Coltivare l’utopia, anche domani
Domani si vota, io voterò Tsipras. Ieri si sono concluse le campagne elettorali; e andarsi oggi, con calma, a riascoltare i comizi finali, a leggere le dichiarazioni d’intento, e spulciare i programmi, è quello che farà forse una parte piccola di quell’immensa folla di tuttora indecisi. Viste in differita, le ultime fasi, le ultime piazze lasciano una sensazione, un’impressione sottocorticale di delusione. Al di là degli appelli alla speranza, all’emozione, alla rabbia buona, l’aria che si respira è quella di dismissione, di risentimento, di passioni tristi, di depressione di massa: un senso anticlimatico per cui sembra di assistere a un processo ineluttabile di crisi irreversibile. Il linguaggio politico è fatto di piccolo cabotaggio, frecciatine, riferimenti pop. Le battute finali di Renzi e Grillo (il derby che nessuno auspicava) sono tutte in minore, un dai! dai! dai! contro una cupio dissolvi. Il primo, viene da dire, avrebbe volentieri fatto a meno di quest’appuntamento elettorale: non è riuscito a trasformare il suo carisma da primarie in un valore aggiunto. Il comizio a Firenze è un comizio buono da sindaco uscente e da segretario di partito, non da quel futuro leader nazionale che vorrebbe essere. Il secondo è invece veramente la sintesi di un decennio di disastro post-prima Repubblica. Simbolo e frutto non dell’antipolitica, ma dell’antilogica: un mischione di riferimenti totalmente decontestualizzati, di sentimenti perversi, confusi, autocontradditori, che però hanno trovato una forma di aggregazione, lo zapping fatto voto, il disagio psichico (e lo dico senza giudizio negativo, ma ammirato dall’efficacia di questa strategia di propaganda) messo a valore, trasformato in collante identitario.
Il punto più estremo della serata di ieri a Piazza San Giovanni è stato sicuramente l’intervento di Roberto Casaleggio: vestito con un trench nero con le maniche troppo corte, il cappellino in testa sui capelli lunghi e ricci, la sua figura è indubitabilmente la sorpresa semantica della nuova politica. Un Quelo oscuro, un personaggio comicamente lynchiano, un profeta alla Steve Jobs virato HTML. Le sue parole, pronunciate con un tono adenoidale tra il dialettale e il robotico, vanno riportate per esteso:
Scusate l’emozione. Di solito parlo con al massimo dieci persone. E in questo momento non so quante ne ho davanti. Mi sono appuntato due tre cose, la memoria, spero di non dimenticarmele. Al massimo ho un foglietto in tasca, lo tirerò fuori, mi scuserete. Ricollegandomi a stasera mi ricordo che un giovane medico di Avellino, diciamo nei momenti più difficili che ci sono in questi casi, mi disse ‘Ci sono molti motivi per vivere’. Sicuramente uno dei motivi per vivere è essere qui stasera. Allora io non penso che un politico sia bravo o cattivo se sta a destra a sinistra, se sia stato del Partito Comunista o sia stato del Movimento Sociale. Io penso che in tutti i partiti ci siano delle brave persone e dei delinquenti. Sicuramente una persona che noi possiamo considerare, indipendentemente dalla sua appartenenza politica, una persona onesta è Enrico Berlinguer. Che fu uno dei pochi italiani a riempire questa piazza. Evidentemente quando ieri il cosiddetto premier ha detto a Beppe Grillo di sciacquarsi la bocca non sapeva che cosa stava dicendo. Io vi chiederei – perché la mia voce è una sola voce e io non sono abituato ad alzare i toni, non sono capace di gridare – chiederei a tutti voi di gridare Berlinguer, in modo che lo sentano fino a Palazzo Chigi. E a questo punto chiederei a loro di sciacquarsi la bocca. Berlinguer in una famosa intervista molto preveggente all’inizio degli anni ’80 lanciò la questione morale. Ecco la questione morale si sta riproponendo oggi in modo enorme rispetto ad allora. Però il Partito Comunista di allora aveva nel suo dna la questione morale, il Pd ha oggi nel suo dna la questione immorale. È questa la differenza… Poi vorrei chiedervi ancora una cosa di carattere evangelico. È la stessa cosa che disse Papa Giovanni molti anni fa, una sera che c’era la luna piena. Stasera purtroppo non c’è la luna piena, però perlomeno non ha piovuto. Però stasera quando tornerete a casa ci sarà qualcuno che non è voluto venire, che non crede che il Movimento possa cambiare l’italia, che pensa che Grillo gridi e basta, che noi facciamo proteste e non proposte… Quando tornate a casa a queste persone fate una carezza e ditegli Questa è la carezza del Movimento… E ditegli che il vostro futuro dipende anche da loro. Cercate di convincerli, non ci dovrebbe essere molta difficoltà a farlo. Però è un discorso che riguarda la nazione italiana. Noi rischiamo se non ce la facciamo questa volta di non farcela per decenni. Quindi non possono tirarsi indietro, non possono votare scheda bianca e soprattutto non possono votare quelli che hanno distrutto l’Italia. Tornate a casa e fate una carezza a nome del Movimento a queste persone. In alto i cuori, e che la forza sia con noi.
