domenica 23 Agosto 2020
È al pettine un nodo importantissimo dei cambiamenti e delle prospettive che riguardano la professione dei giornalisti, il business delle aziende di informazione, e altre cose che hanno grosse ricadute sui giornali così come li leggono i lettori senza conoscere quello che ci succede dietro. Riguarda i contratti dei giornalisti.
Proviamo a spiegarla più brevemente possibile con qualche semplificazione. In Italia la professione giornalistica è molto regolamentata, in modi che dovrebbero creare una selezione rispetto alla qualità del lavoro giornalistico, e una protezione per chi lo svolge: l’elemento più visibile di questa condizione non comune a molti altri paesi è l’esistenza di un ordine professionale, come per altre categorie di grande specializzazione e grande responsabilità (gli avvocati, i medici, gli ingegneri). Un altro elemento particolare è che esista un sindacato unico dei giornalisti che si chiama FNSI, che li rappresenta nei confronti delle aziende, che stanno invece – nella gran parte, soprattutto quelle grandi – dentro la FIEG, la Federazione degli editori.
Pochi anni fa, un gruppo di editori di giornali locali e digitali si è unito in una nuova associazione, che si chiama USPI: e ha ottenuto – trattando con la FNSI – di poter applicare un nuovo tipo di contratto alle assunzioni dei giornalisti: meno costoso per i giornali e meno oneroso per aziende più piccole e in tempi meno floridi di una volta. Qui va detto che i contratti giornalistici tradizionali sono molto “protetti”: offrono una serie di garanzie, di minimi, e di scatti automatici di anzianità, che risalgono ad anni in cui i giornali guadagnavano molto dal lavoro dei giornalisti e questi ultimi meritavano una parte di questi successi. Sono contratti che oggi sono diventati per le aziende dei costi spesso problematici, soprattutto per quelle piccole, o soprattutto quelli di giornalisti con anzianità maggiori. Il contratto USPI consentiva quindi a progetti editoriali nuovi o più piccoli (locali o digitali, appunto) di assumere giornalisti regolarmente a dei costi più tollerabili, piuttosto che di tenerli in condizioni precarie o illecite. È un contratto oggi utilizzato da molti giornali solo online, che grazie a questo riescono a contenere le difficoltà odierne di avviare nuovi progetti nel settore (non dal Post che applica il contratto tradizionale FNSI, ndr).
Bene, questo esperimento aveva una durata di due anni, prima di essere ridiscusso e rinnovato: è scaduto qualche mese fa ma adesso la FNSI sembra non volerlo rinnovare. Le ragioni non sono state esplicitate con molta chiarezza, ma possono essere diverse: il timore che alcune testate che si sono avvalse del contratto USPI siano diventate oggi più grandi e prospere di quanto implicato dalla diversità dei contratti; la contrarietà degli editori FIEG che, trovandosi oggi a dover ridurre molti costi, vedono nei giornali che hanno su questo maggiori libertà una sorta di concorrenza sleale; l’ipotesi che i nuovi contratti USPI non siano poi molti, ma su questi numeri ci sono dissensi tra le parti.
Comunque stiano le cose, la scadenza del contratto ha messo le aziende USPI e i loro giornalisti in una specie di “terra di nessuno” con tutta una serie di grosse complicazioni per le une e per gli altri che non vi elenchiamo qui. Ma tutta questa storia, dicevamo all’inizio, è un pezzo importante della questione dello squilibrio attuale tra i costi di fare un giornale e i suoi ricavi, e del rischio che delle soluzioni sensate e possibili si approfitti sempre qualcuno (come col finanziamento pubblico dei giornali di cui dicemmo qualche settimana fa): un pezzo da cui poi discende la qualità delle cose che leggete sui giornali, e del lavoro fatto dai giornalisti.
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