domenica 24 Ottobre 2021
Lo abbiamo citato altre volte su Charlie, e questa settimana Ben Smith del New York Times è stato protagonista e responsabile di conseguenze ancora più rilevanti nel mondo dei giornali internazionali (vedi sotto). Ma la cosa interessante da commentare da qui è l’assenza in Italia di un lavoro giornalistico di divulgazione sui giornali (esclusi i presenti, ovvero una newsletter), che viene svolto invece abitualmente in molta autorevole stampa internazionale: dove le testate hanno giornalisti dedicati a raccontare ai lettori le vicende del business dell’informazione allo stesso modo con cui ne hanno competenti e impegnati su altri settori, dalla moda, alla tecnologia, alla televisione, alle automobili, ai libri (Joe Pompeo a Vanity Fair, Margaret Sullivan al Washington Post, Jim Waterson al Guardian, per dirne alcuni). È un peccato perché la domanda c’è (lo si vede, scusate se ci ripetiamo, dalle estesissime attenzioni che ha guadagnato questa newsletter) e un buon lavoro di reporting potrebbe spiegare molte cose interessanti e utili ai lettori: ma una consuetudine un po’ omertosa e un po’ autopromozionale fa sì che in Italia ci sia poca disponibilità a rendere pubbliche le cose dei giornali o a renderle pubbliche con sincerità, che si tratti dei giornali propri o di quelli altrui (ma è successo anche con la storia tedesca di questa settimana che raccontiamo tra poco, quando un editore ha deciso di non pubblicare le accuse contro i concorrenti della Bild). Ed è un peccato non perché ci siano da svelare cose particolarmente disdicevoli (forse anche), ma perché anche nel business dei giornali ci sono cose da far capire e storie interessanti da raccontare: quella cosa che fa il giornalismo.
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