Casaleggio, dopo aver creato quel prodotto difettoso che è stato Di Pietro, si è accorto che poteva proporsi con un brand di maggiore vendibilità. Il Movimento Cinque Stelle è un prodotto politico altamente competitivo; in questo Casaleggio è un pubblicitario più aggiornato rispetto a Berlusconi. Il suo discorso, come l’intervento di Grillo da Vespa, mostrano non soltanto l’assoluta inconsistenza del loro progetto politico, ma la risibile capacità retorica. Eppure. All’improvviso mentre vediamo dimenarsi Fabrizio Moro sul palco, proviamo un senso di straniamento reale. È come se Chance di Oltre il giardino si fosse all’improvviso incazzato. Ma cosa stanno vendendo, allora, e come è possibile che ci riescano a piazzare il loro prodotto così facilmente? Non occorre ripescare McLuhan per capire che Casaleggio e Grillo stanno continuando a vendere, come prodotto, il feticcio della partecipazione. Stanno spacciando una specie di metadone invece di quella droga chiamata politica. Piazza San Giovanni + Berlinguer + Papa Giovanni usati come frammenti identitari in modo così volgarmente decontestualizzato danno proprio questo risultato: provocano la sensazione di fare parte di qualcosa. Il blog più visitato d’Italia!, con i suoi inutili commenti (che senso hanno 10000 commenti ad un post a cui nessuno risponde?), consente in ogni istante di provare questa sensazione di appartenenza, fondamentale per chi è un animale sociale come noi, ancor più in una dimensione contemporanea come la nostra dove le comunità – famiglie, parrocchie, luoghi di lavoro… – non sono ormai tali. Inoltre Grillo & Casaleggio hanno oggi un paio di armi in più rispetto a Berlusconi. 1) Il sincretismo che mette insieme MSI e PCI, papi e anticlericali, può essere molto più utile, in termini di marketing, dell’anticomunismo. Berlusconi aveva capito che c’era un vuoto creato dall’evaporazione di un’identità democristiana; oggi Casaleggio ha capito che c’è un vuoto creato dalla fine di tutti i paradigmi novecenteschi, quello critico, quello storicista, quello della democrazia pluralista… Uno vale uno, certo, ma soprattutto: tutto vale tutto. Il Movimento 5 Stelle nasce senza radici, “non è un partito, è un modo di pensare il mondo”, e mette in discussione la modernità ancora di più del berlusconismo: non soltanto Casaleggio ieri ha mostrato un momento di puro post-modernismo detournando Berlinguer e Papa Roncalli, ma anche Grillo ha avuto buon gioco a citare un brano Chaplin come se avesse trovato una chiave politica in un brano talmente evanescente da potersi leggere con significati anche antitetici. Casaleggio e Grillo hanno deciso di spostare il processo ermeneutico tutto sul ricevente, riservandosi la proprietà dell’emissario e del messaggio. Non importa quello che capisci, l’importante è che stai con noi. 2) La televisione si può spegnere. Il famoso spot degli esordi delle Reti Fininvest (“Corri a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti aspetta”) segnava, per dirla alla Sennett, il nostro declino dell’uomo pubblico, ma lasciava almeno libero il tempo non domestico. Se la televisione diventava, come avevano profetizzato Jerry Koszinski e Hal Ashby, il luogo principale del dibattito pubblico e quindi della verità, oggi quel luogo è sostituito dalla rete. E la rete, al contrario della televisione, è sempre accesa. Si parla di Grillo anche se Grillo non c’è. La rete può essere il luogo dell’immediatezza della reazione, e questo per un pubblicitario è la manna, più della possibilità di fare delle televendite. Così il Movimento Cinque Stelle si è pensato la politica dell’immediatezza, della mancanza di riflessione, del rifiuto dell’analisi. Se Peter Finch in Quinto potere e Adriano Celentano a Fantastico di qualche anno dopo gridavano: “Ora spegnete tutti la televisione!”, è chiaro che la retorica di Grillo – se ci si va a vedere i suoi spettacoli degli anni ’80 e ’90 su Youtube – è riuscita a capitalizzare il godimento di questa interazione-feticcio. Ho spento la tv, e poi? Ho gridato “Sono incazzato nero” e poi? Ho urlato Berlinguer! Berlinguer! in Piazza San Giovanni e poi?
