Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 19 Maggio 2024

È giornalismo

L’azienda Aneri ha comprato una pagina sul Corriere della Sera, venerdì, occupandola solo col proprio nome e logo. Aneri è un’azienda vinicola con antichi e intensi legami con alcune testate giornalistiche che si concretizzano in frequenti investimenti pubblicitari ed estese coperture delle proprie attività, oltre che in un premio giornalistico finanziato dall’azienda stessa.

Nell’ambito delle sovrapposizioni di interessi questa settimana si è notata anche la severità senza uguali dell’attacco contro l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri pubblicato venerdì sulla prima pagina di Repubblica. Allegri è stato licenziato dopo i suoi violenti attacchi contro la società sportiva, che è posseduta dallo stesso gruppo che pubblica Repubblica.


domenica 19 Maggio 2024

Una storia disperante

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato una lunga ricostruzione di come il giornale abbia seguito nei decenni gli sviluppi della “questione israelo-palestinese” e le sue implicazioni uniche negli atteggiamenti dei media e dei lettori.

“Un double procès, intenté simultanément par deux parties en apparence irréconciliables, même si les défenseurs d’Israël se montrent, et de très loin, les plus virulents et les plus opiniâtres. Tout ce qui est publié à propos de ce conflit dans ces colonnes est implacablement scruté, décortiqué et analysé”.


domenica 19 Maggio 2024

Eco-eco-eco

Venerdì c’è stato sulla stampa italiana un altro caso di “eco” con i giornali internazionali: la pratica che avevamo raccontato le scorse settimane per cui viene enfatizzato un modo di raccontare le cose italiane sulla stampa estera, come se questo avesse una particolare autorevolezza, ma spesso si tratta di riprese di quello che hanno scritto i giornali italiani. Venerdì è stata Repubblica a voler riferire che il quotidiano londinese Times avrebbe sostenuto, in un titolo, una relazione tra le cose sostenute da Giorgia Meloni e Benito Mussolini. Solo che Repubblica ha trascurato le virgolette che il Times aveva usato nel titolo, e ha riferito in modi piuttosto ambigui che l’articolo si riferiva a quello che aveva detto la senatrice Segre e che non c’era nessuna opinione del Times in questo senso. Lo stesso autore dell’articolo sul Times ha voluto precisare quest’ultima cosa.


domenica 19 Maggio 2024

Il caso News of the World non è mai finito

Nick Davies è un importante giornalista inglese di 71 anni, che ha spesso attaccato le peggiori pratiche del giornalismo britannico e non solo, ed è famoso soprattutto per essere stato il protagonista del disvelamento – sul quotidiano londinese Guardian – delle pratiche criminali di sorveglianza e spionaggio adottate per anni da alcuni tabloid appartenenti al gruppo del potente e famigerato editore Rupert Murdoch. Da cui nacquero lo scandalo e le inchieste che portarono ad alcune condanne e alla chiusura del tabloid News of the World.

Sull’ultimo numero di Prospect – mensile britannico di orientamento progressista che sta per compiere trent’anni e che da tre è diretto dall’ex direttore del Guardian Alan Rusbridger – Davies ha pubblicato un aggiornamento di quel caso, che continua ad avere strascichi (News Corp, l’azienda editrice, ha risarcito migliaia di persone per evitare processi, e molte cause sono tuttora aperte), anche se sembra improbabile che la politica si impegni su ulteriori interventi e regolamentazioni, per timore della reazione dei media.
Nell’articolo (parte di una serie) Davies spiega che alcuni querelanti – soprattutto politici e funzionari politici – hanno ottenuto accesso a una gran mole di documenti dell’inchiesta (mentre tantissimi altri file erano stati illecitamente distrutti da News Corp) e in particolare tabulati telefonici. Questi ultimi rivelano grandi quantità di chiamate molto brevi provenienti dai centralini delle redazioni verso i telefoni dei querelanti, che secondo le loro accuse dimostrerebbero tentativi di introdursi nelle registrazioni delle segreterie telefoniche (ovvero una delle pratiche più usate nelle violazioni della privacy praticate in quegli anni) per ottenere informazioni con cui tenere sotto ricatto le persone in questione.
Qui Rusbridger e Davies discutono tra loro la storia.


domenica 19 Maggio 2024

Google si mangia tutto

Google ha cominciato a introdurre nelle sue pagine di ricerca, per gli utenti statunitensi, dei testi creati utilizzando le “intelligenze artificiali” per sintetizzare delle risposte originali estratte da quelle disponibili sul web: avevamo parlato del progetto a dicembre, e adesso le preoccupazioni degli editori online sul traffico che questa scelta può togliere loro – e sull’ulteriore potere di Google – si stanno concretizzando. Ne ha scritto tra gli altri il Washington Post , che il mese scorso aveva anche contestato la correttezza dei risultati: ma anche Wall Street JournalCNN, e Guardian.


domenica 19 Maggio 2024

Come fanno nel Regno Unito

Sempre a proposito delle censure imposte per legge alla stampa britannica rispetto alle inchieste e ai processi, una giudice ha stabilito questa settimana che un dirigente di una squadra di calcio di Premier League accusato di stupro non venga nominato nella documentazione giudiziaria e che il suo nome non sia pubblicato sui giornali, in rispetto della presunzione di innocenza.


domenica 19 Maggio 2024

Bavagli internazionali

C’è una storia angloamericana che giornalisticamente ha dentro molte questioni interessanti, anche viste da qui. Nel Regno Unito sta per iniziare un nuovo processo per uno degli omicidi per cui è stata accusata Lucy Letby: la storia è terribile e ha avuto grandi attenzioni da parte del pubblico e dei media britannici. Letby, un’ex infermiera, è stata condannata l’anno scorso all’ergastolo per l’omicidio di sette neonati nel reparto d’ospedale dove lavorava, e per il tentato omicidio di altri sei, tra il 2015 e il 2016.

In più di un’occasione i tribunali hanno vietato ai giornali di riferire informazioni sulle vittime e sullo stesso processo: nel Regno Unito è previsto dalla legge che i giudici applichino divieti di questo genere per ragioni diverse, dalla tutela della privacy, alla presunzione di innocenza, al corretto svolgimento dei processi. Le limitazioni al diritto di cronaca sono ritenute norme di civiltà e implicano sanzioni molto pesanti (compreso il carcere per i giornalisti), ragione per cui vengono abitualmente rispettate: spesso i giornali le contestano, e presentano dei ricorsi, giudicati secondo legge.

Adesso, alla vigilia del nuovo processo, nuove limitazioni sono state imposte ai giornali britannici, per garantirne il corretto svolgimento senza che questo sia influenzato dall’eccitazione mediatica intorno al caso. Ma la scorsa settimana un lungo articolo sulla vicenda e sulle accuse è stato pubblicato dal settimanale statunitense New Yorker: l’autrice ha raccontato di come abbia studiato il caso approfonditamente consultando migliaia di pagine di documentazione processuale, e colpita da come – dice – la condanna si basi solo sull’assenza di altre spiegazioni e sulla probabilità statistica che la responsabile sia Letby (che si è sempre detta non colpevole). In più, l’articolo del New Yorker affronta il modo in cui i media e gran parte del Regno Unito hanno condiviso un atteggiamento colpevolista e assai lontano dal rispetto della presunzione di innocenza che ha molto condizionato il processo.

Ma per rispettare il divieto di riferire sul processo imposto ai giornali britannici – divieto che si estende alle pubblicazioni online – e per non incorrere nelle condanne conseguenti, il New Yorker ha inibito la lettura dell’articolo sul suo sito per chi accede dal Regno Unito. Operazione che però non è possibile sull’edizione cartacea del settimanale, stampata e venduta in un’unica versione in tutto il mondo: quindi a Londra e nelle altre città del paese il New Yorker è acquistabile regolarmente con l’articolo in questione (e può anche essere letto sull’app del giornale).

La contraddizione ha generato una riapertura del dibattito sulla convivenza delle norme che proteggono il corretto svolgimento dei processi e quelle che difendono il principio della pubblicità dei processi, a tutela di tutti. Sul sito Press Gazette si sono fatte ipotesi sulle conseguenze legali del caso per il New Yorker, che non è probabilmente perseguibile perché non ha una sede nel Regno Unito, mentre ce l’ha il suo editore Condé Nast. Mentre su Nieman Lab l’autrice dell’articolo ha spiegato il suo lavoro e le sue motivazioni.


domenica 19 Maggio 2024

Charlie, quanto è facile

Martedì scorso c’è stato un piccolo incidente che ha coinvolto quasi tutti i più noti siti di news italiani: piccolo ma significativo. Il cantante Fabio Rovazzi ha creato su Instagram una “diretta” video in cui è sembrato che a un certo punto gli venisse rubato lo smartphone che stava usando. Il video è stato immediatamente ripubblicato da tantissimi siti di news (tra i maggiori: Ansa, Corriere della Sera, Repubblica, Fanpage, Stampa, Sky Tg24) e da alcuni telegiornali con titoli sul furto e in alcuni casi elaborazioni sulla criminalità nella città di Milano. Poco dopo Rovazzi ha comunicato sempre su Instagram che il furto era stato inscenato per scherzo per attirare l’attenzione sull’uscita di una sua nuova canzone: i suoi fan gli hanno detto bravo, alcuni giornalisti si sono molto irritati per il procurato allarme, ma la questione principale è un’altra.

