Charlie

Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.

domenica 9 Giugno 2024

A cosa serve possedere un giornale

Il nuovo podcast di Ben Smith, fondatore e direttore del sito di news americano Semafor, ha intervistato Vivek Ramaswamy sul suo ingresso nella società che possiede i siti Buzzfeed Huffington Post, tra le altre cose.

Ramaswamy ha 38 anni ed è figlio di due immigrati indiani. Ha avuto una carriera piuttosto brillante come manager e imprenditore soprattutto nel settore farmaceutico e delle biotecnologie. A partire dal 2022 è diventato famoso negli Stati Uniti come attivista “anti woke ”. È autore di un libro intitolato Woke, Inc. (si potrebbe tradurre come Woke Spa) in cui sostiene che le preoccupazioni ambientali, sociali e razziali siano un inutile ostacolo alla crescita economica e alla libertà d’impresa. All’inizio dell’anno aveva brevemente partecipato alle primarie Repubblicane per la presidenza, ritirandosi presto dopo avere ricevuto una discreta copertura mediatica per le sue dichiarazioni polemiche.

Meno di un mese fa Ramaswamy aveva annunciato di avere acquisito il 7,7% della società di Buzzfeed, e nei giorni successivi era intervenuto chiedendo riduzioni dei costi, nuovi progetti economici e spostamenti a destra dei contenuti. Nel podcast di Semafor ha spiegato di voler costringere il fondatore e maggiore azionista, Jonah Peretti, a cedergli il controllo della società sfruttando i grossi debiti della società stessa. Ben Smith – che conosce bene la storia di Buzzfeed e l’ha raccontata nel libro Traffic – ha poi spiegato gli obiettivi e le ingenuità di Ramaswamy, e le differenti priorità della politica e del business: dove la prima è disposta a sacrificare il secondo, quando ci sono risorse economiche sufficienti.


domenica 9 Giugno 2024

“Non un buon servizio”

Martedì Repubblica ha pubblicato nelle pagine della Cultura una lettera dello storico e arabista britannico Denis MacEoin intitolata “Cari studenti, Israele non è un regime”: la lettera era preceduta da una nota che spiegava “Pubblichiamo una risposta di Denis MacEoin alla mozione presentata dall’Associazione studentesca dell’Università di Edimburgo per boicottare tutto ciò che è israeliano e in cui si afferma che Israele è governato da un regime di apartheid. Denis MacEoin è un esperto di affari del Medio Oriente ed è stato caporedattore della rivista Middle East Quarterly. Ecco la sua lettera agli studenti”.

Soltanto che MacEoin è morto nel 2022, e la lettera era del 2011. Se ne sono accorti diversi lettori martedì mattina, protestando per l’errore e in alcuni casi mettendolo in relazione con una tentazione sbadata del giornale di proteggere Israele dalle accuse di questi mesi. Quello che è realisticamente successo è che – dal momento che quella lettera è stata ripresa da diversi siti e sui social in questi mesi di conflitti online – qualcuno a Repubblica l’abbia trovata e letta e si sia fatto ingannare dal riferimento all’iniziativa degli studenti di Edimburgo del 2011, dal momento che proteste contro Israele nella stessa università si stanno svolgendo anche in questi mesi. E che nel giornale non sia stata fatta nessuna verifica non solo sulla datazione del testo ma nemmeno sulla biografia dell’autore.

A seguito delle segnalazioni, Repubblica ha aggiunto alla versione online dell’articolo – e diffuso sui social – un messaggio di scuse relativo a “l’errore di non indicare la data originaria”, benché sia assai plausibile dalla nota iniziale che la data originaria non fosse stata proprio notata. Nel messaggio si dice tra l’altro “lo abbiamo ricevuto da un editore di New York”, che è uno strano dettaglio da fornire, considerato che la lettera è pubblicata online su decine e decine di siti da tredici anni.

Il Comitato di redazione del giornale, che negli ultimi mesi ha avuto già diversi attriti con la direzione, ha diffuso un comunicato:
“Il Comitato di redazione di “Repubblica” prende le distanze dalla pubblicazione avvenuta oggi, e voluta dalla direzione, dal titolo «Cari studenti, Israele non è un regime» a firma di Denis MacEoin: scritto risalente al 2011 di uno studioso deceduto nel 2022, entrambi particolari non menzionati in pagina.
Siamo convinti che così facendo, decontestualizzando fatti e opinioni, non si stia facendo un buon servizio al giornalismo e alla credibilità di “Repubblica”. Questo è purtroppo l’ennesimo caso sconcertante che siamo costretti a denunciare, con l’unico scopo di salvaguardare collettivamente il nostro lavoro, la nostra professionalità e la nostra reputazione”.


domenica 9 Giugno 2024

Sadomaso

L’editore del quotidiano romano Il Messaggero ha licenziato il direttore Alessandro Barbano neanche due mesi dopo averlo assunto. Assunzione che aveva già a sua volta una storia propria, essendo stato Barbano licenziato discutibilmente dallo stesso editore nel 2018 (in quel caso dalla direzione del Mattino, quotidiano napoletano anch’esso di proprietà del gruppo Caltagirone, di ricchezze legate alle costruzioni e alle attività immobiliari).
Barbano, conosciuto come giornalista serio e riservato, non ha dato spiegazioni del licenziamento: notizie varie lo avevano legato a sue scelte di indipendenza dalla maggioranza di governo non apprezzate dall’editore, ma sia Barbano che l’editore le hanno dichiarate false.
Il vicedirettore Guido Boffo è diventato direttore del Messaggero. L’assemblea dei redattori del giornale ha diffuso un comunicato in cui annuncia uno “sciopero delle firme” (di impatto limitato: il giornale ospita ogni giorno molti articoli firmati da collaboratori esterni) ed esprime una serie di timori e critiche nei confronti della proprietà.

“L’assemblea dei redattori del Messaggero esprime sconcerto per le modalità con le quali è stato licenziato il direttore Alessandro Barbano, dopo appena un mese alla guida del giornale e senza che ne siano state esposte formalmente le motivazioni. L’assemblea esprime forte preoccupazione per la perdurante mancanza di un piano editoriale, che dia contezza della programmazione del lavoro dei giornalisti. Una situazione, questa, aggravata proprio dalla mancanza di continuità nella guida del Messaggero e di chiarezza sui motivi delle ripetute modifiche ai vertici della redazione. L’assemblea rimarca il clima di lavoro sereno e rispettoso che si era venuto a creare durante la breve direzione di Barbano, dopo anni difficili che avevano reso i rapporti interni sempre più tesi.
L’assemblea chiede alla direzione chiarimenti sul futuro del giornale e l’attuazione di un piano editoriale dettagliato e condiviso con i giornalisti. Chiede altresì che venga conservato il clima di fattiva collaborazione e serenità all’interno della redazione, dà mandato al Comitato di redazione di vigilare affinché non ci siano cambi di rotta su questi punti fondamentali e affida al Cdr un pacchetto di cinque giorni di sciopero.
Per rimarcare la nostra preoccupazione il giornale uscirà senza le firme dei giornalisti del Messaggero fino a lunedì 10 giugno”.