In un episodio della nona stagione dei Simpson, Spazzatura fra i titani, Homer si dà alla politica. Springfield ha un problema con i rifiuti. E soprattutto Homer in realtà si scoccia di portare la spazzatura fuori casa. Da lì decide di candidarsi contro il capo dei netturbini in sciopero e vince con lo slogan perfetto: “Non può farlo qualcun altro?”. Tutti votano Homer; a chi va di portare la spazzatura fuori casa? A chi va di occuparsi di rifiuti? Ci ripensavo l’altro giorno, leggendo le tragicomiche vicende del sindaco Pizzarotti a Parma, eletto dopo una campagna feroce contro l’inceneritore, che invece è entrato in funzione due mesi fa. L’idea alternativa alla gestione dei rifiuti tramite inceneritore per Pizzarotti era esportare i rifiuti in Olanda, dove sarebbero stati inceneriti. I bambini di Parma non dovevano essere esposti ai fumi tossici, i bambini olandesi sì. Perché non può farlo qualcun altro?
Ogni punto del programma di Grillo lascia sempre aperti questi interrogativi: togliamo l’Euro e poi? Come facciamo a garantire un reddito di cittadinanza? Cosa vuol dire più investimenti nell’agricoltura? Qualcuno ha lodato la performance di Bruno Vespa nel suo faccia a faccia con Beppe Grillo, ma se invece della diretta quel qualcuno si fosse visto il filmato di Porta a porta con acribia, avrebbe riconosciuto che Vespa non ha esercitato praticamente mai il suo ruolo di giornalista: non vaglia nessuno dei dati che dà Grillo, non lo incalza sulle sue contraddizioni, gli lascia cambiare discorso quando vuole, si finge al massimo piccato. Quello che Grillo ha detto, esaminato con un minimo di fact checking, si rivela ridicolo. Dati riferiti a cazzo, un’assoluta mancanza di chiarezza sulla realizzabilità dei sette punti del programma, etc… (Qui Michele Di Salvo fa un elenco minimo delle fumosità del programma grillino) Perché Vespa non si era preparato in maniera adeguata? Perché non c’erano delle grafiche elementari a inchiodare Grillo alle sue contraddizioni? Perché di fronte alle sue vaghezze, non gli sono state poste delle domande secche? Una per tutte: quella sull’immigrazione. Di fronte alla domanda nel merito di Vespa, Grillo è stato ancora più elusivo. Non gli poteva chiedere: lo vuoi abolire o no Dublino II? È chiaro, per me è straevidente, che quello dell’immigrazione è un nodo irrisolto – non solo per incompetenza in materia – del Movimento Cinque Stelle. Anche nel comizio di ieri di Piazza San Giovanni, Grillo si è rivolto alla folla presentandosi con forti accenti nazionalisti, inneggiando all’italianità (“sarà un popolo che deciderà la sua sovranità economica monetaria culturale”), e se c’è un aspetto che salta agli occhi per me nella composizione del Movimento Cinque Stelle è da una parte la mancanza di immigrati di prima o seconda generazione tra i suoi militanti o sostenitori (figuriamoci fra i candidati) e dall’altra l’impreparazione rispetto a un contesto europeo: quale collocazione nel Parlamento, quali sono le battaglie comuni che intendono fare con altri movimenti? (en passant, questo video del Fatto dimostra anche l’impreparazione linguistica).
Ogni volta che ho a che fare con Grillo, considero: ma davvero la possibilità di trasformazione sociale è diventata questo? Che cos’è successo che ha ridotto a questo gliommero di confusione e frustrazione il radicalismo, l’utopia? Perché il conflitto sociale, la lotta di classe, la voglia di emancipazione si è tramutata in questo neologismo appiccicaticcio, “la rabbia buona”?