La questione principale è che quello che è successo dimostra la facilità con cui si può fare arrivare una notizia falsa sul 90% dei mezzi di informazione, e quindi trasmetterla alla gran parte della popolazione. E questo avviene per 1) una inclinazione spasmodica delle testate ritenute più autorevoli a raccogliere qualsiasi contenuto che circoli sui social network, 2) un avvilimento della gerarchia di importanza delle notizie che promuove qualunque accidente riguardi una qualunque celebrity di qualunque scala, e 3) una rinuncia da parte delle redazioni a quel poco lavoro di verifica che esisteva nella cultura giornalistica del paese.

Il risultato è che lo “scherzo” di Rovazzi – la cui divulgazione senza verifiche ha contribuito alla trasmissione di un’idea falsata sulla pericolosità di Milano – è l’equivalente della pubblicazione della combinazione di una cassaforte: ogni malintenzionato che non lo avesse già chiaro ora sa che può contare su un accesso diretto alla popolazione italiana per trasmettere le sue falsificazioni. E che nessun giornale sorveglia quella cassaforte.
Ma magari sarà una lezione preziosa: un giorno la ricorderemo come il momento che rese il giornalismo italiano consapevole della necessità di rivedere un po’ tutto. Magari.

Fine di questo prologo.


domenica 12 Maggio 2024

Certe mattine

Morning, il popolare podcast quotidiano del Post condotto da Francesco Costa, compie ben tre anni: e per festeggiare sarà aperto per tutti, e non solo per gli abbonati del Postfino al 19 maggio.


domenica 12 Maggio 2024

Errore

La settimana passata abbiamo sbadatamente indicato come unica l’esperienza italiana di una “public editor” alla Stampa, pochi anni fa. In realtà ci sono stati altri precedenti, descritti in questo articolo del 2016 da Federica Cherubini e Mario Tedeschini Lalli.


domenica 12 Maggio 2024

Inadatta

Mario Tedeschini Lalli, giornalista che fu tra i primi in Italia a seguire e studiare i cambiamenti digitali nelle aziende giornalistiche (all’allora gruppo Espresso), ha pubblicato su Medium il suo intervento a un incontro dell’Ordine dei giornalisti sulle “tendenze del giornalismo digitale”.

“Come prima cosa — per favore! — non facciamoci attirare dal miraggio della spiegazione contenutistico/politica, che il giornalismo sia in crisi perché fatto male, anzi fatto peggio di come era fatto prima. A me non piace la gran parte di ciò che produce la stampa in Italia, ma la crisi non è di contenuto, la crisi è strutturale. Certo, contenuti migliori aiuterebbero a resistere alla crisi e ad attrezzarsi per il futuro, ma non bastano — diciamo che sarebbero una condizione necessaria, ma non sufficiente.
[…] Il problema, particolarmente acuto in Italia, è che tutta l’organizzazione professionale e sindacale di coloro che si occupano di giornalismo è tarata su quello schema, su un’industria che esiste solo come residuo. La cultura professionale che questa organizzazione esprime è di conseguenza (inevitabilmente?) inadatta a comprendere e quindi ad affrontare la crisi per come si presenta, avrebbe l’impressione, in un certo senso, di negare se stessa. Ma parliamo di una rivoluzione industriale, sociale e culturale e le rivoluzioni sono eventi sanguinosi”.


domenica 12 Maggio 2024

La fotografia perfetta

Questo è ormai un “format” che i lettori dei Charlie conoscono: il popolare fumettista Zerocalcare dà un’intervista a un quotidiano, e poi si arrabbia per come l’intervista viene titolata.
Stavolta col Corriere della Sera.


domenica 12 Maggio 2024

Primo dovere

Per tenere presente sia il successo che l’irregolarità della pratica, ogni tanto è opportuno ricordare che i due maggiori quotidiani italiani ospitano più volte ogni settimana pagine di promozione pubblicitaria non indicate ai lettori come tali e disegnate in modo da confondersi con i contenuti giornalistici più autonomi nelle pagine vicine. In entrambi i casi si tratta quasi sempre di due pagine, collocate prima delle sezioni conclusive dei quotidiani cartacei, che prendono il titolo di “Le Guide“, “Eventi” o “Mostre”. La frequenza con cui vengono occupate (diverse volte anche questa settimana) mostra un evidente e comprensibile interesse da parte dei committenti, e quindi un’occasione preziosa di raccolta pubblicitaria: quindi un “format” interessante anche per chi studia le dinamiche della raccolta pubblicitaria stessa sui giornali. Ma le cui natura e genesi, appunto, non sono segnalate in nessun modo (fattore che spiega l’interesse dei committenti, che ottengono così una promozione di maggiore autorevolezza rispetto a una pubblicità più palesemente riconoscibile): un altro sintomo dell'”ibridazione” dei contenuti giornalistici con quelli pubblicitari generata dalle necessità di sostenibilità dei giornali.

La “Carta informazione e pubblicità” dell’Ordine dei giornalisti, stabilisce che “primo dovere è di rendere sempre riconoscibile l’emittente del messaggio. Il lettore o spettatore dovrà essere sempre in grado di riconoscere quali notizie, servizi od altre attività redazionali sono responsabilità della redazione o di singoli firmatari e quali invece sono direttamente o liberamente espresse da altri. Nel caso di messaggi pubblicitari, dovrà essere riconoscibile al lettore, spettatore o ascoltatore, l’identità dell’emittente in favore del quale viene trasmesso il messaggio, che può essere identificato come impresa o ente o anche come singola marca o prodotto o servizio purché chiaramente identificabile o riconoscibile”.


domenica 12 Maggio 2024

Scomodo

Scomodo è un mensile fondato a Roma nel 2016 da Edoardo Bucci e Tommaso Salaroli, due studenti che all’epoca avevano sedici e diciassette anni: nacque con l’obiettivo di offrire un’informazione di approfondimento sugli interessi e sulle necessità di studenti liceali, universitari e persone sotto i trent’anni. Questi obiettivi sono rimasti, e negli anni Scomodo ha aggiunto alla rivista cartacea un sito, l’organizzazione di attività ed eventi formativi, culturali e di aggregazione, e dal 2019 ha una redazione fisica a Roma in uno spazio occupato (nel palazzo “Spin Time”, occupato da una decina di anni e in cui vivono circa 150 nuclei familiari) e ha recentemente affittato un altro spazio a Milano.

Il lavoro a Scomodo, che è una testata giornalistica, inizialmente era solo su base volontaria, ma con la maggiore strutturazione del progetto oggi sono retribuite 25 persone (redattori, grafici, organizzatori di eventi, parte amministrativa) tra contratti e partite Iva, oltre a una ventina di collaboratori: con i volontari a vario titolo le collaborazioni coinvolgono 600 persone. Gli articoli sono realizzati sia da giornalisti che da aspiranti giornalisti, ma anche da studenti che scrivono in un modo che è spesso più simile all’attivismo, e che in Scomodo coesiste con il giornalismo riuscendo così a coinvolgere persone molto giovani.

Negli anni la testata si è maggiormente strutturata, definendo il limite dei trent’anni per i ruoli di direzione, e creando attorno a Scomodo un’associazione culturale e una società: «l’idea è che la comunità abbia la proprietà del progetto. Quindi la nostra associazione culturale detiene la grande maggioranza delle quote della srl». «Al momento l’assemblea di gestione dell’associazione culturale è abbastanza larga, ma vogliamo renderla più ampia e partecipata. Vogliamo creare meccanismi di governance [amministrazione, gestione, ndr] in cui realmente la comunità può incidere burocraticamente e formalmente».

Tommaso Salaroli spiega a Charlie: «il mensile ha una tiratura di 7-15 mila copie per uscita, con eccezioni per i numeri speciali dove arriva fino a 25 mila copie; visitano il sito circa 40 mila utenti unici ogni mese». È possibile abbonarsi con 8 euro al mese o 80 l’anno: «con la prima campagna, iniziata ad aprile 2023, siamo arrivati a 1200 abbonamenti ma per ora senza nessun investimento pubblicitario, quindi contiamo di fare molto molto molto di più». Scomodo ha sospeso le pubblicazioni tra il 2021 e il 2022, quindi può essere più utile considerare il bilancio dello scorso anno, quando è nata la società: «nel 2023 ha fatturato 240 mila euro chiudendo in leggera perdita, che è stata coperta da un primo aumento di capitale di 150 mila euro. Adesso, un anno dopo, la valutazione societaria è salita a 6 milioni di euro ed è aperto un nuovo aumento di capitale per raccogliere quattro volte la cifra del primo, per poter fare altri investimenti nello sviluppo del progetto, aprire in altre città, assumere nuove persone. Vogliamo mantenere Scomodo un progetto realmente indipendente e delle nuove generazioni per questo la strategia è di raccogliere quote tra le persone che abbiamo incontrato, ci leggono, ci sostengono».