domenica 9 Giugno 2024

Farsele sfuggire

C’è un’altra storia che ha riguardato lateralmente il Washington Post, nelle ultime due settimane. È quella delle critiche contro il giudice della Corte suprema Samuel Alito, per una concretissima storia di bandiere esposte nel suo giardino. Se ne è molto parlato negli Stati Uniti come uno scoop del New York Times, che ha svelato la storia. Che però era conosciuta al Washington Post dal 2021, quando il giornale aveva mandato un suo reporter a indagarla e aveva poi deciso di non darle spazio. Il fallimento è stato commentato sullo stesso Washington Post dal proprio “media critic” Erik Wemple, caso piuttosto eccezionale di capacità autocritica, visto da qui.


domenica 9 Giugno 2024

British invasion

Il Washington Post è diventato in questi mesi il grande quotidiano internazionale più “attenzionato” – come dicono le questure – del mondo, per via di una storia sintetizzabile in: “grande e ammirato quotidiano americano, con una storia da cinema, viene salvato dal declino dal padrone di Amazon, risorge e torna protagonista per un breve periodo, ma poi va in nuova crisi economica e di lettori”. Quindi da alcuni mesi hanno fatto notizia gli sviluppi di questa crisi e le ipotesi su come sarà affrontata: la notizia di questa settimana però è la più grossa, si è dimessa la direttrice Sally Buzbee, di fatto spinta da un intervento energico dell’amministratore delegato Will Lewis su tutta la progettazione del giornale. Al posto di Buzbee il ruolo sarà tenuto fino alle elezioni presidenziali da Matt Murray, prima che si insedi il nuovo direttore Rob Winnett. Contemporaneamente Lewis ha comunicato – con considerazioni drastiche sullo stato economico del giornale e sulle necessità di rimediare – una nuova impostazione del giornale che preveda “una terza redazione” (accanto a quella delle news e a quella delle opinioni) dedicata a produrre contenuti più leggeri, di servizio, o che funzionino sui social network. E che sarà diretta da Murray.

Le storie e i commenti intorno a questa decisione sono tanti.
1. Giovedì il New York Times ha scritto – con maggiore sicurezza rispetto alle voci di cui scrivemmo due settimane fa – che le dimissioni di Buzbee abbiano avuto a che fare anche con la pubblicazione sul Washington Post di un articolo sul coinvolgimento di Lewis nelle nuove cause legali britanniche relative allo scandalo delle violazioni di privacy dei tabloid. Articolo alla cui pubblicazione Lewis si era detto contrario. E venerdì David Folkenflik ha scritto sul sito del network radiofonico NPR che Lewis gli aveva offerto qualche mese fa un’intervista in anteprima se avesse rinunciato a scrivere un articolo sulle vicende britanniche di Lewis stesso.
2. Molti osservatori, e persone della redazione stessa, hanno criticato la scelta di Lewis di promuovere due persone di sua fiducia – Murray e Winnett avevano lavorato con lui al Wall Street Journal e al Daily Telegraph – nei ruoli più importanti, invece che privilegiare capacità professionali, ricerche più estese, e il mantenimento di una diversità nei ruoli dirigenziali: Murray e Winnett sono maschi e bianchi.
Sabato Lewis ha scritto alla redazione con toni meno perentori e più costruttivi chiedendo fiducia e dicendosi disponibile a maggiori confronti e collaborazioni.
3. Sta crescendo la quota britannica nei ruoli maggiori delle grandi testate americane, e in particolare al Washington Post: Lewis è londinese ed è inglese anche Winnett, che finora era direttore del quotidiano di Londra Daily Telegraph. A capo di CNN c’è Mark Thompson, la direttrice del Wall Street Journal è Emma Tucker e quello di Bloomberg News è John Micklethwait, londinesi tutti e tre.
Sia l’articolo di NPR sopra citato che una serie di tweet di Emily Bell – giornalista britannica ed esperta analista del mondo dei media – hanno segnalato i rischi che certi sbrigativi approcci britannici all’etica giornalistica potrebbero portare nelle testate americane.


domenica 9 Giugno 2024

Charlie, mai un dubbio

Viene chiamato “uomo morto” un dispositivo sui treni che serve a garantire la vigilanza dei macchinisti: crea l’impegno a fare una cosa apparentemente inutile ma che serve a dimostrare ogni tot tempo che chi è alla guida del treno è vigile e consapevole della situazione.
Il prologo di oggi è un prologo “dell’uomo morto”: serve a mostrare ogni tanto che siamo svegli, e che abbiamo presente il mondo dell’informazione intorno a noi, a costo di fare considerazioni banali e ingenue.
Ma proviamo a pensare in termini di logica: com’è che in Italia quasi tutti i giornali scelgono di dire ai loro lettori che una parte politica ha sempre torto e mai ragione? È realisticamente e statisticamente impossibile che sia davvero così: eppure non compare mai un articolo o un titolo che dica “X ha fatto questa cosa giusta” o “X ha ragione e i suoi avversari torto”, dove X è – a seconda del giornale – l’obiettivo che quel giornale ha scelto di contestare quotidianamente, per soddisfare e alimentare le cieche partigianerie dei suoi preziosi lettori. Perdendo però così credibilità e affidabilità: perché, appunto, delle volte X ha ragione e i suoi avversari torto, inevitabilmente. E perdendo coerenza: perché X ha detto o fatto la stessa cosa che altre volte dissero o fecero i suoi avversari, che vennero allora lodati e apprezzati da quel giornale.
L’alibi è chiamare questo approccio “linea editoriale”: ma è una linea commerciale e demagogica, in realtà. Non dipende da un’idea del mondo, ma da una rigidità di pensiero unita a una necessità economica. Non è diversa da quella dei giornali sportivi che “tifano” per singole squadre, per essere letti e apprezzati dai tifosi di quelle squadre. I giornali migliori, quelli a cui dare fiducia, saranno quelli dove troverete qualcuno che dica “Ha ragione Meloni” o “Ha ragione Schlein” senza ironie o premesse o distinguo, quando fino al giorno prima quei giornali le avevano attaccate.

Fine di questo prologo.


domenica 2 Giugno 2024

Bene

Il Post ha pubblicato l’annuale riassunto con cui condivide e spiega i propri conti dell’anno passato.

