domenica 3 Ottobre 2021
La questione della “direttiva europea sul copyright” e della sua applicazione che riguarda il rapporto tra i giornali e le grandi piattaforme online (Google per prima) sull’uso dei contenuti dei primi, è stata raccontata in Italia soprattutto da una parte interessata, ovvero i maggiori giornali: quindi con poca chiarezza e poca terzietà, e con campagne degli stessi giornali perché venisse accolta e recepita piuttosto che descrizioni chiare di cosa implichi. Questa settimana ci si è dedicato con maggiore competenza un articolo sul quotidiano Domani, spiegandone limiti, contraddizioni e pericoli.
“La direttiva, infatti, ha previsto il diritto di autorizzare o meno le pubblicazioni giornalistiche online da parte dei prestatori dei servizi delle società dell’informazione, dietro il pagamento di un corrispettivo, al termine di una negoziazione tra le parti interessate; il decreto, invece, vorrebbe introdurre un vero e proprio diritto a ottenere una remunerazione, obbligando le piattaforme di internet a stipulare accordi con gli editori.
Il governo, in maniera singolare, ha ripreso questa regola da una recente legge australiana, dimenticando, evidentemente, che l’Australia, non appartenendo all’Unione europea, non è tenuta a condividere gli obiettivi della direttiva, né gli strumenti legislativi per raggiungere tali obiettivi, e che tutti gli altri stati europei, nelle proprie leggi nazionali di recepimento, hanno rispettato fedelmente il diritto delle imprese in gioco di concludere o meno gli accordi […]
La bozza di decreto fissa regole poche chiare e di complessa interpretazione. L’esempio forse più evidente è quello che riguarda gli “estratti brevi” ossia le porzioni di pubblicazioni giornalistiche liberamente utilizzabili dagli operatori di internet. Anziché adottare una linea di demarcazione netta, il legislatore italiano ha tradotto la nozione di “estratti brevi” con una definizione criptica, secondo cui l’obbligo di licenza non sussisterebbe nel caso in cui l’estratto ripreso “non dispensi dalla necessità di consultazione dell’articolo giornalistico nella sua integrità”. Quindi, non un parametro oggettivo, come avrebbe potuto essere un numero massimo di caratteri, ma soggettivo e vago, essenzialmente associato alle conoscenze e alle capacità del lettore. L’incertezza definitoria e l’assenza di parametri di immediata applicazione potrebbero riverberarsi negativamente sulla posizione di editori e autori e aprire il campo a possibili, se non inevitabili, contenziosi giudiziari tra gli attori in gioco”.
(qui gli articoli del Post sulla direttiva e sugli sviluppi della sua approvazione)
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