Scomodo spende «il 45% in personale, il 25% nella produzione e stampa, il 20% in spese per amministrazione, infrastrutture e logistica e il 10% in marketing e comunicazione». Le entrate provengono «per il 50% da abbonamenti, copie vendute e merchandising. L’altra metà da collaborazioni con partner e pagine pubblicitarie: non abbiamo aziende particolari che ci finanziano, facciamo partnership e progetti speciali soprattutto con il terzo settore e le istituzioni, ma ultimamente sempre più aziende vogliono collaborare con noi».


domenica 12 Maggio 2024

Il Sole 24 Ore, “un giornale solo vetrina”

Sempre la settimana scorsa il Comitato di redazione del Sole 24 Ore aveva partecipato all’assemblea degli azionisti, congratulandosi con qualche ironia per i risultati economici del gruppo ma dicendosi preoccupato della subordinazione dell’attività giornalistica in questi risultati e del fatto che a ottenerli abbiano concorso riduzioni di investimenti su quest’ultima. Con una critica esplicita al ruolo prevalentemente commerciale del Festival dell’Economia che l’azienda organizza a Trento da anni.
“In dieci anni l’organico dei giornalisti del quotidiano è diminuito di quasi il 25%, passando da 230 a 177, un calo considerevole e con riflessi problematici sotto una pluralità di punti di vista, dalla difficoltà a fare fronte a carichi di lavoro aumentati con un numero di redattori inferiore, alle sempre più accentuate disparità reddituali tra colleghi, dove a parità di mansioni l’inquadramento contrattuale è spesso diverso.
Quanto a redditi, inoltre, la lettura della relazione sulla politica di remunerazione, nella parte relativa ai compensi corrisposti, fa emergere l’aumento della remunerazione sia dell’amministratrice delegata, sia della prima fila dei manager, sia del consiglio di amministrazione, a fronte di una diminuzione di quasi tremila euro della retribuzione media del dipendente Sole 24 Ore
[…] un gruppo dove nei fatti l’informazione conta sempre meno. Sin dall’esposizione aziendale dei principali dati di sintesi del gruppo nell’esercizio 2023 l’enfasi viene messa sullo sviluppo dei prodotti dell’area servizi professionali e formazione e sul buon andamento dell’area eventi (8 milioni di ricavi). Con le redazioni chiamate a fornire apporti sia all’una sia all’altra senza riconoscimento del valore prodotto e piuttosto con richieste ormai sempre più spesso estranee a consapevolezza del ruolo, della figura stessa del giornalista, in una posizione sempre più spesso ancillare. Un’assenza di considerazione che però non investe solo la redazione, ma tutti i dipendenti del gruppo, se è vero che, in una survey aziendale, alla domanda sul tasso di miglioramento dell’impegno dell’azienda sui temi della valorizzazione delle persone oltre l’80% si è detta insoddisfatta.
[…] L’area publishing, tuttora centrale nell’economia dei conti (103 milioni di ricavi), soffre per una assenza di strategia ormai storica, per una mancanza di investimenti, per un deficit di attenzione che si riflette sui risultati. La diffusione segnala una diminuzione sia sul versante carta, -6%, sia su quello digitale, -2 per cento. In contraddizione rispetto a ogni asserita volontà digital first prosegue la diminuzione dei browser unici sul sito, -10 per cento.
[…] E di una realtà che confina l’informazione a un ruolo marginale, in un provincialismo che non meritiamo, il festival dell’economia di Trento, biglietto da visita del gruppo, è il simbolo. Con decine di giornalisti in trasferta per decine di pagine prodotte, in larga parte per fare fronte a richieste autoreferenziali, quando, per esempio, sul piano strutturale la redazione è ormai priva da anni di un corrispondente dagli Stati Uniti (le sedi di corrispondenza sono solo due, con una terza aperta da poco, in India, a condizioni ai limiti del tollerabile). Naturalmente l’organizzazione di un festival dell’economia da parte del primo giornale economico del Paese ha molto senso, ma poco ne ha l’attuale realizzazione. E allora il timore di un giornale solo vetrina di ogni iniziativa estranea all’informazione (dal marketing, alla pubblicità, alla formazione) è tutt’altro che infondato, piuttosto realtà di ogni giorno”.


domenica 12 Maggio 2024

Mari mossi

Un paio di aggiornamenti che risalgono alla settimana prima di questa, ma per cui non c’era stato spazio sufficiente nella scorsa newsletter (anzi, approfittiamo per spiegare che Gmail a volte taglia le newsletter oltre una certa misura, rimandando la conclusione a un link esterno).

Al Tirreno, il quotidiano livornese che è il più diffuso su tutta la costa toscana, continuano le preoccupazioni della redazione sull’assenza di visioni e prospettive da parte della proprietà che ha acquistato il giornale dal gruppo GEDI quattro anni fa (insieme a tre testate emiliane e poi anche alla Nuova Sardegna di Sassari) e sui cali di copie superiori a quelli degli altri quotidiani che si manifestano ogni mese (-21% a febbraio): per le minacce di nuove riduzioni del personale era stato indetto uno sciopero per due venerdì fa a cui poi hanno partecipato anche i giornalisti, e il quotidiano non è uscito.


domenica 12 Maggio 2024

Fritto misto e Gusto

Rispetto alla commistione tra lavoro giornalistico e interessi pubblicitari, c’è stato un altro caso delicato al gruppo GEDI. Il direttore della sezione gastronomica congiunta di Repubblica Stampa è infatti indagato all’interno di un’inchiesta che lo accusa di avere ricevuto dei fondi pubblici per l’organizzazione di alcuni eventi piemontesi legati al “fritto misto”, senza che quei fondi venissero effettivamente utilizzati come previsto. Il Comitato di redazione di Repubblica ha verificato che alla promozione di quegli eventi sarebbero stati dedicati anche alcuni articoli sui siti del gruppo, ipotizzando che questo si debba allo stesso interesse personale e professionale dell’indagato, e ricordando come l’invadenza dei contenuti pubblicitari fosse stata già denunciata nei mesi scorsi.

“Care colleghe e cari colleghi,
la direzione nella persona di Carlo Bonini ci ha convocato per condividere con noi le notizie a disposizione sul caso che riguarda il direttore di Gusto, portale del gruppo Gedi, indagato per corruzione e turbata libertà di scelta del contraente. L’inchiesta della procura di Torino parla di articoli su un piatto tipico piemontese – se ne trovano diversi effettivamente online pubblicati sul nostro hub – in cambio di alcune decine di migliaia di euro per una società posseduta dallo stesso collega, della cui esistenza l’azienda non sarebbe stata a conoscenza.
Sarà la magistratura a fare il suo corso e non è certo una rappresentanza sindacale che può condannare o assolvere alcuno, né auspicare provvedimenti dell’editore. Ma sia la direzione che tutta la redazione sanno bene che nei mesi scorsi più e più volte, a volte anche con vigore, abbiamo posto il problema crescente della pericolosa commistione tra informazione e pubblicità. Labili confini e tolleranza rispetto ad “aree grigie” in tal senso espongono tutti a dei rischi enormi, in primis per la credibilità delle nostre testate. Per questa ragione ci eravamo dati delle linee guida contenute in un documento votato a larga maggioranza dall’assemblea lo scorso 10 novembre, che vi alleghiamo nuovamente, al quale erano seguite delle disposizioni in materia del direttore Maurizio Molinari.
L’ultima vicenda porta con sé un grave danno reputazionale a Gedi e per riflesso a “Repubblica”, a prescindere dall’esito finale dell’inchiesta. Crediamo però vada colta l’occasione per pensare a regole ancor più stringenti che tutelino il nostro lavoro, il nome di “Repubblica” e i lettori.
La direzione si è detta disponibile ad affrontare nuovamente il tema.
Buon lavoro
Il Cdr”

La notizia dell’indagine è stata brevemente raccontata su Repubblica di sabato, con un commento sul fatto che “la società valuterà le azioni conseguenti”.


domenica 12 Maggio 2024

Il giornale fatto dalla concessionaria

Il sito Professione Reporter ha riferito che ci sono state proteste da parte dell’Ordine dei giornalisti per la scelta del gruppo Caltagirone (editore del Messaggero a Roma, del Mattino a Napoli e del Gazzettino a Venezia) di affidare alla propria concessionaria di pubblicità la scelta di stagisti da formare e inserire in redazione: per l’Ordine e per alcuni giornalisti, oltre a essere illecita, la pratica indica una volontà di “ibridare” il lavoro giornalistico con approcci che diano priorità alla raccolta pubblicitaria.


domenica 12 Maggio 2024

Pùlizzer

Il Post ha raccontato chi ha vinto quest’anno, e per cosa, il premio giornalistico più famoso del mondo.


domenica 12 Maggio 2024

Guardare la tivù

Il Foglio ha pubblicato mercoledì due articoli dedicati alle attività dell’azienda che pubblica il Fattoin uno si suggeriva con discrete dosi di sarcasmo che il giornale stia cercando – contrariamente alle sue consuetudini – di non attaccare la Rai, perché avrebbe interesse a vendere alla Rai alcuni programmi prodotti dal suo settore di produzioni televisive (accusa che ha poi avuto sviluppi, come scriviamo sotto). Il secondo articolo aveva maggiori concretezze nell’esporre i dati del bilancio presentato da poco dall’azienda editrice del Fatto (che secondo il Foglio sarebbero preoccupanti abbastanza da rendere molto importanti le trattative con la Rai).