“La prima cosa che diremo dei conti del 2023 è che per il quarto anno consecutivo il Post è un progetto giornalistico che riesce a sostenersi economicamente e a creare ricavi utili a nuovi investimenti, assunzioni e crescite: risultato che ovviamente ci conforta per quel che riguarda il Post, ma che ci sembra anche prezioso e interessante nel contesto generale delle difficoltà economiche delle aziende di informazione e dei giornali. Se quello che il Post sta facendo è utile per la conoscenza e la consapevolezza di chi lo legge (o anche per il suo piacere), questo sta venendo riconosciuto in un modo che non ha bisogno di contributi pubblici né di scendere a patti equivoci con gli inserzionisti pubblicitari.
Ed è un risultato che possiamo dire si debba nella sua gran parte alla costruzione di un rapporto di fiducia e di soddisfazione con gli abbonati, a sua volta reso possibile dal riconoscimento di una grande attenzione alla qualità del lavoro offerto. Insomma, bravi tutti”.


domenica 2 Giugno 2024

Gli inserzionisti si sono accorti di Domani

Negli ultimi giorni della settimana passata è capitato che il quotidiano Domani ospitasse al suo interno anche tre pubblicità di grossi inserzionisti (Tim, Lavazza, Enel, Grimaldi, Telepass) nelle sedici pagine di cui è abitualmente composto. È un vistoso progresso nella raccolta pubblicitaria di un giornale che da molto tempo riusciva a vendere al massimo l’ultima pagina.


domenica 2 Giugno 2024

Eccezioni

Abitualmente i quotidiani italiani hanno una dose di ritrosia nel dare evidenza a quello che viene pubblicato sugli altri quotidiani, per una malintesa idea di concorrenza per cui farlo sarebbe un’ammissione di maggiore capacità dei concorrenti. Quindi è piuttosto un’anomalia che Repubblica abbia messo in prima pagina, venerdì, il resoconto di un articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire, offrendogli quasi un’intera pagina all’interno (stralci di quell’articolo sono stati raccolti da altri giornali, non in prima pagina). L’articolo su Avvenire non era in effetti un articolo qualsiasi, ma un’intervista all’editore di Repubblica John Elkann.


domenica 2 Giugno 2024

Trovarsi un nemico famoso

In un’intervista alla Verità per promuovere il suo nuovo libro, Antonio Padellaro – giornalista 77enne che fu tra le altre cose direttore dell’ Unità e cofondatore del Fatto – ha spiegato sabato senza ipocrisie il valore commerciale delle campagne dei giornali contro determinati “nemici” indicati come tali ai propri lettori: riferendosi in particolare a Silvio Berlusconi.

Silvio Berlusconi è stato la grande illusione perduta del Fatto?
«Più che grande illusione, grande tiratura perduta. Glielo dissi esplicitamente: lei ha fatto la fortuna dei suoi amici, ma molto anche quella dei suoi nemici».
Quanto è difficile per Achab rifarsi una vita senza Moby Dick?
«Difficilissimo. All’inizio del libro cito Illusioni perdute di Honoré de Balzac dove l’editore invita lo scrittore a trovarsi un nemico famoso perché così “il vostro valore aumenterà”. Ma dev’essere un nemico potente, e noi avevamo il più potente. Prima con Matteo Renzi e ora con Giorgia Meloni non è la stessa cosa. A un nemico potente corrispondeva un giornale molto vivace».
Più è strenua la lotta…
«Più si guadagnano copie. Il lettore ti conosce, si identifica e ti compra. Un giornale è un prodotto, la sfida dell’edicola è ogni mattina più difficile»”.


domenica 2 Giugno 2024

TPI, che diffida della transizione digitale

The Post Internazionale (poi abbreviato in TPI), pubblicato dalla società omonima, è una testata giornalistica fondata, tra gli altri, da Giulio Gambino che ne è tuttora direttore, e da Stefano Mentana, vicedirettore. Il sito cominciò a pubblicare nel 2010 e poi si strutturò e trasformò in testata giornalistica nel 2012, e dal 2021 pubblica anche una rivista cartacea, prima settimanale e poi diventata quattordicinale. Gambino ha 37 anni e spiega che TPI adesso è tre cose: «un sito, una rivista e una pagina Instagram. Il sito si regge sulle sue gambe con l’advertising e non ha modelli di sottoscrizione o abbonamenti a pagamento perché non mi hanno mai convinto fino in fondo come opzione, tenuto conto delle attuali condizioni che ostacolano una completa transizione al digitale. Per noi Instagram è un portento di informazione, attualità, analisi che ha, in parte, preso il posto del sito perché la maggior parte delle persone sta lì sopra».

Nel settembre 2021 nacque la rivista cartacea omonima: «è una boutique dell’informazione, costa 4,50 €, con un target di pubblico più adulto. Siamo partiti con una grande aspirazione, forse ambiziosa, però è stato un esperimento di successo perché comunque è in piedi e vive: oggi escono 22 numeri l’anno, abbiamo ridotto le pubblicazioni perché ci siamo resi conto che così è più sostenibile, con una periodicità che si incontra meglio con l’esigenza del lettore, e con tempi di lettura più lenti. La rivista vende 4-5 mila copie a seconda dei numeri con una tiratura di circa 9-11 mila e quindi abbiamo un reso che può essere intorno al 55%-60%: tra le vendite rientrano sia gli acquisti individuali dei lettori in edicola, sia gli acquisti multipli da parte di enti, aziende, istituzioni. Alle vendite in edicola si aggiungono gli abbonamenti digitali che sono circa mille: avevamo anche quelli cartacei ma abbiamo dovuto eliminarli perché costavano troppo di spedizione. La rivista da un anno è al punto di break-even [è in pareggio tra costi e ricavi, ndr] grazie alle vendite; e poi grazie a pubblicità, contenuti ed eventi riusciamo a fare margini che altrimenti non sarebbero arrivati. Su tutti i nostri canali cerchiamo di fare informazione di qualità, sul sito e su Instagram facciamo buoni numeri però l’attenzione dei grandi sponsor è minore rispetto alla rivista cartacea che finisce in tutti i tavoli istituzionali e in tutte le rassegne. In assoluto e nel complesso non sono soddisfatto delle vendite della rivista. Però per noi aver intrapreso questa operazione è stato fondamentale perché nei siti vedo minor potenziale di sviluppo, al momento, anche per questa rivoluzione digitale che in Italia non è mai avvenuta e che forse potrà avvenire solo quando i grandi editori decideranno tutti di andare sul digital».

Negli ultimi anni è aumentato il fatturato di The Post Internazionale, passando da circa 700 mila euro nel 2020, a un milione nel 2021 e quasi 1,5 milioni nel 2022: «il ricavato della rivista pesa circa 900 mila euro, il fatturato complessivo del 2023, che deve ancora uscire, sarà di circa 1,6-1,8 milioni. Le altre fonti di entrata principali arrivano dal digitale, sito, ed eventi. Le maggiori voci di spesa sono stampa, distribuzione, personale: in redazione ci sono una decina di dipendenti assunti e diversi altri collaboratori».

