert Kagan si è dimesso. Una cosa simile era successa pochi giorni fa anche al Los Angeles Times, portando alle dimissioni di uno dei capi della redazione e di due giornalisti.