“Pochi giorni fa Seif, la società quotata che edita il giornale di Travaglio, ha pubblicato il bilancio 2023. I dati non sono per niente positivi. Il bilancio si è chiuso con una perdita di 2,39 milioni di euro. Un risultato certamente in miglioramento rispetto ai -4,29 milioni del 2022, ma che si aggiunge alla perdita dell’anno precedente. Questo ha, ovviamente, deteriorato ulteriormente il bilancio consolidato portando tutti gli indicatori più importanti in territorio negativo. Indebitamento finanziario netto pari a 3,12 milioni, capitale circolante netto -4,41 milioni e patrimonio netto negativo: -2,08 milioni.
Il quadro è particolarmente critico, tanto che la società di revisione Kpmg nella sua relazione evidenzia una “Incertezza significativa relativa alla continuità aziendale”. La continuità aziendale è uno dei presupposti del bilancio, indica che si presume che la società possa continuare a operare per i prossimi 12 mesi. Una “incertezza significativa” indica, al contrario, una seria difficoltà ovvero che l’orizzonte della società può essere inferiore a un anno. Questa criticità non è solo segnalata dalla società di revisione ma, com’è doveroso per una società quotata, dagli stessi amministratori di Seif con un paragrafo specifico nella nota integrativa.
Senza negare le oggettive difficoltà finanziarie, gli amministratori hanno concluso che sussiste il requisito di continuità aziendale sulla base di un ambizioso piano industriale 2024-2026 che ha l’obiettivo di aumentare margini e ricavi riportando così i conti in ordine. Ma sempre considerando che “tale determinazione… è suscettibile di essere rivista in funzione dell’evoluzione dei fatti ove non si verifichino gli eventi ad oggi ragionevolmente prevedibili”. E su cosa si basa il nuovo piano industriale di Seif, dopo che l’andamento della gestione “risulta non allineato” rispetto al precedente piano?
Lo spiega la relazione sulla gestione: i) l’avvio dei corsi di formazione della “Scuola del Fatto”, slittato di un anno, ii) il progetto “Community web 3.0” e iii) la attività di Loft Produzioni, la società controllata che produce format tv. Tra i tre pilastri è evidente, dai numeri e dagli investimenti, che è Loft quello che dovrebbe tenere in piedi il piano. Seif ha un accordo per alcuni format, come Accordi & Disaccordi, con la Nove (Discovery) e il format “La Confessione – il programma di Peter Gomez – che con la nuova gestione è per la prima volta approdata su Rai 3”.
Ma non basta, servono maggiori ricavi, avviare “importanti interlocuzioni con emittenti televisive generaliste”: “Le trattative a oggi gestite per il 2024 da Loft Produzioni – è scritto nel bilancio – esprimono la tendenza prevista a piano e un’ottima diversificazione dei fornitori””.

Le ipotesi del Foglio su un’indulgenza interessata del Fatto nei confronti della Rai hanno generato venerdì un’intervista di Repubblica alla parlamentare ed ex ministra Maria Elena Boschi, in cui Boschi si limitava a ripetere piuttosto sommariamente quello che aveva evidentemente letto sul Foglio . Intervista che a sua volta ha fatto decidere il Fatto a intervenire sabato con ben tre articoli – compreso uno del direttore – per contrattaccare e per attaccare anche Boschi e Repubblica, annunciando querele. In uno di questi l’amministratrice delegata ha aggiunto ulteriori dati sulle perdite del giornale.

“Dunque: il Gruppo Seif ha chiuso il bilancio consolidato al 31 dicembre 2023 con Ricavi delle vendite pari a euro 29,2 milioni, in aumento rispetto a euro 27,9 milioni al 31 dicembre 2022, un EBITDA in aumento pari a euro 2,2 milioni rispetto a euro 404 mila al 31 dicembre 2022; e Risultato netto in miglioramento, pari a euro -2,3 milioni rispetto alla perdita di euro -4,2 milioni al 31 dicembre 2022.
In particolare, i ricavi dalla vendita di prodotti editoriali pesano sul totale
per l’80,71%, i ricavi da contenuti media (tra cui Loft) per l’8,59% e quelli del settore Pubblicità per il 10,70%”.


domenica 12 Maggio 2024

I quotidiani a marzo

Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di marzo 2024. Come ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” totale: quindi escludendo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui invece entra tutto. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.

Corriere della Sera 169.085 (-5%)
Repubblica 92.233 (-10%)
Stampa 64.176 (-13%)

Sole 24 Ore 54.473 (-8%)
Resto del Carlino 51.417 (-10%)
Messaggero 44.981 (-8%)
Nazione 33.972 (-11%)
Gazzettino 33.414 (-6%)
Dolomiten 27.589 (-5%)
Fatto 26.771 (-35%)
Giornale 26.696 (-5%)
Messaggero Veneto 23.878 (-10%)
Unione Sarda 22.272 (-5%)
Verità 21.732 (-18%)
Eco di Bergamo 21.503 (-7%)
Secolo XIX 20.077 (-13%)
Altri giornali nazionali:
Libero 18.400 (-14%)
Avvenire 14.975 (-3%)
Manifesto 12.983 (+4%)
ItaliaOggi 5.347 (-40%)

(il Foglio Domani non sono certificati da ADS).

Quasi tutte le testate (salvo il Corriere della Sera e il Manifesto ) hanno come di consueto perso copie rispetto al mese precedente. La grossa perdita annuale del Fatto si deve ancora – e sarà così per diversi mesi – a un aumento del prezzo del quotidiano in edicola tre mesi fa che ha automaticamente determinato un aumento del numero di abbonamenti digitali con uno sconto “maggiore del 70%” (oltre 24mila), classificati quindi al di fuori di questi numeri (ADS divide in tre categorie gli abbonamenti digitali: quelli di fatto gratuiti, venduti a meno del 10% del prezzo del giornale; quelli “scontatissimi”, tra il 10% e il 30%; quelli ritenuti più sostanzialmente “venduti”, a un prezzo superiore al 30%). È utile ricordare che le offerte scontate sono una strategia che mira appunto a coinvolgere più abbonati per cercare poi di trattenerli quando le offerte scadono e i prezzi degli abbonamenti aumentano.
Continua a perdere molto più di tutti la Verità, ma anche i quotidiani dei gruppi GEDI e Riffeser ( Repubblica Stampa Resto del Carlino Nazione ) mantengono cali annuali superiori al 10%.

Ma per dare un’idea dell’apparente inesorabilità dei declini medi, a partire dalle quattro testate maggiori, questi sono i dati di diffusione di marzo 2024 confrontati con quelli di marzo 2021, tre anni fa, quando avevamo da poco iniziato a raccontarli su questa newsletter:
Corriere della Sera 169.085 (193.549)
Repubblica 92.233 (147.924)
Stampa 64.176 (93.026)

Sole 24 Ore 54.473 (75.163)

Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 38mila, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 24mila, come detto sopra, Repubblica più di 15mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 46.881 (+769)
Repubblica 21.976 (-2.006)
Sole 24 Ore 22.840 (-162)
Stampa 7.168 (-1.001)
Manifesto 6.665 (+105)
Fatto 6.336 (-98)
Gazzettino 6.292 (+256)

Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono ancora soprattutto del Tirreno (-22%); e poi di nuovo del Giornale di Vicenza (-14%) e dell’ Arena (-16%), entrambi del gruppo Athesis. Ha perso ben il 31% la Provincia di Como.

Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.

Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui.

AvvenireManifestoLibero, Dolomiten ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)


domenica 12 Maggio 2024

La vita continua, senza news su Facebook

Un gruppo di ricercatori canadesi appartenenti a un osservatorio sui media universitario ha condotto un’indagine sugli effetti della rimozione delle news da Facebook in Canada (ovvero della loro visibilità e condivisione sui feed degli utenti): scelta che l’azienda Meta aveva fatto in conseguenza dell’introduzione di una legge che costringe le piattaforme a pagare le testate giornalistiche per “l’uso” dei loro contenuti pubblicati dalle piattaforme stesse.
E i primi risultati sono piuttosto interessanti, anche se non incoraggianti per i giornali. Tra quelli che riassume un articolo sul sito del Nieman Lab americano:
– i gruppi su Facebook intorno ad argomenti e temi legati all’attualità e all’informazione sono rimasti attivi senza sensibili cambiamenti, anche senza poter attingere a contenuti giornalistici pubblicati sulla piattaforma. E quindi Facebook non sembra aver risentito del cambiamento in termini di uso ed “engagement”.
– Si nota una sensibile crescita di pubblicazione di “screenshots” di articoli, in rimpiazzo dei contenuti suddetti.


domenica 12 Maggio 2024

Charlie, il dannato ruolo del giornalismo

Il “dannato futuro dei giornali” è una questione di soldi, come questa newsletter e le sue notizie suggeriscono ogni settimana: e questo influisce sullo stesso lavoro giornalistico. Che i primi – i soldi – siano fattore del secondo, piuttosto che viceversa, è la condizione prevalente oggi. Ma prevalente non vuol dire unica. Accanto ai fenomeni, alle tendenze e ai dibattiti che riguardano le sostenibilità economiche dei giornali, è utile anche ricordare quello che è il dibattito più importante a proposito del ruolo del giornalismo, sullo sfondo: che si può sintetizzare nell’alternativa se il giornalismo debba darsi come obiettivo diretto la difesa della democrazia e della civiltà come la consideriamo, o se al perseguimento di questo obiettivo debba partecipare svolgendo al meglio il suo lavoro di informazione e trasmissione della conoscenza. Per come si sta manifestando in questi anni di difficoltà delle democrazie e di attacchi ai diritti e alla convivenza, è ancora una volta lo storico dibattito sull’emergenza, sul fine che giustifica i mezzi, sulla necessità di “schierarsi”: dove queste necessità sono invece criticate come pericolose da chi pensa che gli stessi obiettivi si possano raggiungere creando tra le persone consapevolezza e conoscenza della realtà e ricostruendo relazioni di fiducia e condivisione con i mezzi di informazione.