Nel 2020 e nel 2021 il giornale è stato in perdita (di circa 110 mila e 130 mila euro), «principalmente a causa degli investimenti che abbiamo realizzato per il lancio della rivista cartacea», e tornato in utile nel 2022 (di circa 80 mila euro): «non è l’utile il mantra di una società così piccola, non saprei dire se avremo ancora utili o meno nei prossimi anni, sicuramente la rivista ha dato linfa vitale. Senz’altro c’è stato un periodo nel quale abbiamo avuto difficoltà, nel 2020».


domenica 2 Giugno 2024

Come quasi tutti

Giovanni Valentini è un giornalista di 76 anni autore di una rubrica settimanale sul Fatto, che si occupa spesso e con toni polemici di questioni relative al business dei giornali italiani. Sabato l’ha usata per rispondere a un’accusa dell’editore Andrea Riffeser (proprietario del gruppo editoriale che possiede i quotidiani NazioneResto del Carlino Giorno , e presidente della federazione degli editori di giornali) che avrebbe contestato al Fatto la antica dicitura sotto la testata del giornale “Non riceve alcun finanziamento pubblico”. Secondo Riffeser le agevolazioni fiscali di cui il Fatto beneficia, come gli altri quotidiani, smentirebbero quella dicitura: secondo Valentini le agevolazioni fiscali non devono essere ritenute “finanziamento pubblico” e quindi la dicitura sarebbe corretta.
Ma l’occasione è utile per spiegare invece una cosa diversa: ovvero che la scelta di quella dicitura fu a suo tempo un’ottima trovata di marketing da parte del Fatto , che negli anni ha convinto molti suoi lettori di avere a che fare con una scelta eccezionale (e considerata apprezzabile). Mentre in realtà vale per quasi tutti i quotidiani italiani, che potrebbero vantarsi della stessa cosa: quelli che ricevono contributi pubblici sono pochi, e pochissimi tra quelli nazionali più noti (AvvenireManifestoFoglioLiberoItaliaOggi, Secolo d’Italia).


domenica 2 Giugno 2024

Quattro e non più di quattro

La protesta di Repubblica contro le pratiche e le tariffe imposte da SIAE sulla pubblicazione di un tipo di immagini – ne avevamo scritto la settimana scorsa – ha avuto sviluppi. Dopo l’anticipazione sul Venerdì, il magazine allegato al quotidiano, la stessa Repubblica ha dedicato mercoledì due pagine a descrivere la questione, e ha ricevuto rapidamente una risposta disponibile da parte di SIAE, pubblicata venerdì sul giornale di carta.


domenica 2 Giugno 2024

Non è serata

Il tabloid inglese Evening Standard cesserà le pubblicazioni quotidiane – dal 2009 era distribuito gratuitamente, soprattutto nella metropolitana di Londra – e diventerà un settimanale.

“Nell’annunciare il cambio di formato, la dirigenza ha spiegato che il modello gratuito non sta più funzionando: un po’ perché dopo la pandemia è diminuito il numero di pendolari che si spostano quotidianamente con i mezzi pubblici, e un po’ perché da quando è stato introdotto il segnale telefonico su gran parte delle linee della metro di Londra le persone hanno cominciato a leggere molto meno i giornali durante il proprio tragitto. Nel lavoro, nella vita, in ogni momento. Negli ultimi sei anni l‘Evening Standard ha perso 84,5 milioni di sterline di ricavato (circa 100 milioni di euro). Per rimanere aperto deve fare affidamento ai finanziamenti diretti di Evgeny Lebedev, che acquistò una quota di maggioranza del giornale nel 2009 insieme al padre, l’oligarca russo Alexander Lebedev, ex esponente del KGB (i servizi segreti dell’Unione Sovietica) nonché proprietario di una quota del quotidiano russo Novaya Gazeta”.

Simon Jenkins, columnist del Guardian e che lavorò due anni all’ Evening Standard, ha commentato la notizia con nostalgia ma convenendo che da tempo la qualità del giornale fosse molto scaduta, e che in generale tutto il giornalismo locale abbia perso valore.

Qui una guida ai tabloid britannici, di tre anni fa.


domenica 2 Giugno 2024

Emilio Carelli è il direttore dell’Espresso

Le vicende del settimanale L’Espresso continuano a essere confuse e tumultuose. L’Espresso è un settimanale di news dalla storia illustre e da cui di fatto nacque l’intero gruppo editoriale che oggi si chiama GEDI: venne travolto come altri dalla crisi generale dei newsmagazine, e dal 2016 fu ospitato come allegato domenicale del quotidiano Repubblica. Poi, con la vendita dell’allora Gruppo Espresso alla società Exor della famiglia Elkann e la trasformazione in GEDI, l’Espresso venne venduto nel 2022 a una società dell’imprenditore Daniele Iervolino, le cui fortune economiche si devono all’università telematica Pegaso.
Da quel momento il giornale – tornato a uscire autonomamente il venerdì – ha vissuto una serie di passaggi incerti, in parte prevedibili in una transizione simile e in parte legati a dinamiche tipiche nella gestione di prodotti giornalistici da parte di società con limitata esperienza nel settore editoriale. Il direttore Marco Damilano si era dimesso prima della vendita per protesta contro l’operazione; il suo successore Lirio Abbate era stato sostituito pochi mesi dopo; il nuovo direttore si è dimesso dopo un anno, all’inizio del 2024, sostituito dal vicedirettore Enrico Bellavia. E nel corso di questi due anni ci sono stati frequenti allarmi da parte dei giornalisti sulle incertezze di gestione del progetto, di cui lo scorso dicembre è diventato proprietario un altro imprenditore.

Questa settimana anche Bellavia è stato “sollevato dall’incarico”: secondo la redazione, che ha indetto una giornata di sciopero, per “l’ennesimo tentativo di intromissione dell’azienda sul contenuto degli articoli: tentativo a cui il direttore uscente Enrico Bellavia si è opposto garantendo la storia e la tradizione del nostro giornale”. L’ultimo numero dell’ Espresso aveva la storia maggiore dedicata alle manovre economiche e politiche intorno all’agricoltura italiana. Secondo l’editore invece la nuova sostituzione del direttore appartiene a un percorso previsto e a una “fase completata”.

“Con riferimento al secondo cambio che ha riguardato il (Vice) Direttore Enrico Bellavia, è opportuno precisare che lo stesso è stato chiamato – con nomina di sei mesi – a traghettare il settimanale verso un nuovo modello editoriale, al fine anche di agevolare un consistente risanamento economico della Testata rilevata a dicembre 2023. Completata questa fase, l’Editore, nel ringraziare – nuovamente – Enrico Bellavia per quanto sino ad ora svolto e nel pieno delle facoltà previste dalla legge, ha individuato in Emilio Carelli la figura più adatta a ricoprire il ruolo di Direttore; con la certezza che quest’ultimo possa attuare appieno la linea Editoriale. L’Espresso Media respinge – inoltre – fermamente qualsiasi accusa di intromissione da parte dell’Azienda sul contenuto degli articoli ed invita, a tal uopo, il CdR a un incontro chiarificatore con lo spirito costruttivo, di collaborazione e trasparenza che ha finora improntato il rapporto professionale”.

