Il problema politico della sanità e la famiglia Angelucci
Uno dei momenti più limpidi di rabbia inutile e violenta che ho provato da quando sono adulto è stato quando qualche anno fa una persona a me molto cara dovette essere ricoverata in una clinica privata per degli esami da fare urgentemente – avrebbe dovuto aspettare mesi in un’ospedale pubblico – e altrettanto urgentemente essere operato, sempre in questa clinica, finendo per spendere, tra cure e degenza, 18.000 euro all’incirca. Questo capitava negli stessi giorni in cui io non venivo pagato per i pezzi che scrivevo (pensando di ricevere i miseri 80 euro pattuiti), per un giornale che sarebbe morto di lì a poco, Il Riformista.
Ora, i due eventi appartengono allo stesso insieme semplicemente perché Il Riformista e questa clinica privata erano di proprietà della famiglia Angelucci. In questi giorni d’estate semiautunnale ho risentito parlare per un paio di volte delle cliniche degli Angelucci per due notizie di cronaca relegate in trafiletti nelle pagine locali o on-line, assenti su vari giornali: la prima la trovate qui, la seconda qui. La prima racconta di un’indagine in cui si accusano gli Angelucci e i principali dirigenti del loro impero sanitario (Roma Global Service, Tosinvest, San Raffaele di Velletri…) di una truffa per circa 160 milioni di euro (gulp!) a loro favore (“E per ottenere questo risultato Angelucci avrebbe impiegato anche i mezzi d’informazione di sua proprietà per esercitare «quale forma indebita diretta o potenziale di pressione»). La seconda racconta che Wikimedia Italia è stata assolta da una causa di risarcimento da 20 milioni di euro (anche qui: gulp!) che gli Angelucci avevano chiesto per una voce che sostanzialmente ritenevano diffamatoria (motivo: le citazioni dei guai giudiziari nella pagina a loro nome). Il giudice, riferisce Repubblica, ha riconosciuto che l’associazione italiana si limita a svolgere “attività a carattere esecutivo e meramente di supporto, risultando “affiliata” alla Wikimedia Foundation, Inc. senza assunzione di alcuna gestione diretta e senza attribuzione della proprietà del sito che ospita l’enciclopedia, che rimane della Wikimedia Foundation, Inc”. Nell’altra sentenza di assoluzione, il giudice ha stabilito invece che Wikimedia Foundation ha il semplice ruolo di “hosting provider” per Wikipedia e quindi non è tenuta a compiere controlli preventivi su quanto pubblicato. Frieda Brioschi, che al tempo era presidente di Wikimedia Italia, dice che ricomincia a dormire e respirare, dopo che per cinque anni aveva questa spada di Damocle di 20 milioni di euro di richiesta danni.
Tanto per non farsi mancare niente, se uno va su Wikipedia per voler capire chi sono Antonio Angelucci e Gianpaolo, padre e figlio di questa famiglia di imprenditori della sanità, editori, e politici di destra, trova questo:
Attenzione: questa pagina è stata oscurata e bloccata a scopo cautelativo a causa di una possibile controversia legale. Verrà eventualmente ripristinata alla fine della vicenda che la riguarda.
E se vuole cercare su Google, non è che gli va molto meglio: pochi articoli, datati, brevi. Uno, leggermente più esplicativo, è di Sergio Rizzo e riassume alcuni dati di un’inchiesta più lunga che fece Alberto Nerazzini per Report. Tra il 1999 e il 2000 gli Angelucci fecero un affaruccio da 50 miliardi. Come? Così.
Alla fine degli anni Novanta il patron del San Raffaele di Milano Don Luigi Verzé potrebbe vendere allo Stato, che è alla ricerca di una nuova sede per il polo oncologico romano, il suo ospedale gemello di Roma. Il quale invece finisce nel 1999 per 270 miliardi di lire al gruppo Tosinvest della famiglia Angelucci. Passa una manciata di mesi e nel 2000 il polo oncologico del San Raffaele di Roma viene acquisito dalla sanità pubblica per 319 miliardi e 847 milioni: 50 miliardi in più rispetto a quelli pagati dai re delle cliniche appena prima.
Il ministro della Sanità in carica è Umberto Veronesi, che nel governo di Giuliano Amato ha preso il posto di Rosy Bindi. È lui, come ha raccontato Alberto Nerazzini durante una puntata di Report di Milena Gabanelli, che sottoscrive con il presidente della Regione Lazio fresco di elezione Francesco Storace un accordo con il venditore che contiene una clausola micidiale: «L’ospedale pubblico subentrerà in tutti i contratti in essere». Uno, in particolare. Quello che il San Raffaele degli Angelucci ha stipulato nel mese di giugno del 2000 con un paio di società degli stessi Angelucci, delle quali una (la Natuna srl) costituita un mese prima.
