domenica 12 Settembre 2021
La scorsa domenica nella rubrica delle lettere di Repubblica, curata dal giornalista Francesco Merlo, una delle lettere era firmata da “Tobia Bufera”, di Vicenza, e diceva:
Caro Merlo, sono un grafico di 37 anni. Negli ultimi sei anni ho lavorato quotidianamente ed esclusivamente per la stessa azienda. Ora, invece del contratto da dipendente, mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui dichiaro di essere un fornitore esterno, rinunciando a qualsiasi diritto acquisito. Non so cosa fare: firmare e continuare a lavorare da finta partita Iva o dire basta a questo sfruttamento cercandomi un altro lavoro, magari per la consegna del cibo a domicilio?
Merlo aveva risposto condannando le pratiche dell’azienda in questione e definendole «trucchi del precariato eterno», ma suggeriva al lettore di mantenere il suo posto da precario fintanto che non avesse trovato qualcosa di meglio delle consegne a domicilio. La lettera e la risposta non avrebbero avuto molto di insolito, se non fosse che il giorno successivo l’autore della lettera si è rivelato su Instagram, dicendo però di chiamarsi Fabio Butera e di aver anagrammato il suo nome per firmare la lettera con uno pseudonimo. Butera ha scritto infatti di non essere un grafico, ma un giornalista, e che la sua storia vera di precariato risaliva a tre anni fa: l’azienda per cui lavorava senza un contratto da dipendente era la stessa Repubblica.
«Ieri è stata pubblicata su Repubblica una mia lettera a Francesco Merlo in cui, col mio nome anagrammato e fingendomi un grafico di un’imprecisata azienda invece che un ex giornalista di Repubblica, ho raccontato la vicenda lavorativa che mi ha visto coinvolto 3 anni fa. Sono contento che Francesco Merlo, che son sicuro mi perdonerà le petit jeu, abbia definito, anche se inconsapevolmente, le modalità di impiego dell’azienda per cui io lavoravo e per quale lui tuttora lavora “trucchi da precariato eterno”»
Né Merlo né Repubblica hanno dato seguito alla storia.
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