E così, il nuovo direttore dell’ Espresso sarà adesso Emilio Carelli, giornalista dalla vivace carriera. Carelli ha 72 anni, ha avuto molti ruoli importanti nelle reti televisive Mediaset ed è stato poi direttore di Sky Tg24, prima di essere eletto alla Camera dei deputati con il M5S, passare ad altri gruppi parlamentari e decadere dalla carica nel 2022. Carelli era finora amministratore delegato, dallo scorso dicembre, della società che aveva acquistato il settimanale.


domenica 2 Giugno 2024

Spunti di riflessione

Mathew Ingram, giornalista assai esperto sulle trasformazioni dell’informazione digitale, ha scritto sulla Columbia Journalism Review “dieci domande” sulla base delle quali affrontare il rapporto potenziale con le “intelligenze artificiali” all’interno dei giornali: cercando di mettere un po’ d’ordine in un tema molto discusso e citato ma ancora molto incerto.
1. Stiamo cercando di salvare i posti di lavoro o il senso del giornalismo?
2. Meglio fare causa alle società di AI o vendere loro i propri contenuti?
3. Le AI elimineranno il ruolo di intermediazione dei giornali?
4. Qual è la priorità di ciascuna impresa giornalistica?*
5. Quali sono i bisogni del pubblico?
6. Quali sono gli esperimenti più accessibili da fare con le AI?
7. Come si entra nell’ordine di idee che tutto continuerà a cambiare?
8. Che conseguenze ha l’AI per la fiducia del pubblico?
9. Quali sono i punti di forza di ogni giornale, su cui sfruttare le AI?
10. Le AI possono aiutare il giornalismo locale, quello più impoverito in questi anni?

Ingram usa qui l’espressione “stella polare”, che è diventata l’ultimo grido nei giornali da un paio di anni: “capire quale è la propria stella polare”, ovvero scegliere il proprio obiettivo prioritario e il modo di misurarlo, è un’istruzione di moda e ripetuta ovunque, saggia e generica al tempo stesso.


domenica 2 Giugno 2024

Svolte

La Svolta è un giornale online creato nel 2021 sotto la direzione di Cristina Sivieri Tagliabue, giornalista che fino ad allora aveva collaborato con molte testate maggiori occupandosi soprattutto di tecnologia e di temi sociali. La proprietà e gli investimenti erano stati del gruppo Sostenya, che possiede soprattutto una società che offre servizi alle aziende per la gestione dei consumi energetici, dei rifiuti e per la sostenibilità ambientale. Il giornale si era proposto ed era stato condotto in questi tre anni come “un quotidiano che racconta i grandi cambiamenti in corso, prestando particolare attenzione all’Ambiente, ai Diritti, all’Innovazione sociale, culturale e tecnologica. Dando voce soprattutto ai giovani e alle donne”.

Tre settimane fa la Svolta ha pubblicato una “nota redazionale” che informava i lettori che l’amministratore delegato e proprietario di Sostenya, Pietro Colucci (che è affiancato dai due figli nel consiglio di amministrazione) è indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta genovese che è più nota per avere coinvolto il presidente della regione Liguria Toti. In seguito a quella nota l’editore Colucci ha fatto mettere offline il sito e ha comunicato alla direttrice Sivieri Tagliabue la sua sospensione. Nei giorni successivi sul sito è stato pubblicato un “comunicato della società editrice” che riferisce “che il giornale sta vivendo un momento critico che ci costringe a limitare, finanche a sospendere, le pubblicazioni dei nostri usuali contributi informativi sul tema dei diritti, dell’innovazione e dell’ambiente”, e la direttrice è stata licenziata, in ragione della pubblicazione della nota su Colucci.
Sivieri Tagliabue ha affidato a un’avvocata l’impugnazione del licenziamento.


domenica 2 Giugno 2024

Charlie, facce ride

È capitato spesso, ormai persino da decenni, che venisse messa in discussione e criticata un’inclinazione del giornalismo a mescolarsi troppo con “l’intrattenimento”, e che queste ibridazioni prendessero anche il nome di “infotainment”: con accenti critici da parte di chi teme che il ruolo di servizio pubblico dei giornali finisca per cedere troppo terreno a queste più frivole funzioni (che nei giornali ci sono sempre state: i cruciverba, i fumetti, le ricette, gli oroscopi). Ma nelle consuetudini di una parte del giornalismo italiano lo squilibrio verso l’intrattenimento è così visibile da occupare lo spazio principale: ovvero i giochi di parole nei titoli da prima pagina. E quanto questo sia considerato normale e benvenuto lo dimostra che alle eventuali critiche sulla povertà e ingannevolezza informativa di quegli spazi così importanti e visibili, i loro difensori rispondono celebrando le occasionali riuscite spiritose piuttosto che mettere in discussione l’approccio stesso: a conferma che farci sorridere è ritenuta da una parte dei lettori (e dei giornalisti) una missione prioritaria dei giornali.

Fine di questo prologo.


domenica 26 Maggio 2024

Alpini

La rassegna stampa del Post con Luca Sofri e Francesco Costa, “I giornali spiegati bene”, che tratta molti degli argomenti di questa newsletter, sarà sabato prossimo alle 10 ad Aosta all’interno del festival La grande invasione.


domenica 26 Maggio 2024

Il futuro del giornalismo

Il Post replicherà ad autunno l’investimento sulla formazione di un gruppo di giovani stagisti, progetto che aveva sperimentato per la prima volta a primavera nel 2023: quest’anno in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori che assegnerà il Premio Mario Formenton come borsa di studio per la partecipazione ai due mesi di workshop.


domenica 26 Maggio 2024

“Like a prosecutor”

Vanity Fair americano ha pubblicato un ritratto di Charlotte Behrendt, avvocata che svolge da diversi anni – ma con maggiore autorità da qualche anno – il ruolo di “grande inquisitrice” all’interno del New York Times, raccogliendo segnalazioni di possibili comportamenti inappropriati di diverso genere, e conducendo indagini e interrogatori interni che diverse testimonianze descrivono come molto sgradevoli e indiscreti.


domenica 26 Maggio 2024

Senza le figure

Il Venerdì, il settimanale di Repubblica, ha pubblicato una pagina sul suo ultimo numero dove accanto a un articolo che parla di un’opera d’arte, nello spazio dell’immagine che illustrerebbe l’articolo compariva un testo dentro una cornice: “Visto l’elevato costo dei diritti SIAE (un problema che si presenta sempre più spesso, con autori contemporanei), l’opera (facilmente visibile in rete) non è qui riprodotta”. L’articolo era firmato da Tomaso Montanari, storico dell’arte e saggista, e parlava di un’opera che mostra una menorah, il tipico candelabro ebraico a sette braccia, montata su una mitraglietta. Montanari ha poi pubblicato l’immagine su Instagram.