Ma anche guardando con attenzione il comizio di Renzi ieri, notavo come la sua verve fosse spompata. I richiami alla bellezza (Brunelleschi e Dante, etc…) e alla onestà (l’antimafia, etc…) sono, anche questi, tanto vaghi da non risultare coinvolgenti. Così come le critiche all’ira e alla furbizia di Grillo, che esalta o sbeffeggia l’inno d’Italia a seconda di dove si trovi a fare il comizio, non affondano. Perché? Perché dall’altra parte c’è uno che lo chiama “l’ebetino”, certo, e anche perché il Renzi rottamatore faceva più presa del Renzi statista. La rottamazione è rottamata. Io a Roma avrei da votare, nel listino Pd, una serie non indifferenti di nomi da vecchia nomenklatura: perché dovrei appassionarmi ai discorsi di Renzi sull’edilizia scolastica?
Ma c’è un altro elemento per cui la retorica di Renzi risulta per me essere poco coinvolgente. E che per quanto io possa ritrovarmi in un sistema di valori comune a quello evocato da Renzi (talmente scontato che sarebbe difficile non riuscirci), non mi riconosco per nulla nella sua analisi della società. E qui anche, mi viene da dire, come potrei? Il PD ha buttato via con Renzi non solo l’acqua sporca delle burocrazie gerontocratiche, ma ha fatto un repulisti definitivo di quello che rimaneva – seppure come un’ombra – dell’analisi marxiana del mondo (il bambino, già). L’unico momento in cui parla di “giustizia sociale” (il resto è tanto coraggio, determinazione, futuro…) è quando evoca gli ottanta euro. L’unico momento in cui parla di immigrazione è quando richiama la piazza al senso dell’umanità. Le domande vere che Renzi si tira sono per me ineludibili: cos’è che continua a produrre questa sperequazione sociale, quest’Europa a due velocità, questa fortezza-Europa? È qui che Renzi risulta più fumoso. E si rivela come le risposte di Grillo (l’onestà) e di Renzi (l’umanità) siano delle prospettive sovrastutturali, incapaci di analizzare i dispositivi che producono corruzione e disuguaglianza, privilegi e mancanza di diritti elementari. Le critiche che destina alla finanza sono dei buffetti, le sue posizioni sull’austerity alla fine coincidono con quelle di Grillo e anche di Forza Italia. Persino Toti ha dichiarato che bisogna rivedere il Fiscal Compact. Ma anche qui, secondo quale analisi e secondo quale prospettiva?
In più, è vero che dal punto di vista performativo, l’aggressività di Grillo funziona e funzionerà sempre di più man mano che la crisi economica si approfondirà. Non so in quale Paese voi viviate, ma nel mio accade che le persone perdono il lavoro, la gente a 40 anni torna a vivere dai genitori, l’università e la scuola non hanno fondi, gli psicofarmaci si diffondono sempre più, molti fanno fatica a curarsi e i Compro Oro sono dappertutto. La distopia è qui. Si può contenere questa rabbia? Grillo si ascrive il merito di non aver fatto degenerare la disperazione nel consenso per formazioni tipo Alba Dorata. Per me è accaduto effettivamente il contrario. Grillo e Renzi hanno impedito e stanno impedendo la formazione di una sinistra internazionalista vera. Non di contenimento dell’austerity, ma di contrasto all’austerity. Non di revisione dei patti con la Libia sull’immigrazione, ma di reale accoglienza e scambio (chiudere domani i Cie, per dirne una). Non di piccoli interventi sui lavori pubblici, ma di un New Deal strutturale. Non di 80 euro, ma di profonda redistribuzione delle ricchezze. Il tentativo che ha fatto la lista Tsipras in questa campagna elettorale è stato faticoso e alle volte goffo. Ma è chiaro che i temi che ha sollevato sono quelli di cui si discuterà in Europa per i prossimi 20 anni. Io, come dicevo voterò i candidati della loro lista. Lo faccio con la frustrazione di chi sa che nel tempo troverà ragione. Ripensavo a questi giorni a Genova 2001. Una delle battaglie minoritarie, di movimento, che erano simboliche al G8 di tredici anni fa era quella per la Tobin Tax: oggi chiunque in Europa sa cosa quanto le transazioni finanziarie abbiano creato questa crisi e l’economia speculativa abbia affossato l’economia reale invece di stimorarla. Quella contro una finanza impazzita che allora era una battaglia sul campo, con i suoi morti e i suoi feriti, oggi alle volte viene sostenuta anche da chi armava quella repressione. Così mentre domani andrò a votare, solo con l’inerzia del pessimismo della ragione, proverò a pensare che, nonostante gli orizzonti neri quanto i trench di Casaleggio, è possibile coltivare delle forme di utopia. Un’Europa dei popoli, e non dei populisti.