Non c’è situazione più esemplare di questo confronto che quella del New York Times, dove le posizioni di impegno e attivismo hanno agitato il giornale e la redazione negli anni passati e dove da quasi due anni il nuovo direttore Joe Kahn sta invece conducendo una “restaurazione” verso un’idea del ruolo del giornale dedicata a informare e non a prendere parte. “Altrimenti diventiamo propaganda e non siamo più credibili”, è l’obiezione che Kahn fa a chi rimprovera il New York Times di non sostenere abbastanza la rielezione di Joe Biden. Kahn pensa che la democrazia si protegga rispettando le scelte degli elettori qualsiasi siano e facendo in modo che quelle scelte siano bene informate: forse con troppo rigore terzo nel voler trascurare un’evidenza piuttosto eccezionale, in questi anni, da cui è opportuno trarre comunque indicazioni su quali siano le carenze di informazione degli elettori, e compensarle. Ma la discussione – anche perché è appunto una discussione eterna e che non riguarda solo il giornalismo – è preziosa, e l’intervista che Kahn ha dato a Semafor (sempre Ben Smith, sì) assai interessante.

Fine di questo prologo.


domenica 5 Maggio 2024

Traffic in libreria

“Traffic”, il libro di Ben Smith pubblicato in Italia da Altrecose (il brand editoriale del Post con Iperborea) esce mercoledì, e si può già ordinare qui. Racconta di come internet e i media digitali – e il mondo, forse -sono diventati quello che sono oggi, illudendosi di diventare altro, attraverso le storie dei protagonisti di questi due decenni, Smith compreso.

” C’è una battuta nell’opera teatrale Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard che mi è tornata in mente quella volta che il mio editor mi ha fatto notare che forse Jonah e io, pensandoci come protagonisti della storia, stavamo in realtà vivendo la storia di qualcun altro. «Il nostro errore è stato salire su una nave», osserva Guildenstern nel finale. «Certo, possiamo muoverci, cambiare direzione. Ma ogni nostro movimento è contenuto in un movimento più vasto che ci spinge avanti inesorabilmente, come il vento e la corrente». Vent’anni prima Jonah aveva scommesso con il suo amico Cameron Marlow che poteva controllare Internet, e forse più di chiunque altro, a parte Mark Zuckerberg e Donald Trump, ha cercato e a volte è riuscito a governare il nuovo mezzo. Ma il mezzo non poteva contenere il messaggio. In pratica, «Internet» è diventato la società stessa; le forze che sono arrivate a dominarlo – il populismo di destra e di sinistra, soprattutto – sono forze sociali, non digitali. I geni che hanno avuto successo in quest’epoca non hanno dominato queste forze: ne sono diventati i contenitori, come Trump, oppure come Zuckerberg, hanno offerto loro un canale. Jonah ha cercato di plasmarle, ma quasi sempre anche un genio non può fare molto di più che assistere all’arrivo di queste forze e farsi trascinare”.


domenica 5 Maggio 2024

Quello che abbiamo imparato fin qui

In collaborazione con la Fondazione Peccioliper, il Post curerà anche quest’anno un workshop gratuito di una settimana per giovani studenti a Peccioli, in Toscana: dall’8 al 14 luglio, maggiori informazioni sono qui.


domenica 5 Maggio 2024

Col Telegraph siamo daccapo

Lo sviluppo di questa settimana sulla vendita del quotidiano britannico Daily Telegraph è uno sviluppo conseguente: il fondo Redbird ha ritirato il suo progetto di acquisto dopo l’intervento del governo che limita la partecipazione di stati stranieri nelle aziende giornalistiche (la maggioranza di Redbird è del governo degli Emirati Arabi Uniti).


domenica 5 Maggio 2024

Il dannato futuro dei giornali a Torino

Giovedì inizia il Salone del libro a Torino, con un ricchissimo programma che contiene anche diversi incontri molto interessanti per i lettori di questa newsletter, nella sezione curata da Francesco Costa del Post: Jill Abramson (ex direttrice del New York Times), Ben Smith (direttore di Semafor e autore di ” Traffic“), Daniele Raineri (inviato di Repubblica), e la rassegna stampa di Costa e Luca Sofri, “I giornali spiegati bene”. Dalla presentazione sulla Stampa:

“C’è anche Jill Abramson, prima donna a dirigere il “New York Times”, tra gli ospiti della sezione “Informazione”: è curata da Francesco Costa e indaga il presente e il futuro del giornalismo. Sabato 11 alle 15,45 in Sala Azzurra, Abramson racconterà i cambiamenti vissuti dal quotidiano americano, fondato nel 1851 e che lei ha diretto tra il 2011 e il 2014: è l’occasione per interrogarsi sul futuro della carta stampata.

Le altre voci coinvolte da Costa sono quelle di Daniele Raineri, inviato di guerra che parla venerdì 10 alle 15 in Sala Oro del mestiere del reporter e dei conflitti in corso, di Ben Smith, uno dei giornalisti più influenti negli Stati Uniti, fondatore di Semafor e di start-up digitali per l’informazione che, sempre venerdì 10 ma alle 18,15 in Sala Azzurra, racconta la «guerra dei clic», e di Luca Sofri, direttore del Post, che domenica 12 conduce un’edizione speciale della “Rassegna stampa live” del Post (appuntamento alle 11 in Auditorium)”.


domenica 5 Maggio 2024

Dopo Remnick

Oggi su Charlie ci sono grovigli di testate che parlano di altre testate: qui siamo ancora su Semafor e sul New Yorker, ma per un articolo del primo dedicato al secondo, e in particolare alle ipotesi di successione del direttore. Il New Yorker è uno dei più illustri settimanali del mondo (l’anno prossimo compie un secolo), di proprietà dell’editore Condé Nast (che possiede anche VogueVanity FairWiredGQ, tra gli altri: e le loro edizioni internazionali). Negli Stati Uniti è considerata il magazine di riferimento per un esteso ceto sociale e culturale progressista, con una competizione però sempre maggiore da parte del mensile Atlantic (di proprietà di Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs), competizione che oggi si manifesta soprattutto sul web, a prescindere quindi dalle diverse periodicità delle due testate cartacee.
Dal 1998 il direttore del New Yorker è David Remnick, una celebrità eccezionalmente stimata nel mondo intellettuale e giornalistico americano: perché dirige il New Yorker da ventisei anni (quando iniziò il giornale neanche aveva un sito), perché lo fa con grande autorevolezza e personalità, perché fu nominato che arrivava da una carriera giornalistica da reporter e non da passaggi manageriali o di guida di redazioni.
Adesso Semafor ha raccontato che nei prossimi tre o quattro anni è realistico che Remnick lasci la direzione, e rimpiazzarlo sarà molto complicato: «È difficile immaginare il New Yorker senza Remnick».


domenica 5 Maggio 2024

Di qualità

Lo scorso 27 aprile il commentatore del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia aveva pubblicato sul giornale un articolo critico del valore accademico delle lauree offerte dalle “università telematiche”.
L’indomani il Corriere ha ospitato sempre in prima pagina una risposta di Luciano Violante, ex presidente della Camera e oggi presidente del gruppo Multiversity, che possiede l’università telematica Pegaso, tra le altre. Il suo articolo era dedicato a dimostrare che quelle del gruppo Multiversity sono “università telematiche di qualità”, da distinguere dalle altre.
Pegaso è partner del Corriere della Sera nei progetti di formazione “RCS Academy“.


domenica 5 Maggio 2024

Ancora qualche “public editor” in giro

Il public editor è un ruolo tradizionale creato in alcune redazioni nordamericane, anche se ormai da tempo sono rimaste pochissime quelle che lo hanno conservato: è di fatto un “rappresentante dei lettori” presso il giornale, un giornalista che si fa interprete e mediatore di reazioni o critiche nei confronti delle scelte del giornale. Ha una sua indipendenza dalla redazione e dalla direzione, aiuta a mantenere alti i rigori giornalistici e ad aumentare la trasparenza tra lettori e redazione (scrivendo articoli che spiegano scelte, errori e omissioni del giornale). È un ruolo che in Italia è stato adottato con la giornalista Anna Masera alla Stampa, ma che dal 2021 non esiste più neanche lì: negli ultimi anni i «public editor hanno iniziato a scomparire» anche negli Stati Uniti, per esempio, nel 2017 è stata chiusa la posizione al New York Times e l’anno dopo anche quella della rete televisiva ESPNC’è ancora invece alla rete radiofonica NPR, di cui abbiamo parlato di recente, o al Toronto Star in Canada. Se da una parte il ruolo può attenuare le insoddisfazioni e la sfiducia dei lettori nei confronti dei giornali, dall’altra molte testate non vogliono offrire alle critiche eventualmente fondate un’occasione di essere avallate e condivise ufficialmente.

Ma martedì è stato nominato un nuovo public editor al Dallas Morning News, quotidiano che ha 138 anni, è il principale giornale di Dallas e tra i più importanti giornali locali degli Stati Uniti: Stephen Buckley, reporter e redattore con un’estesa carriera accademica, che oggi, fra le altre cose, insegna pratica giornalistica alla Duke University. Nel comunicato l’editore ha detto che la fiducia nei media è crollata e «questo è profondamente preoccupante per la redazione del Dallas Morning News perché ci rendiamo conto che quando le persone non si fidano delle istituzioni pubbliche e dei media (che hanno lo scopo di chiedere conto dell’operato delle istituzioni pubbliche), qualcosa deve cambiare. Quindi, cosa si fa quando manca la fiducia in una relazione? Si affronta il problema». Buckley lavorerà al di fuori della struttura della redazione e riferirà direttamente all’editore, continuerà a insegnare e terrà una rubrica fissa mensile sul giornale.