La direzione del Venerdì ha spiegato a Charlie che da qualche anno è diventato poco sostenibile pubblicare sui giornali immagini di opere d’arte contemporanea coperte da diritti SIAE (l’ente pubblico italiano che si occupa della tutela del diritto d’autore e della proprietà intellettuale). Le immagini possono costare da alcune decine di euro fino a diverse centinaia. In questo caso la redazione del Venerdì ha chiesto alla SIAE la possibilità di non pagare i diritti d’autore ripubblicando la pagina del quotidiano spagnolo El Pais dove, in un articolo del 2010, era raffigurata l’immagine dell’opera: al rifiuto ha pubblicato l’articolo senza immagine.


domenica 26 Maggio 2024

Un uomo solo al comando della corsa

Per illustrare la vittoria del ciclista Steinhauser nella tappa del Giro d’Italia di mercoledì, il Corriere della Sera ha scelto giovedì una foto con queste priorità di visibilità e didascalia tra i due soggetti al traguardo.


domenica 26 Maggio 2024

La fin du Match

La vendita dello storico settimanale di attualità e celebrità francese Paris Match al grande gruppo del lusso LVMH (ne avevamo scritto tre mesi fa) sembra quasi sicura: la proprietà ha annunciato “progressi soddisfacenti” nella trattativa che dovrebbe concludersi a settembre.


domenica 26 Maggio 2024

I fatti di due anni prima

Nella giornata di mercoledì un importante esponente della Lega a Brescia ha pubblicato su Instagram il video di una rissa nel centro della sua città, indicandolo come avvenuto la sera prima. Il video è stato ripreso da diversi account social con posizioni di destra per attaccare di volta in volta l’immigrazione, la criminalità nelle città, l’amministrazione di sinistra di Brescia. Nel frattempo il video è stato rilanciato da tantissimi siti di news, dal Corriere della Sera al Messaggero Tgcom24 Repubblica e molti altri ancora. Venerdì è stato confezionato dall’account del ministro Matteo Salvini in una “card” che citava appunto Tgcom24. Nessuno di questi siti di news si è premurato di verificare a quando risalisse il video – l’episodio era di pubblica notorietà – e di darne informazione.

“Sia il video che i post degli esponenti della Lega sono stati pubblicati da molti giornali locali nazionali, evidentemente senza verificare l’accaduto con le forze dell’ordine. Il video, infatti, mostra un episodio avvenuto quasi due anni fa, nel luglio del 2022. Questo particolare non trascurabile è emerso durante una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, una riunione a cui partecipano rappresentanti della questura, della prefettura e del comune. Durante la riunione è stato chiesto alle forze dell’ordine di capire se nell’ultima settimana fossero state fatte denunce, esposti o semplici chiamate di emergenza.
In seguito a una verifica nell’archivio della polizia, i cui risultati sono stati poi comunicati durante la riunione, per il pestaggio mostrato nel video furono fermati due ragazzi minorenni e uno maggiorenne, che al momento si trova in carcere. I tre responsabili dell’aggressione furono individuati nel 2022 grazie alle immagini registrate dalle telecamere installate in centro”.


domenica 26 Maggio 2024

Un falso costoso

La famiglia del pilota tedesco Michael Schumacher ha ottenuto un risarcimento di 200mila euro dalla rivista Aktuelle che aveva pubblicato una intervista inventata con Schumacher stesso.

“La famiglia dell’ex pilota tedesco di Formula 1 Michael Schumacher ha vinto una causa legale che aveva intentato l’anno scorso contro il gruppo editoriale tedesco Funke, dopo la pubblicazione di una finta intervista a Schumacher pubblicata sul settimanale femminile Die Aktuelle, scritta utilizzando un software di intelligenza artificiale. Lo ha fatto sapere ad Associated Press la portavoce della famiglia di Schumacher, Sabine Kehm, che ha aggiunto il gruppo editoriale dovrà pagare un risarcimento di 200mila euro.
Schumacher, uno dei piloti più noti e vincenti della storia, ebbe un grave incidente sciistico nel 2013 che gli causò lesioni cerebrali: la sua famiglia ha sempre mantenuto uno stretto riserbo sulle sue condizioni, ma si sa che non è in grado di camminare e che le sue interazioni sono poco significative, e che quindi non sarebbe mai stato in grado di dare interviste”.


domenica 26 Maggio 2024

Cosa mi aspetto da Domani

Il quotidiano Domani ha dedicato venerdì un articolo alla vittoria giudiziaria del proprio editore Carlo De Benedetti nei confronti del quotidiano La Verità, del suo direttore Maurizio Belpietro e del suo collaboratore Mario Giordano. Questi ultimi dovranno risarcire De Benedetti per un articolo del settembre 2020 che secondo la sentenza citata conteneva notizie false che lo riguardavano.
Al tempo della pubblicazione dell’articolo il quotidiano Domani doveva ancora nascere (sarebbe uscito col suo primo numero poco dopo), quindi la scelta di dare questa notizia rispetto alle molte sentenze che riguardano cause per diffamazione ha evidentemente a che fare col fatto che il protagonista ne è il proprio editore.


domenica 26 Maggio 2024

Ancora sui processi britannici contro i tabloid

Il giudice britannico che si occupa della causa del principe Harry contro alcuni tabloid, a proposito delle pratiche illegali di violazione della privacy attuate da quei giornali, ha rifiutato di aggiungere nuove accuse a quelle dibattute nel processo, come chiedevano gli avvocati del principe: e ha spiegato che per queste ci sarebbe bisogno di nuove denunce e nuovi processi.
Intorno alle pratiche di sorveglianza delle segreterie telefoniche erano emerse nei mesi scorsi nuove informazioni che stanno generando nuove cause contro i tabloid coinvolti.


domenica 26 Maggio 2024

Piogge record, e rivolte carcerarie, che non lo erano

La puntata di martedì di Morning – il podcast quotidiano di Francesco Costa sul Post – è stata aperta dal racconto della diffusione di una notizia falsa su molti giornali (riguardava la pioggia a Milano). Un’altra notizia falsa era stata raccontata nella puntata del giorno prima, e aveva riguardato una presunta rivolta nel carcere di Benevento.

“Poi, sono arrivate più tardi le parole del direttore del carcere che ha raccontato come sono andate le cose. Al rifiuto di un medico della ASL di visitare un detenuto è esplosa una protesta vibrata sfociata in momenti di concitazione con la rottura di alcune vetrate, le cui schegge hanno ferito lievemente due agenti di polizia. Non c’è stata nessuna colluttazione, non c’è stata nessuna aggressione da parte dei detenuti. La protesta è rientrata, non c’è stata nessuna rivolta, nessun sequestro, niente è stato distrutto se non questa vetrata che ha ferito due agenti che sono andati a farsi medicare e sono tornati subito in servizio. E allora io e non solo io a questo punto che cosa avevo sentito alla radio? Da dove arrivava la notizia quell’informazione così allarmante sulla rivolta ai poliziotti sequestrati? Il piano del carcere completamente distrutto arrivava da uno di questi comunicati dei sindacati e degli agenti penitenziari. I tre garanti dei detenuti responsabili per quella zona per il carcere di Benevento hanno diffuso un comunicato dicendo “Sono sempre più aggressivi i comunicati dei sindacati di polizia penitenziaria che ritraggono le carceri come un fronte di guerra, identificando di fatto un solo bersaglio”, dicono i garanti, “la popolazione detenuta””.


