Ho visto Super 8
L’ultimo film di J.J. Abrams ha una particolarità che ho apprezzato molto: è esattamente ciò che ti aspetti. Da quando sono usciti i primi dettagli della trama e poi il trailer, che sommava magistralmente il concetto di “bambini” al concetto di “estate” al concetto di “alieni” al concetto di “Spielberg” al concetto di, va sottolineato fin da ora, “esplosioni”, era come se il film fosse già stato proiettato durante una mia personalissima rassegna mentale.
Poiché, giusto che si parla di concetti, io al concetto di “aspettativa” non mi relaziono molto bene, ho cercato di spingere nel punto più nascosto del mio inconscio tutte le congetture che la mia testa articolava in totale autonomia rispetto alla mia volontà. A posteriori una vocina dentro di me suggerisce malignamente che avrei potuto lasciar correre le aspettative e risparmiare il prezzo del biglietto, ma la zittisco con stizza per i seguenti motivi:
1. Un biglietto del cinema è raramente uno spreco di soldi, a meno che non vogliate andare a vedere Conan in 3D: non fatelo, un’amica mia mi ha detto che è orrendo in quel modo divertentissimo e inizia con un parto cesareo su un campo di battaglia tra barbari e che però, insomma, uscite dalla sala che vorreste cavarvi gli occhi con un cucchiaino. Quell’amica mia suggerisce di vedervelo a casa, che tanto è uguale, con tanti popcorn tanti amici tanto alcol.
2. Il film è esattamente come te lo aspetti, ha tutto: la mamma morta, l’infanzia in una cittadina di provincia, il rapporto difficile con i genitori, uscire di casa di nascosto in piena notte, esplosioni, un alieno che non si vede benissimo e appare solo in scene molto buie per risparmiare sul CGI, altre esplosioni, i bambini che non muoiono mai, il commesso fattone, gli zombie, una fotografia un po’ vintage così lo capisci di sicuro che è ambientato nel ’79, una storia di amicizia e di amore e di coraggio e di onestà. Poi finisce bene, ed esci dal cinema soddisfatto.
3. Durante i titoli di coda viene proiettato integralmente il film di zombie che i ragazzini protagonisti girano per un concorso: è bellissimo, e non me l’aspettavo affatto.
4. L’ho visto all’Apollo (Milano) ieri sera, in originale. Un po’ di cose in proposito, per quei lettori che condividono il mio fastidio verso il doppiaggio: non capita spesso, in Italia, di poter vedere al cinema un film che andrebbe visto al cinema con la fortuna di trovarci sopra i dialoghi originali. Rispetto a Super 8 non saprei proprio cosa consigliarvi. È, innegabilmente, un film che necessita della proiezione cinematografica: non come un Avatar, per dire, la storia ve la godete comunque, ma al cinema è proprio più bello. Al tempo stesso il fatto che i protagonisti siano tutti bambini mi spinge ad avere un pregiudizio violentissimo, più del solito, verso un doppiaggio che non ho neanche considerato: con gli adulti ancora ce la caviamo, ma le voci italiane dei bambini sono sempre orride. Sono stata fortunata, spero riusciate a esserlo anche voi. Se non lo siete e avete una bella tv, guardatelo dal divano.
5. I ragazzini di cui sopra sono eccezionali, tutti. E con gli adulti si gioca benissimo a “dove l’ho già visto”. Vi sottopongo, in particolare: Jackson Lamb, il poliziotto padre di Joe; i genitori di Charles Kaznyk, entrambi; il commesso fattone che sviluppa le pellicole (questa è proprio una chicca). Per indovinarli tutti dovete aver seguito un po’ di serie tv. Non vale usare IMDb.
6. Il film non è esente da difetti. J.J. si è dimenticato di scrivere per bene i personaggi degli adulti, che hanno un ruolo un po’ ibrido nella faccenda e, a pensarci bene, sono del tutto superflui: ci sono, fanno cose, intervengono ma non fanno davvero nulla di essenziale alla trama. Al centro c’è uno spiegone che non vi spoilero ma che se vi avessero sovrapposto la scritta “spiegone” l’effetto sarebbe stato uguale.
7. Difficilmente ho visto un esempio migliore di gestione dei tempi scenici rispetto all’esplosione iniziale del treno: è eccessivamente lunga, ma in un modo perfetto, che gioca sui momenti in cui noi spettatori ci rilassiamo pensando che sia finita, fa una pausa microscopica che ci consente di respirare, e poi riprende dal nulla con una prosecuzione di questo scenario apocalittico. Bello, bello.