Poynter, istituto americano dedicato allo studio del giornalismo, ha scritto che «il Dallas Morning News merita un grande apprezzamento per questa scelta. È costosa e apre il giornale a domande e critiche. Ma c’è anche qualcosa da guadagnarci: affidabilità, responsabilità e, nel migliore dei casi, fiducia dei lettori».


domenica 5 Maggio 2024

Autobavagli

Il sito di reportage giornalistici IrpiMedia ha pubblicato un’ indagine sulle ragioni e le pratiche con cui i siti di news decidono di rimuovere articoli e pagine dai loro archivi online.

“«Come dimostrano alcuni provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, Google tende a resistere di più alle richieste di deindicizzazione – commenta l’avvocato Giovanni Battista Gallus -. È più facile che sia una testata a rendere irraggiungibile un articolo» rispetto al motore di ricerca. Lo si deduce, spiega l’avvocato, dal fatto che il Garante in diversi provvedimenti «dichiara esplicitamente il non luogo a procedere perché l’articolo è già stato deindicizzato prima che la persona faccia reclamo all’Autorità».
Significa quindi che un testata, quando ne ha ricevuto richiesta da una persona interessata, ha deciso di rendere irraggiungibile ai motori di ricerca un articolo prima di avere un (eventuale, non necessario) parere di merito dall’Autorità preposta. «A volte è stato addirittura rimosso dall’archivio storico», conclude Gallus.
Per quanto la mediazione con chi si sente parte lesa sia un atteggiamento positivo delle testate, va sottolineato che la deindicizzazione non è un gesto neutrale né privo di conseguenze: rendere più difficile a un utente la ricerca di un contenuto equivale a renderlo irrilevante. Tanto peggio quando questo non viene solo omesso dai risultati dei motori di ricerca, ma anche dall’archivio storico di una testata”.


domenica 5 Maggio 2024

La ciàt

Alla fine della settimana prima di questa era stata ripresa da alcuni articoli in Italia una storia relativa a una chat su Whatsapp creata per il 25 aprile dall’ex direttore della Stampa (oggi editorialista di Repubblica ) Massimo Giannini, e che aveva raccolto desideri di opposizione politica da diversi partecipanti famosi. Alcune testate giornalistiche avevano rivelato e preso in giro le comunicazioni che la chat aveva ospitato (Linkiesta due volte, il Foglio), altre più di destra le avevano offerte ai propri lettori o si erano indignate con meno senso dell’umorismo: Il ministro Salvini ne aveva persino fatto uno dei suoi frequenti casi di vittimismo. La chat era diventata intanto protagonista di alcune puntate del programma televisivo Otto e mezzo.
Tanto è diventata argomento di polemiche e sorrisi soprattutto tra i giornalisti che sabato ha scelto di scriverne persino il giornale stesso di Giannini, Repubblica, con un articolo di Stefano Cappellini capace di non sottrarsi a sua volta a qualche battuta e di farci sopra qualche considerazione di maggior spessore.

“Sarebbe facile dire che in meno di 48 ore la chat 25 aprile ha riprodotto in cattività alcuni dei difetti naturali della sinistra, frazionismo, benaltrismo, velleitarismo, più una inevitabile spruzzata di vanità e di logorrea che con i suoi discorsi seri e inopportuni fa sprecare tutte le occasioni (qui il comico Dario Vergassola ha piazzato una delle battute meglio riuscite: “Siamo più di 900 partecipanti, a mille partono le scissioni”). Da antologia ceccarelliana il momento in cui, pochi minuti dopo un intervento di Fausto Bertinotti, Romano Prodi ha abbandonato il gruppo. Ma la verità è che la chat di Giannini racconta un fatto importante: quanto solo e disperato si senta il popolo della sinistra italiana senza distinzioni di ceto, censo, professione, genere e grado di radicalismo o moderazione. Tanto solo e disperato da aggrapparsi a una chat di auguri come a una scialuppa, una zattera della Medusa. Persone che hanno voglia di fare qualcosa perché sentono che nessuno dei partiti chiamati a farlo glielo chiede e, se anche glielo chiedesse, non avrebbe l’autorevolezza o la credibilità per toccare le corde che un semplice messaggio d’auguri ha saputo smuovere. Enrico Mentana ha abbandonato presto il gruppo sostenendo che il suo mestiere è un altro, posizione più che rispettabile, e ha aggiunto che a fare l’opposizione ci sono già sei partiti. Vero, ma il problema è proprio questo: questi partiti, per ragioni molte diverse, non riescono a fare il loro mestiere, non lo sanno fare, in qualche caso non lo vogliono fare. Dunque, se non fosse che la domanda potrebbe eccitare la componente leninista, la domanda è: che fare?”.


domenica 5 Maggio 2024

Al Guardian non bene

Il quotidiano britannico Daily Telegraph ha riferito che il suo concorrente Guardian incentiverà l’uscita volontaria di un numero non precisato di dipendenti. Il Guardian è da qualche mese in una fase che ha già mostrato sintomi di difficoltà, dopo alcuni anni di crescite e successi.


domenica 5 Maggio 2024

Tenetevi i vostri soldi

Mediapart è un sito d’inchiesta francese spesso celebrato negli anni passati dai giornalisti dei giornali tradizionali, perché è un caso piuttosto raro di nuovo progetto digitale costruito da giornalisti professionisti e con esperienze novecentesche che hanno trovato il coraggio di provare un esperimento di autonomia e che sono riusciti a farlo funzionare (il più noto tra i fondatori, nel 2008, fu Edwy Plenel, che era stato direttore del quotidiano Le Monde): e che ha fatto della predicazione di fiducia e trasparenza coi lettori uno dei fattori più efficaci per costruirle, fiducia e trasparenza. Quindi la scorsa domenica il sito ha pubblicato un articolo battagliero in cui si spiega che «nel marzo 2024, Mediapart avrebbe dovuto ricevere una somma consistente in cambio dell’utilizzo da parte di Google dei nostri articoli, e quindi delle nostre informazioni esclusive, sul suo motore di ricerca. Ma in mancanza di trasparenza [da parte di Google], abbiamo impedito che il bonifico arrivasse sui nostri conti»

«Dato il legame di fiducia con i nostri abbonati, che garantiscono la quasi totalità delle nostre entrate (98%), e il fatto che pubblichiamo i nostri conti ogni anno, ci sembrava inconcepibile incassare anche il più piccolo centesimo, per quanto legittimo»: Mediapart contesta che gli accordi per i compensi da Google – obbligati dalla legge francese – prevedano un obbligo di riservatezza sulle cifre concordate, impedendo di comunicarle ai lettori e di poterle usare come standard per delle trattative condivise tra le varie testate. La legge francese è quella, tra i paesi europei, ad aver applicato con maggiore severità una direttiva europea sui diritti d’autore, cercando di riequilibrare il rapporto tra le piattaforme digitali e i media, favorendo quest’ultimi: a marzo l’antitrust francese aveva multato Google per 250 milioni per non aver rispettato alcuni accordi con gli editori dei giornali.

In tutto il mondo gli editori di giornali stanno chiedendo compensi alle grandi piattaforme digitali per l’uso dei loro contenuti: le richieste hanno qualche fragilità e spesso accordi vengono raggiunti, ma principalmente tra le piattaforme e gli editori maggiori e con più forza contrattuale, a scapito dei siti di news più piccoli o più indipendenti. Mediapart aggiunge: «a differenza dei media che hanno optato per un approccio “ognuno per sé” firmando accordi individuali» contestando, per esempio, la scelta di Le Monde di fare propri accordi con OpenAI, azienda nota per aver sviluppato lo strumento di intelligenza artificiale generativa ChatGPT, «crediamo che solo un fronte unito di operatori del settore sarà in grado di influenzare le multinazionali che, senza una legislazione, continuerebbero a saccheggiare i nostri articoli», e che «di fronte agli attuali eccessi monopolistici, che colpiscono soprattutto le strutture più piccole e indipendenti, la regolamentazione non può più essere rimandata».
I compensi che Mediapart ha deciso quindi di rifiutare non saranno restituiti ma resteranno in possesso di un organismo creato per gestire le contrattazioni collettivamente.