domenica 26 Maggio 2024

Cosa gliene viene

Il sito di media e marketing Digiday è tornato sul lavoro sperimentale del New York Times per ottenere maggiori informazioni sull'”attenzione” dei lettori nei confronti delle inserzioni pubblicitarie, di cui avevamo scritto un mese fa. Per ora le informazioni sono ancora piuttosto sommarie, ma sicuramente per la perdita progressiva di valore della pubblicità online diventerà sempre più importante avere dei dati più confortanti di quelli generici sul traffico, o sulla “viewability” (ovvero del potenziale di visibilità) delle inserzioni: le tecnologie stanno lavorando sulla possibilità di registrare gli sguardi e le attenzioni, in modo da dare agli inserzionisti delle metriche che li convincano della bontà dei loro investimenti.
Naturalmente questa prospettiva sarebbe sovversiva nel bene e nel male, e misurazioni più credibili dell’attenzione dei lettori sulla pubblicità potrebbero rivelare quanto siano sterili molti investimenti su pagine e testate che non siano il New York Times.


domenica 26 Maggio 2024

Meno Capital

Radio Capital è una delle radio (assieme a Deejay M2O ) possedute dal gruppo GEDI, l’editore anche di RepubblicaStampa HuffPost, tra gli altri. Da diversi mesi circolano molte voci sull’intenzione di GEDI di vendere Capital, nell’ambito della strategia di dismissioni che sta attuando da tempo per ridurre costi e perdite. Nelle ultime settimane l’azienda ha comunicato la chiusura di un gran numero di contratti di collaborazione della radio, generando una protesta ufficiale della redazione.

“La redazione di Radio Capital esprime preoccupazione per il clima di incertezza che sta vivendo da alcuni mesi. Prima le voci di vendita (smentite dall’editore), poi il trasferimento di un caposervizio in un’altra redazione del gruppo, a cui non è seguita alcuna sostituzione, né numerica né contrattuale.
A questo è seguita la comunicazione a voce che da fine giugno i nostri giornali radio verranno radicalmente trasformati. Nelle varie edizioni non ci saranno più servizi dei nostri collaboratori esterni, che sono stati contattati per chiudere il rapporto di lavoro, per molti ventennale, e che sono sempre stati risorsa centrale nella produzione dei giornali radio.  Il provvedimento trova la redazione fortemente contraria.
Ci chiediamo, inoltre, se questo ridimensionamento possa rappresentare un atto iniziale di una ulteriore riduzione del nostro lavoro giornalistico.
Per questo chiediamo chiarezza attraverso un immediato confronto con l’azienda”.


domenica 26 Maggio 2024

A nome del coro

Il direttore del quotidiano Il Giornale , Alessandro Sallusti, ha annunciato martedì in prima pagina un “ritocco alla veste grafica” e la cancellazione dello storico claim sotto la testata, “Da 50 anni contro il coro”, spiegandone l’incongruenza con l’attuale prevalenza nel paese del pensiero conservatore espresso dal giornale.

“A poche settimane dal nostro cinquantesimo compleanno diamo un ritocco alla nostra veste grafica per presentarci in ordine all’appuntamento. La novità più importante è però quella forse meno visibile, la scomparsa di quella dicitura «Da 50 anni contro il coro» che faceva mostra di sé proprio sotto la testata. Intendiamoci, non è che rinunciamo a essere ciò che siamo sempre stati: è che forse è venuto il momento di prendere atto che quella battaglia contro un pensiero unico illiberale che si imponeva in ogni campo è stata vinta, che le idee di una destra liberale, moderna e moderata hanno piena cittadinanza culturale e politica. […] Ma se così è e la maggioranza degli italiani consapevoli si affidano alle nuove destre, beh un motivo ci sarà. Non sto dicendo che quello in carica sia il governo perfetto né eterno. Dico che prima Silvio Berlusconi e poi Giorgia Meloni con il leale sostegno di Matteo Salvini hanno alla fine sdoganato una visione politica che cinquant’anni fa non era immaginabile potesse governare l’Italia, non certo in maniera stabile e autorevole sul piano internazionale come è avvenuto e sta avvenendo.
Nel 1974 a girare per strada esibendo sottobraccio questo Giornale si rischiavano le botte. Oggi i suoi lettori sono quelli che eleggono primi ministri, che orientano le scelte dei governi, che rivendicano con speranza nuove libertà. In altre parole oggi voi lettori siete diventati il «coro» del Paese”.


domenica 26 Maggio 2024

Il Washington Post in un guaio

Le difficoltà del Washington Post di cui si scrive da mesi sono state infine esplicitate con allarme anche all’interno del Washington Post stesso. Il nuovo amministratore delegato Will Lewis ha comunicato un po’ di risultati e di progetti. Il giornale ha perso 77 milioni di dollari nel 2023, e metà dei lettori dal 2020: «Siamo in un guaio, e ci siamo da un pezzo». Lewis ha insistito sulla necessità che il giornale stia attento ai ricavi, e ha annunciato investimenti sulle “intelligenze artificiali” e su diversificazioni degli abbonamenti: con modelli di “membership” anche più costose che offrano servizi più ricchi.

Nel frattempo c’era stata una polemica intorno al giornale, che era stato accusato di voler occultare le notizie sulle nuove contestazioni nei confronti di Lewis nel Regno Unito, che riguardano lo scandalo dei tabloid di dieci anni fa quando lui era general manager della società che pubblicava il settimanale News of the World. Il Washington Post ha sbrigativamente negato le accuse.


domenica 26 Maggio 2024

When in Rome

Il Post ha raccontato le traversie dell’edizione italiana della prestigiosa testata di spettacolo americana The Hollywood Reporter, che un anno dopo la sua creazione ha perso la direttrice, è in ritardo su diversi pagamenti e non ha ancora la frequenza cartacea promessa.


domenica 26 Maggio 2024

Dalla parte del manico

Nella vivace contesa – e ricca di episodi e sviluppi – tra Google e i giornali di mezzo mondo, la notizia di questa settimana è che Google ha minacciato di sospendere i propri investimenti nei progetti giornalistici innovativi (quelli che si chiamano Google News Initiative, e che sovvenzionano molte testate attraverso progetti più o meno strumentali a sovvenzionarle) negli Stati Uniti, se la California dovesse approvare una legge più coercitiva verso Google e le sue trattative per i compensi alle aziende giornalistiche.


domenica 26 Maggio 2024

Charlie, contagi

Gli esempi più utili e immediati per capire certi meccanismi che contagiano il corretto e completo racconto dei fatti da parte dei giornali si possono trovare in alcune pagine che siamo abituati a considerare più esentate dalle regole e dai rigori che tradizionalmente si attribuiscono al giornalismo. Abbiamo scritto spesso su Charlie di come le pagine della moda, per esempio, seguano delle regole e dei criteri propri – abbastanza trasparenti anche per i lettori – che dipendono più da promozioni di prodotti e da logiche di relazioni con gli inserzionisti pubblicitari che da un servizio di informazione giornalistica.
Ma se cerchiamo invece i casi più accettati di condiscendenza con le aspettative dei lettori – un’altra delle tre maggiori dipendenze delle aziende giornalistiche in difficoltà economiche – le possiamo trovare nelle pagine sportive: dove è evidente e accettata una simpatia per le squadre di calcio più vicine ai sentimenti dei lettori della città in cui ciascun giornale è più radicato. E in entrambi questi casi le “dipendenze” tollerate nei confronti di inserzionisti e di lettori finiscono per contagiare spesso anche altre pagine, che con la moda e con lo sport non c’entrano, fino a quelle dell’attualità più importante e che richiederebbero maggiore protezione.
Le pagine sportive, poi, nei giornali italiani sono diventate in alcuni casi anche esemplari della terza dipendenza, quella nei confronti degli editori, nei casi in cui questi siano anche proprietari di squadre di calcio (accade per tre su quattro dei maggiori quotidiani per diffusione): si vedano i modi diversi in cui è stata trattata la stessa partita di domenica scorsa dal giornale del proprietario della squadra coinvolta e dal giornale del proprietario di una squadra diversa. E anche quello delle premure verso gli editori è un modello che vediamo poi estendersi anche su altre pagine: rivelando come certe eccezioni “innocue” al buon giornalismo creino regole che poi diventano meno innocue.

