domenica 4 Settembre 2022
C’è un’altra storia americana che è un buono spunto per parlarne anche qui: in Florida è stata approvata una legge che consente agli enti governativi di pubblicare i propri annunci legali obbligatori per legge anche sui propri siti e non necessariamente sui giornali. Negli Stati Uniti come in Italia, leggi nazionali e regionali impongono – per dare a queste comunicazioni corretta ed equa pubblicità – che annunci di vario genere abbiano visibilità sui mezzi di informazione. Ne avevamo scritto due anni fa:
” sono le inserzioni pubblicitarie prescritte dalla legge per le comunicazioni da parte di enti e amministrazioni pubbliche: quelle più frequenti e familiari a chi sfoglia i quotidiani sono i bandi di gara pubblici, poi ci sono avvisi diversi che si ritiene corretto abbiano estesa pubblicità tra i cittadini e gli interessati e non restino confinati ai documenti amministrativi; e anche la pubblicazione delle sentenze processuali, che ha altre regolamentazioni ma che si riferiscono in molti casi sempre alla carta stampata.
Sono casi spesso diversi tra loro, ma in prevalenza sono imposti o da leggi specifiche sulla comunicazione pubblica di alcuni atti, o da leggi specifiche sulla quota di investimenti che le amministrazioni devono destinare alla pubblicità (e ci sono state sanzioni in passato per quelle che non l’hanno rispettata).
Per farla breve: lo Stato ritiene che i giornali siano un servizio pubblico utile alla comunicazione “ufficiale” e li ha inclusi formalmente tra i propri canali di informazione, al tempo stesso creando una fonte di ricavo pubblicitario garantito per i giornali stessi ( stimato negli anni scorsi come il 10% circa dei ricavi pubblicitari)”.
La questione sembrerebbe semplice (riguarda anche altri paesi ): non c’è ragione nel 2022 di considerare i quotidiani cartacei il miglior strumento per raggiungere più persone possibile con notizie di interesse pubblico. Internet dà molte maggiori opportunità (sui siti istituzionali, sui social network, su Google, eventualmente sui siti di news) a costi molto minori per la collettività (a pagare le inserzioni sono soldi pubblici, ricordiamo). E per giunta, non è una buona cosa che in tempi di intense partigianerie sia nella politica che nei giornali chi guida amministrazioni pubbliche possa scegliere a quali giornali destinare gli investimenti relativi, selezionando per affinità e simpatie.
Ma è anche vero che dare alle amministrazioni totale autonomia e scelta su come e dove comunicare ha dei rischi: nel loro interesse ci può essere di dare minore esposizione a certe comunicazioni, e su internet “pubblicare” è molto diverso da “far sapere a più persone possibile”.
Naturalmente dal punto di vista dei giornali in cerca di fonti di ricavo laterali, l’eventuale perdita di questo finanziamento pubblico indiretto costituirebbe un problema, ed è abbastanza da escludere che la capacità di pressione degli editori italiani sulla politica lo permetta. Ma rispetto all’obiettivo di informare il pubblico (o eventualmente di sostenere i giornali con denaro pubblico), ci sono forse miglioramenti possibili di cui varrebbe la pena discutere.
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