domenica 5 Maggio 2024

E perché se ne parla

Ogni anno il giudizio del “World press freedom index” viene comunicato con grande enfasi sui giornali italiani, ogni anno utilizzandolo con partigianeria per difendere le parti politiche a cui ciascun giornale si tiene più vicino (riconoscendole come quelle più apprezzate dai propri lettori) o per attaccare quelle che è solito contestare. Quindi questa settimana all’indice 2024 è stato dato molto spazio tra i giornali critici con la presente maggioranza (Repubblica ne ha fatto la notizia di apertura della prima pagina), perché un modo sbrigativo di leggerlo poteva essere “l’Italia ha perso cinque posizioni (dalla 41ma alla 46ma) nella classifica in conseguenza degli interventi del governo sull’informazione”. Ma a guardare bene i dati e i commenti relativi si possono leggere cose più approfondite e che raccontano storie meno superficiali:
1) le posizioni si possono perdere o guadagnare anche per meriti e demeriti di altri paesi, ed è quindi più opportuno giudicare la variazione dell’indice assoluto attribuito dall’indice, come ricordava lo stesso incipit dell’articolo di Repubblica. L’Italia ha quindi perso 2,25 punti su 100, e anche mantenendo lo stesso punteggio dell’anno passato avrebbe perso due posizioni.
2) soltanto due anni fa la posizione dell’Italia era 58ma, con 1,64 punti in meno. Se davvero queste variazioni potessero essere messe in relazione con scelte dei governi in carica ciascun anno, significherebbe attribuire al governo Draghi maggiori limitazioni della libertà di stampa di quelle attuali col governo Meloni. Ma l’Italia è stata in posizioni peggiori della attuale anche in tutti gli anni dal 2008 al 2018.
3) il breve testo di analisi di ciascun paese per l’Italia cita cita come primi tra i problemi le minacce della mafia e di gruppi estremisti (fattori invece assai trascurati nelle titolazioni dei giorni scorsi sui quotidiani italiani) e spiega che “per la gran parte i giornalisti italiani godono di un clima di libertà. Ma a volte cedono a un’autocensura, per assecondare la linea editoriale della loro azienda giornalistica o per evitare una denuncia per diffamazione o altre azioni legali”. Sono piuttosto queste le ragioni maggiori di preoccupazione e che spiegano come mai l’Italia occupi una posizione più bassa tra i paesi europei con cui abitualmente si confronta.
4) l’Ungheria, alla cui valutazione alcuni titoli hanno avvicinato l’Italia, è invece 67ma, con 7 punti in meno dell’Italia.
Detto tutto questo, ricordiamo che si tratta di un giudizio di “Reporter senza frontiere”, basato sulle valutazioni di una serie di corrispondenti in ciascun paese e su un lungo questionario fitto di variabili passato attraverso complesse formule matematiche: variazioni annuali di pochi punti o di decimi di punti percentuali stanno del tutto dentro le variabili aleatorie del procedimento.


domenica 5 Maggio 2024

Cos’è il “World press freedom index”

“Reporter senza frontiere” è il nome italiano di un’organizzazione non profit internazionale (nacque in Francia nel 1985, col nome originale di “Reporters sans frontières”) che si occupa – col contributo soprattutto di istituzioni governative e di fondazioni private – di difendere e proteggere i giornalisti e il loro lavoro in tutto il mondo. La sua maggiore occasione di notorietà pubblica è un’efficace intuizione di comunicazione creata nel 2002: il “World press freedom index”, una classifica aggiornata annualmente dei paesi del mondo sulla base di una serie di parametri che, sintetizzati, vogliono misurare la libertà di stampa in ciascun paese. Trattandosi di una classifica è da una parte molto appetibile per i mezzi di informazione, e dall’altra molto schematica e a rischio di interpretazioni sbrigativa. In più, è compilata a partire dai giudizi di un’organizzazione privata – per quanto encomiabile nel suo lavoro – e da valutatori particolarmente sensibili ai rischi per la libertà di stampa e quindi tendenti a enfatizzare questi rischi e ogni allarme relativo (nel testo che accompagna la classifica 2024 per l’Italia si fa riferimento alla possibile vendita dell’agenzia AGI a un parlamentare della maggioranza, che non è ancora avvenuta; e alla “legge bavaglio” che non ha ancora avuto applicazione, trattandosi di una delega al governo a cui non c’è stato ancora seguito: e il rapporto usa peraltro lo stesso nomignolo spregiativo e propagandistico coniato dai suoi critici, e senza che quelle norme fossero mai state criticate quando già esistevano negli anni passati).
Un altro limite di come la classifica viene spesso comunicata e interpretata è che le principali minacce alla libertà di stampa che influiscono sul giudizio per molti paesi (Italia compresa) sono quelle provenienti dalle organizzazioni criminali e dalle mafie, e non dalle pressioni politiche e dei governi. Il Post aveva raccontato la classifica nel 2017 (i parametri di valutazione sono cambiati nel frattempo).


domenica 5 Maggio 2024

La fine del traffico

Brian Morrissey, ex direttore del sito di media e pubblicità Digiday che ci capita di citare su Charlie da quando ha un’ottima newsletter che si chiama The Rebooting, ha intervistato nel suo podcast la direttrice del Wall Street Journal Emma Tucker. Tra le diverse cose interessanti della conversazione la principale e più esemplare di un grosso cambiamento in corso è quella che riguarda lo spostamento di priorità dalla crescita delle “pagine viste” o dei “visitatori unici” al coinvolgimento dei lettori che produca una maggior fedeltà e una maggiore propensione all’abbonamento. Spiega Morrissey:

“L’era del traffico è finita. Nessuno si vanta più dei suoi visitatori unici certificati da Comscore: la nuova stella polare è l’engagement. In particolare per i modelli ad abbonamento, che sono il naturale sviluppo delle strategie concentrate sul pubblico. Con gli abbonamenti il terrore è il churn (ovvero la quota di abbonamenti che non vengono rinnovati, ndt). Trovo rivelatore che Emma non citi i numeri di traffico ma sottolinei piuttosto che il churn del Wall Street Journal quest’anno sia calato del 6%. Il Journal ha una bacheca di dati che misurano criteri come le visite, le conversioni in abbonamenti, le quote di lettrici e di lettori giovani:«Alla redazione chiedo di concentrarsi sull’engagement, non sul traffico, non sui clic. Quanto tempo passano le persone sul nostro giornalismo? Quanto spesso tornano?».

È interessante come la tendenza si stia manifestando in ambiti anche non giornalistici: Netflix ha da poco annunciato che non diffonderà più dati sul numero dei propri abbonati, per la stessa ragione. Nella sua lettera trimestrale agli azionisti Netflix ha scritto che l’engagement – il tempo passato sulla piattaforma – “è il miglior sintomo della soddisfazione dei clienti” e che oggi la metrica più adatta per valutare i propri risultati sono i risultati economici di questo engagement che non sono più proporzionali al numero degli abbonamenti, ma derivano per esempio dalle forme di abbonamento più costose o dai ricavi pubblicitari o dalla promozione per passaparola generata dagli utenti più assidui.


domenica 5 Maggio 2024

Tornando a casa

Il settimanale New Yorker ha pubblicato sul suo sito un articolo intitolato “La vendetta della home page”. La sintesi è una tendenza che è stata percepita da qualche tempo nei siti di news: ovvero che le home page sarebbero tornate a essere un accesso rilevante per i lettori, dopo che per anni il loro ruolo – delle home page – era stato reso assai marginale dalla prevalenza dei social network e di Google nel portare traffico sui siti. Una decina d’anni fa le nostre abitudini di navigazione si erano concentrate su queste piattaforme anche rispetto alla fruizione dei contenuti di informazione: e il traffico aveva preso sempre più a raggiungere singole pagine senza più passare dalle home page. Adesso che Facebook e Google stanno disinvestendo dalle news, che Twitter è sempre più una cosa diversa dal “social delle news” che era stato, e che Instagram e TikTok continuano a non essere veicoli di traffico all’esterno delle rispettive piattaforme, una quota di utenti delle news ha ripreso a raggiungere i giornali online attraverso le loro homepage, cliccando sui bookmark relativi o digitando le loro URL.

Il New Yorker cita i casi del sito di news Semafor, che si sta muovendo in questa direzione, e di un antico e amato sito di link ad articoli di varia cultura, Arts & Letters Daily . In entrambi i casi, in modi diversi, sembra resistere il potenziale di un’offerta di aggregazione da parte delle home page, in cui i lettori possano trovare selezionati e confezionati articoli e link di vario genere: un po’ la cosa che erano abituati a trovare sui social network anche rispetto alle news.
Il sito di sport Defector dichiara che il 75% dei propri abbonati raggiunge il sito attraverso la homepage.
Al Post le visite sulla homepage sono in crescita dal 2021, e sono passate da una media del 20% a circa il 40% delle visite totali.


domenica 5 Maggio 2024

Charlie, and it’s ok

Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha tenuto un discorso alla “Society of editors”, un’importante associazione di giornalisti del suo paese. Sunak ha detto tutte le cose retoriche e rispettose che un primo ministro può dire in quel contesto, celebrando l’importanza e il valore del lavoro giornalistico, ma le ha dette bene. E, visto da qui e di questi tempi, non ha esibito risentimenti e polemiche né presentato le sue insoddisfazioni: o meglio, ha spiegato che capita che le abbia, e che va bene così, a ognuno il suo ruolo.

Quello che si vede in Italia – ma non solo in Italia – è il ricorso al vittimismo e alla contrapposizione come strumento di propaganda da parte di entrambi gli ambiti: i giornali sostengono ogni giorno di essere sotto attacco da qualche parte politica, i politici sostengono ogni giorno di essere sotto attacco da parte di qualche giornale e dei suoi interessi. Ed entrambi protestano, ed entrambi ottengono così di compattare le file dei propri sostenitori: a scopo di diffusione di copie o di raccolta di voti. I percorsi di politica e giornalismo sono paralleli da molto tempo, ormai.

Invece Sunak ha detto in quest’occasione la cosa più ragionevole, quello che dovrebbe essere: “And in conclusion politicians and media will always clash. It’s a law of nature… And [I] won’t always like what you write or the questions that you ask. I won’t always agree with what you say and the way that you represent the Government’s actions. But that’s okay”.
I giornali criticano i politici, i politici si scocciano: but that’s ok. Senza gettarsi a terra ogni giorno gridando “arbitro!”.

Fine di questo prologo.


domenica 28 Aprile 2024

Ogni quattro anni

Il nuovo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post, è già disponibile per i suoi abbonati e sarà in libreria l’8 maggio: è dedicato a spiegare contesti, funzionamenti, informazioni intorno alle elezioni presidenziali statunitensi di novembre, ed è in questa occasione preceduto da un’introduzione di Francesco Costa.


domenica 28 Aprile 2024

Sulle ultime al New York Times

La settimana scorsa un errore di formattazione ha reso illeggibile per alcuni lettori della newsletter il testo sull’indagine interna al New York Times, che riproduciamo qui, con molte scuse.

