Cosa resta degli scontri tra tifosi a Roma
Non c’è nemmeno bisogno di citare René Girard e la sua psicologia delle folle (i suoi capri espiatori, la sua violenza mimetica) per provare a commentare la narrazione tossica che ha avuto il suo incipit sabato 3 maggio con le notizie degli scontri vicino l’Olimpico ed è proseguita con la telecronaca Rai della contrattazione tifosi-giocatori-polizia dentro lo stadio e poi ha ingrossato la fiumana di indignazione nazionale contro gli ultras e l’incarnazione iconica espressa da Genny ‘a Carogna. Il risultato, una settimana dopo, mentre la notizia è ancora in prima pagina col suo corredo di dichiarazioni di Alfano, è – di fatto – uno solo. Una garanzia di arbitrio ancora maggiore per l’operato della polizia.
In tutto questo la vicenda legata a Genny ‘a Carogna è davvero emblematica. L’altroieri gli è stato notificato un Daspo – un divieto di accesso agli stadi – per cinque anni. Cos’è stato GaC in questi giorni? Molte cose: è stato l’uomo tatuato, l’uomo che ha permesso di giocare il derby, l’uomo con la maglietta con la scritta “Speziale libero”, il figlio di un camorrista, colui che ha soccorso per primo i feriti, e – in nome di tutto questo – un meme su internet.
Il motivo per cui GaC è stato condannato pare o l’aver indossato quella maglietta o, addirittura, l’aver scavalcato le barriere. Non pochi (per esempio qui) hanno sottolineato che forse è illegittima una condanna al Daspo perché uno si è presentato con una maglietta con una scritta, altri hanno correttamente evidenziato come forse Antonino Speziale, allora 17enne, è stato accusato e condannato ingiustamente; del resto è di febbraio scorso la notizia della riapertura del processo per una decisione della Cassazione, mettiamo che questo processo mostrasse l’innocenza di Speziale? Per cosa è stato condannato dunque: perché indossava una maglietta con su scritto che deve stare fuori dalle carceri un presunto innocente?
La colpa di Genny ‘a Carogna in definitiva sembra quella di essere onomasticamente ‘a Carogna (il suo cognome, De Tommaso, gli è stato tolto completamente nelle cronache). Uno stigma che ricordava la canzone di Elio e le storie tese, Jimmy il pedofilo
Nella canzone, Jimmy viene pestato a sangue, ma il suo destino è segnato
“Aspettate, questo è un equivoco!”
ci provò Jimmy a discolparsi,
ma gli tapparono la bocca, e sangue,
poi bastonate, sputi, pugni e calci.
Giustizia è fatta, pensò la gente,
ma in verità non era stato giusto,
perché OK, sì, Jimmy il pedofilo,
ma Ilpedofilo era il cognome.
Ma l’occhio di bue non è solo per ‘a Carogna. La questione ultras è l’ultima in ordine di tempo che attribuisce all’ordine pubblico l’intero carico di una riflessione sociale e politica sui conflitti. Nel calderone delle leggi speciali negli ultimi anni sono finiti le manifestazioni di piazza, l’immigrazione, le questioni di genere, le tossicodipendenze, le occupazioni: quando la politica attonita – i colori dei governi non contano – si trova di fronte a una questione sociale che invoca discussione, riflessione, interventi educativi, ecco che si sbriga a risolvere tutto subito con il tappo di una legge speciale, con una reazione di fermezza, facendosi scudo delle fiammate d’indignazione. Quello che resta, appena passata la buriana, è qualche provvedimento esemplare, il fumo di quello che sembrava tanto tanto sdegno, qualche leggina in più e soprattutto una polizia con più potere d’arbitrio.
Quello che non avviene, mai, è una maggiore conoscenza del fenomeno. In questo caso, chi sono gli ultras? come funziona il tifo organizzato in Italia? Qualcuno dei commentatori sportivi che ogni giorno ci ammaniscono con luoghi comuni strafatti di cattiva retorica si è mai letto gli studi di Alessandro Dal Lago o di Valerio Marchi? Un paio di post in questi giorni in rete ponevano lo stesso problema di prospettiva: il primo, sulla Privata Repubblica, ricordava il valore imprescindibile del lavoro di Marchi e soprattutto metteva in luce come in queste narrazioni tossiche finisca per essere opacizzato un dato centrale: la matrice neofascista della violenza. Un bellissimo pezzo di Stefano Ciavatta di un annetto fa su Rivista Studio raccontava, da tifoso storico, come il legame fascismo-tifo va al di là di alcune semplificazioni da frange estreme.
Un altro pezzo su Commonware esplicitava qual è forse la ragione dell’esplosione randomica di violenza che ha a che fare con il calcio: le misure di cieca repressione che oggi ancora si continuano stupidamente a invocare.
“Stadi trasformati in bunker, tornelli, metal detector, telecamere a circuito chiuso, trasferte vietate, obblighi di firma per decine di migliaia di persone, arresti in differita, striscioni e fumogeni vietati, superpoteri ai questori, biglietti nominativi, tessere del tifoso, pestaggi e cariche, gas intossicanti. A nessuno viene il sospetto che tutto ciò non solo non sia servito, ma abbia contribuito a inasprire la violenza intorno agli stadi, disgregando i gruppi storici, separando le nuove generazioni dalle vecchie, trasformando molte curve in centri commerciali e milizie?”
Ripensavo a tutte questa mancanza di riflessione politica, e mi veniva in mente come i fattacci dell’Olimpico abbiano seguito di appena una settimana la vicenda di Dani Alves e la campagna virale #siamotuttiscimmie. Dani Alves raccoglie la banana, la mangia, il video fa il giro del mondo, e tutti si fanno dei selfie con la banana, poi si scopre che in realtà l’idea della strategia virale era della società di comunicazione che cura l’immagine di Neymar, compagno al Barcellona di Dani Alves, il quale a sua volta forse non ha fatto un beau geste spontaneo ma si è semplicemente prestato a interpretare una parte scritta, a fare da testimonial pubblicitario. Ci ripensavo perché mi rendevo conto che quello che sembrava l’emersione di una questione politica (il razzismo negli stadi) era invece una trovata pubblicitaria, e mi veniva da pensare come questo fosse possibile perché il calcio è sempre più uno spettacolo visto in tv, una merce e uno strumento di marketing, spesso politico (Berlusconi docet, il Renzi e il suo Derby del Cuore discit). Allo stesso tempo gli stadi negli ultimi anni si stanno svuotando, al ritmo di un 4% all’anno, portando così allo strano paradosso che il calcio diventi da una parte uno spettacolo molto pubblicitario da vedere su qualche schermo (e dello spettacolo in fondo fanno parte ugualmente le mossette furbe di Dani Alves come i petardi lanciati dalle curve, le trattative di Hamsik e le smorfie di Genny ‘a Carogna), dall’altra una pratica violenta e insensata, una sorta di ghetto di illegalità consentita solo perché ipercontrollata.