domenica 10 Ottobre 2021
Un articolo sul sito NiemanLab (che si occupa di cambiamenti nell’informazione per conto di un’importante fondazione dedicata al giornalismo) ha introdotto questa settimana una lettura un po’ controcorrente nel dibattito – molto giovane e in evoluzione – sui risultati dei progetti di abbonamento o membership delle testate giornalistiche. Secondo l’autrice Sarah Scire, che riferisce di una ricerca appena pubblicata, l’investimento sulle comunità di lettori più fedeli e assidui è naturalmente prioritario, ma in prospettiva queste saranno un bacino sempre più limitato di nuovi abbonati (mentre resta importantissima l’attività di “retention”, ovvero di conservarli come abbonati): mentre i lettori occasionali o interessati solo a poche e rare cose sono una quota straordinariamente più ampia e che di solito viene ritenuta poco interessante, se non per cercare di portarla progressivamente (nel marketing lo chiamano “funnel”) verso coinvolgimenti maggiori. I dati, dice invece Scire, mostrano che tra questi lettori “deboli” ce ne sono che si abbonano comunque, e che tra gli abbonati digitali a una testata una gran parte legge pochi articoli nel corso di un mese; e mentre il bacino di lettori “forti” è difficile da far crescere dopo una prima fase, quello di lettori “deboli” è potenzialmente enorme: il lavoro per le testate sarebbe di fare in modo che a questa più rara frequenza venga dedicata un’accogliente e proficua attenzione da parte dei giornali nel proporre loro di abbonarsi sulla base di priorità che possono essere varie e diverse.
(una difficoltà particolare nell’entrare in questo ordine di idee, premette Scire, è che chi fa i giornali o ci lavora di solito somiglia più a un lettore forte che a uno debole, e fatica a mettersi nei panni di quest’ultimo e delle sue considerazioni)
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