Con il contratto il gruppo Tosinvest affida a se stesso la gestione di tutti i servizi ospedalieri, dall’energia all’assistenza infermieristica:proprio in quei giorni le trattative con lo Stato per la cessione del San Raffaele sono in dirittura d’arrivo. Incredibilmente, tanto il ministero della Sanità quanto la Regione Lazio accettano quelle condizioni, che impongono un gestore scelto senza gara con 266 persone assunte senza concorso. E altre cosucce. Tipo il ricorso senza limiti ai subappalti, una penale del 50 per cento del valore annuale del contratto per ogni anno di mancata esecuzione per risoluzione imputabile al committente, una durata dell’appalto di nove anni più nove, nonché la sorveglianza affidata alle stesse ditte appaltatrici, oltre alla direzione.
Sostanzialmente Rosy Bindi e Francesco Storace consentirono ad Angelucci e company di far realizzare una plusvalenza da 50 di milioni di euro, vendendo e ricomprando un ospedale a un anno di distanza. L’inchiesta di Report di Alberto Nerazzini che provava a capire il funzionamento della sanità privata romana, anche citando gli Angelucci e le sue aziende (ah, anche le sue Jaguar e le sue barche), s’intitolava La convenzione, era del 2009, e la potete vedere qui – c’è pure un’intervista a Giuseppe Ciarrapico, che per me resta uno dei momenti di giornalismo televisivo migliore degli ultimi anni. Alberto Nerazzini stava continuando ad accumulare materiale sulle questioni della sanità – ma, sarà un caso, molto di quel lavoro di indagine se n’è andato per due episodi bizzarri. Uno è un incendio rimasto inspiegato della sua casa romana avvenuto nel 2002, un altro è uno stranissimo furto di attrezzature e computer nella sua casa dove si era trasferito a Bologna l’anno scorso (qui trovate una ricostruzione dello stesso Nerazzini).
Ora, il garantista che è in me, vivo e militante, non si schiera preventivamente contro Antonio Angelucci, glissa sugli altri episodi non da poco che lo hanno visto protagonista delle cronache giudiziarie (l’ultima è la notizia del rinvio a giudizio per un’accusa di truffa da 21 milioni di euro per aver nascosto di possedere due giornali, Libero e Il riformista, e aver preso contributi pubblici per entrambe le testate). Ma prova a porre la questione Angelucci come un ingenuo problema politico.
Lo stesso stupido risentimento personale che, raccontavo all’inizio, mi animava qualche anno fa l’ho riprovato in parte il giorno che leggevo le due notizie su Angelucci e insieme mi capitava sotto gli occhi anche un’altra notizia che riguardava la sanità nel Lazio. L’Istituto di Neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli a Roma “chiude per ferie” perché non ha sufficiente personale per garantire l’apertura estiva (fondi ridotti, prestazioni ridotte, nemmeno l’emergenza è garantita). Si teme che questa interruzione temporanea diventi definitiva a settembre. “Via dei Sabelli”, come eponimamente viene chiamato il centro, è un luogo storico: fondato nel 1967 da Giovanni Bollea, reinventato da Marco Lombardo Radice (nel 2010 è uscito per l’Asino il libro Una concretissima utopia che ne racconta lo spirito che lo animò), è stato raccontato dal Grande cocomero di Francesca Archibugi, segue 2000 bambini e ragazzi con problemi neurologici, con disturbi del neurosviluppo o con problemi psicopatologici e psichiatrici. Tre anni fa, quando era morto Giovanni Bollea, tutti si erano precipitati al capezzale a riconoscere il debito enorme al suo lavoro mentre i tagli si abbattevano su Via dei Sabelli.
Nel 2012 i dipendenti del centro avevano inscenato un funerale simbolico con tanto di bara e banda funebre per celebrare – in assenza di una politica di rifinanziamento – la morte in atto. A gennaio 2013 Zingaretti in campagna elettorale faceva un’assemblea con gli operatori in cui si impegnava a scongiurare la chiusura e a rilanciare l’Istituto. A maggio di quest’anno era stata organizzata una giornata di porte aperte per dare risalto alle iniziative dell’Istituto, e per attrarre solidarietà rispetto alla situazione di difficoltà. Chiaramente, non è bastata nulla di tutto questo. A luglio la situazione è terminale. E anche se non fosse così emergenziale, la questione non sarebbe poi tanto differente: le richieste dei genitori dei bambini e dei ragazzi surclassano, e di molto, le potenzialità dell’Istituto. Le strutture private che si occupano di neuropsichiatria infantile e giovanile prosperano, l’articolo 32 della Costituzione – il diritto alla salute dell’individuo – va a farsi benedire.