Ci sono aggiornamenti al New York Times su una faccenda di cui avevamo scritto: il sito The Intercept aveva raccontato che il New York Times non avrebbe pubblicato una puntata del suo podcast The Daily (ascoltatissimo e molto seguito) per dubbi sulla credibilità e accuratezza delle fonti, a proposito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre; il New York Times aveva risposto sostenendo che si fosse trattato di normali revisioni giornalistiche, ma aveva avviato delle indagini interne per capire chi avesse dato a The Intercept le informazioni relative. Questo nel contesto sia di una nuova linea imposta dalla direzione che cerca di evitare che le discussioni interne al giornale siano diffuse al di fuori della redazione, e sia di critiche e pressioni a proposito della copertura di quello che succede a Gaza e in Israele.

Diversi siti di news hanno riportato che lunedì il direttore del New York Times Joe Kahn ha scritto in un canale Slack (il programma di chat usato da molte aziende) del giornale che «non abbiamo raggiunto una conclusione definitiva su come si sia verificata questa significativa fuga di notizie. Abbiamo identificato delle lacune nel modo in cui viene gestito il nostro materiale giornalistico e abbiamo preso provvedimenti per risolvere questi problemi». La direttrice delle indagini interne del New York Times, Charlotte Behrendt, ha intervistato una ventina di persone nel corso di molte settimane. L’indagine è stata criticata dal sindacato dei giornalisti, che ha presentato un reclamo «per molestie e discriminazioni nei confronti» di un gruppo di collaboratori del New York Times di origine araba e mediorientale: i dirigenti del giornale hanno risposto che le accuse sarebbero infondate.


domenica 28 Aprile 2024

Titolismi

Questa settimana è stata Alessia Marcuzzi, popolare conduttrice televisiva, a protestare per la scelta di titolazione di una sua intervista pubblicata sul Corriere della Sera. Il giornale ha successivamente modificato il titolo nella versione online dell’intervista.
Venerdì della settimana precedente l’allenatore della Roma Daniele De Rossi aveva protestato per come le sue parole erano state riportate su alcuni giornali.
Un mese fa, nella sua rubrica quotidiana su Repubblica, Michele Serra aveva suggerito di dare interviste ai giornali soltanto per iscritto, per evitare sorprese: soluzione che però non protegge dai rischi delle titolazioni fuorvianti.


domenica 28 Aprile 2024

Con Biden ma scontenti

Il sito americano Politico ha raccontato giovedì in un articolo come i rapporti tra lo staff del presidente Biden e il New York Times – il maggiore quotidiano del paese, stabilmente su posizioni liberal – non siano per niente buoni, con diffidenze e insoddisfazioni reciproche. L’articolo è stato molto discusso nei giorni scorsi, e il New York Times ha ritenuto di commentarlo – senza citarlo -, negando presunte ingerenze dell’editore sulla questione e confermando il proprio disappunto per la limitata disponibilità di Biden a confrontarsi con i giornalisti in generale.


domenica 28 Aprile 2024

GEDI è tutta di Exor

Il gruppo editoriale GEDI – quello che possiede StampaRepubblicaHuffPost Radio Deejay – diverrà a breve completamente di proprietà di Exor, la grande società internazionale che ne deteneva già la maggioranza delle azioni e che ha tra le sue molte proprietà soprattutto l’azienda automobilistica Stellantis (e per cui GEDI è un interesse economico molto marginale). “Esercitando un’opzione” prevista dagli accordi, Exor acquisterà le quote dei soci di minoranza (le società CIR degli eredi De Benedetti, e Mercurio di Carlo Perrone: ex editori rispettivamente di Repubblica Secolo XIX ) entro il primo semestre del 2024.


domenica 28 Aprile 2024

Comunisti in Giappone

Il settimanale britannico Economist ha raccontato come a rivelare un grosso scandalo di evasione fiscale nella politica giapponese ci sia il giornale del partito comunista del Giappone, lo Shimbun Akahata. L’articolo è stato tradotto in Italia dal settimanale Internazionale.

“La cosa forse sorprendente è che all’origine dello scandalo c’è lo Shimbun Akahata (Giornale bandiera rossa), il quotidiano del Partito comunista giapponese (Jcp). Un giornale di nicchia che oggi è letto da 850mila abbonati, in calo rispetto ai 3,5 milioni del 1980. È stato Akahata il primo a occuparsi delle discrepanze nei finanziamenti del 2022. “Non mi aspettavo tanto clamore”, dice Kamiyu Sasagawa, il giornalista di 33 anni autore dello scoop. Sasagawa ha esaminato i documenti governativi e collaborato con Hiroshi Kamiwaki, un docente di legge dell’università Gakuin di Kobe, che ha presentato la denuncia al pubblico ministero”.


domenica 28 Aprile 2024

Non dimentica

Carlo Verdelli, direttore del settimanale Oggi, ha voluto ricordare su Twitter l’anniversario del giorno in cui fu brutalmente licenziato dalla direzione del quotidiano Repubblica, il 23 aprile 2020, per decisione della nuova proprietà del quotidiano.


domenica 28 Aprile 2024

Giornalisti in pericolo

La rivista statunitense Paste, una delle più note nel mondo tra quelle che si occupano di musica (ma anche di cultura e spettacolo in generale: da diversi anni esiste solo in versione digitale) ha spiegato di avere scelto di non firmare una recensione del nuovo disco della cantante Taylor Swift, per garantire la sicurezza dell’autore dopo le minacce ricevute a suo tempo per la recensione di un precedente disco di Swift.


domenica 28 Aprile 2024

Eco-eco

Un altro piccolo esempio di quello che dicevamo domenica scorsa sulla sopravvalutazione, nei giornali italiani, di quello che scrive la stampa straniera sulle cose italiane: il New York Times ha pubblicato un articolo dei suoi corrispondenti a Roma su alcune recenti scelte del governo Meloni, soprattutto quelle limitanti l’applicazione del diritto all’aborto. Un buon articolo di riassunto, interessante per i lettori non italiani: simile a molti articoli sui giornali italiani a proposito della politica in altri paesi. Ma che non conteneva niente di diverso da quello che si è potuto leggere in molti articoli italiani (e che si apriva con un commento di un collaboratore del quotidiano Domani, per esempio). Ma sulla Stampa di giovedì l’articolo stesso è stato considerato una notizia, degna di un articolo sull’articolo.


domenica 28 Aprile 2024

Catch and kill

Durante il processo di queste settimane contro Donald Trump, a New York, è stata ascoltata la testimonianza di David Pecker, ex editore di un famigerato settimanale statunitense, il National Enquirer: assai seguito e noto soprattutto per l’aggressività scandalistica nei confronti delle celebrities. Ma il giornale è stato anche uno strumento al servizio di Trump, negli anni della sua presidenza, come ha raccontato Pecker. Il Post ha spiegato la pratica del “catch and kill”, adottata dai giornali di questo genere in tutto il mondo.

“Secondo la recente testimonianza di Pecker, che in questi giorni ha raccontato quanto accaduto al tribunale di Manhattan durante il primo processo penale contro Trump, la riunione alla Trump Tower serviva a capire «cosa lui e le sue riviste potessero fare per aiutare con la campagna elettorale». Ne uscì un accordo in base a cui Pecker si impegnava a usare l’Enquirer per essere «le orecchie e gli occhi di Trump». Nella pratica, questo voleva dire pubblicare articoli negativi sui suoi sfidanti e positivi su di lui, ma anche avvisarlo nel caso avesse sentito circolare storie che avrebbero potuto metterlo in difficoltà. Pecker era un editore ideale da coinvolgere in questo piano anche perché era già noto per la sua tendenza a ricorrere a una pratica giornalistica considerata molto controversa: quella di pagare una fonte per avere l’esclusiva su una storia, farle firmare un accordo vincolante di non divulgazione e poi non pubblicarla, evitando così la diffusione di notizie potenzialmente dannose per una specifica persona in cambio di qualcosa”.


domenica 28 Aprile 2024

Tutto è green, niente è green

Una sentenza del Consiglio di Stato ha annullato una multa di 5 milioni di euro che l’Autorità garante della concorrenza (Agcm) aveva deciso nei confronti dell’azienda di prodotti petroliferi ed energia ENI. La sentenza è rilevante per il sistema dell’informazione italiana perché riguarda la libertà di comunicazione promozionale di ENI, che è uno dei maggiori inserzionisti pubblicitari dei giornali, dei siti di news, dei programmi radio e tv. Secondo Agcm era ingannevole una pubblicità di ENI che dichiarava “green” un carburante diesel dal significativo potere inquinante. Secondo il Consiglio di stato invece il termine può essere usato, e come ha commentato la stessa ENI “è finalmente riconosciuto che non può dubitarsi, in linea di principio, della legittimità dell’impiego di claim ‘green’ anche in relazione a prodotti (come nel caso di specie un carburante diesel) che sono (e restano) in certa misura inquinanti ma che presentano, rispetto ad altri, un minore impatto sull’ambiente”.

Detto che ovviamente tutti i prodotti inquinanti presentano “rispetto ad altri” un minore impatto sull’ambiente (salvo uno solo, per logica), la sentenza libera aziende di ogni genere verso pratiche di “greenwashing” che possono usare il termine “green” indiscriminatamente: e indirettamente ne beneficiano i giornali che ospiteranno comunicazioni a pagamento senza regolamentazioni in questo senso.