domenica 21 Gennaio 2024
Le critiche più frequenti che vengono fatte ai giornali italiani dai lettori (o anche dai non lettori) implicano quasi sempre una responsabilità di tutti i giornalisti che lavorano nelle redazioni di quei giornali. In realtà molte di quelle critiche sono condivise da molti degli stessi giornalisti: alcuni di loro sono semplicemente irresponsabili delle scelte di chi ha i ruoli di potere nelle redazioni, mentre altri si adeguano a quelle scelte o ai canoni del giornalismo italiano tenendo per le conversazioni private il loro dissenso. Ogni tanto vengono invece pubblicate rare eccezioni di espressioni di critica rispetto agli approcci consueti: di solito questa critica è indiretta, e leggiamo su un giornale un articolo di commento contro scelte che di fatto sono quelle compiute in tutte le pagine circostanti, con effetti spiazzanti. Ma le allusioni sono altre volte più palesi, e venerdì Ernesto Assante – storico giornalista di Repubblica che si occupa soprattutto di musica – ha scritto sul suo giornale una critica che contesta di fatto tutto un quotidiano modo di trattare quello che avviene “sul web” da parte del suo e di altri giornali (con una scelta di titolazione piuttosto fuorviante).
“Di che parliamo, dunque, quando citiamo con estrema, troppa, leggerezza “il popolo del web”, o “la protesta social”, o il “bullismo digitale”? Di qualche decina di migliaia di persone, quando il ‘caso’ diventa davvero social. Spesso molti di meno. Ma anche se si trattasse di un milione di utenti singoli e attivi di Facebook su 29 milioni, tanto per fare un esempio, sarebbe un ventinovesimo degli utenti del social network. Una cifra che, sempre in termini giornalistici, andrebbe definita come ‘largamente minoritaria’. A dargli rilevanza con frasi del genere “il web in rivolta”, o “la protesta social” siamo noi, i giornalisti, che invece di derubricare molte di queste ‘rivolte’ o ‘proteste’ come ‘non notizie’, siamo i primi a dargli spazio, visibilità, amplificazione. Il ‘popolo del web’ esiste solo nelle redazioni dei giornali, delle radio, delle televisioni, che danno peso alle idiozie di gruppi di esaltati, fanatici, repressi, che usano i social network per aggredire, insultare, attaccare gli altri. Una pallida minoranza, estremamente fastidiosa, molto rumorosa, certamente molto pericolosa, ma che come tale andrebbe trattata. Così come gli ultras allo stadio non rappresentano i milioni di persone che seguono pacificamente e allegramente il calcio, allo stesso modo chi utilizza le tastiere dei propri personal media come strumento per insultare gli altri non rappresenta alcun “popolo del web”, non è la maggioranza. La maggioranza, la stragrande maggioranza, quella che usa i social come strumento di comunicazione, come forma di contatto con amici, parenti, colleghi, o anche semplicemente con persone sconosciute con le quali condivide passioni o manie, sfortunatamente non conta, non fa notizia, non è “il popolo del web” per i giornali o il mondo dell’informazione”.
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