Fine di questo prologo.


domenica 19 Maggio 2024

Tutti gli altri ne han trentuno

La settimana scorsa abbiamo scritto una sciocchezza, a proposito dei dati di diffusione dei quotidiani: ovviamente la durata diversa dei mesi non è una variabile nei dati che citiamo ogni mese, che sono riferiti a una media quotidiana. Scusate.


domenica 19 Maggio 2024

Como da sola

Nell’approfondimento della scorsa settimana sui dati di vendita complessiva di carta e digitale dei quotidiani c’era un dato notevole: secondo i dati ADS (Accertamenti Diffusione Stampa, la società che certifica e divulga i dati sulla diffusione) a marzo 2024 la Provincia di Como aveva venduto il 31% di copie in meno rispetto all’anno precedente, passando da 15mila a 10mila circa. La Provincia di Como nacque nel 1892 ed è tra i giornali più antichi d’Italia: è edita dalla Provincia Editoriale Spa di proprietà del gruppo editoriale Sesaab (acronimo per Società Editrice Santi Alessandro, Ambrogio e Bassiano) che è controllato dalla diocesi di Bergamo. Sesaab possiede, fra le altre cose, l’ Eco di Bergamo, la tv locale Bergamo TV, e l’emittente radiofonica di Bergamo Radio Alta. La Provincia di Como è il principale quotidiano locale di Como (negli anni a Como sono nati alcuni siti di news locali, e nel 2021 chiuse il Corriere di Como) e ha anche due edizioni che escono a Lecco e Sondrio.

Lo scorso dicembre è stata fondata la società Enova che ha tra gli azionisti Sesaab al 40%, Teleunica al 30% (proprietaria della rete Unica TV, che trasmette principalmente a Monza, Lecco e Sondrio) e altri soci che con quote più piccole raggiungono il restante 30%. La nuova società è diventata editrice, oltre che di Unica TV, anche della Provincia di Lecco e della Provincia di Sondrio.

Diego Minonzio, direttore di tutte le tre edizioni della Provincia, ha detto a Charlie: «il primo dicembre del 2023 abbiamo deciso di scorporare due edizioni, cioè Lecco e Sondrio lasciando Como da sola, e le abbiamo fuse con Unica TV sotto un unico editore, Enova. In questa nuova società Sesaab mantiene la possibilità di decidere l’amministratore delegato e il direttore, tant’è vero che io sono direttore, oltre della Provincia di Como, anche di Lecco, Sondrio e di Unica TV, e lo stesso vale per l’amministratore delegato. I dati di vendita del 2024 non sono confrontabili con quelli del 2023 perché quest’anno sono registrati i dati della sola edizione di Como, mentre fino al novembre 2023 ci sono anche i dati di Lecco e Sondrio: queste due edizioni insieme, considerando carta e digitale, hanno una diffusione di circa 5 mila copie. Siamo sempre in decrescita naturalmente, ma molto meno rilevante. L’obiettivo per il giornale è la crescita degli abbonamenti digitali: in questo momento stiamo sfiorando i 5 mila abbonamenti digitali, considerando le tre edizioni. Per i prossimi anni la nostra strategia online è portare tanta gente sul sito, farla registrare e poi convincerla, speriamo, a fare l’abbonamento al giornale che in futuro non sarà più un mero pdf, una riproduzione digitale del giornale di carta, ma sarà un’evoluzione tipo un’app dove potrai trovare gli approfondimenti, gli aggiornamenti in tempo reale, articoli di valore. Prima del Covid avevamo circa mille abbonamenti digitali, la maggior parte della crescita è avvenuta negli ultimi quattro anni e gli abbonamenti digitali sono oggi oltre il 30% del totale delle copie vendute. Stiamo facendo grandi sforzi per convincere la gente a trasferirsi dal cartaceo al digitale, che è l’unica salvezza che possono avere i giornali nei prossimi dieci anni, perché sennò sei morto. Speriamo che sia la strategia giusta».


domenica 19 Maggio 2024

Otto mesi

Un giornalista del Giornale, Pasquale Napolitano, è stato condannato per il reato di diffamazione a otto mesi di carcere (pena sospesa): la condanna si riferisce a un articolo pubblicato nel 2020 su un sito campano. Ne ha scritto il Fatto, riprendendo una protesta per la condanna pubblicata sulla prima pagina del Giornale.

“Pasquale Napolitano, cronista del quotidiano Il Giornale, è stato condannato a otto mesi di carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Come riporta il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, il giornalista è finito a processo per un articolo sull’Ordine degli avvocati di Nola pubblicato per il sito Anteprima24 ad aprile 2020. Quattro anni più tardi, il giudice monocratico del tribunale di Nola (quindi un altro avvocato) lo ha condannato al carcere e a una multa da 6.500 euro. Pena sospesa per le attenuanti generiche, quindi Napolitano non andrà in prigione. Al di là del merito della vicenda, però, la sentenza riapre il dibattito sul carcere per i giornalisti in Italia, ad oggi previsto dall’articolo 595 del codice penale
[…] Pasquale Napolitano, cronista nolano 42enne, ad aprile 2020 scrive un articolo per Anteprima24, sul Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola, raccontando la vicenda del presidente rimasto fino a quel momento in carica nonostante il mancato appoggio della maggioranza dei consiglieri. Una curiosità. Un articolo di appena 12 righe. Nei giorni successivi, ricostruisce Il Giornale, Napolitano pubblica anche la lettera di alcuni consiglieri e un’altra lettera firmata dal presidente, garantendo il diritto di replica. Viene comunque querelato dal presidente stesso e da tre consiglieri. Lo scorso 7 maggio è arrivata la condanna da parte del giudice onorario del tribunale di Nola, quindi un avvocato momentaneamente sospeso dalla sua professione per svolgere il ruolo di giudice monocratico 
“.


domenica 19 Maggio 2024

Vacche grasse

Il quotidiano La Verità ha ultimamente molto migliorato la sua capacità di raccolta pubblicitaria, e soprattutto la disponibilità dei maggiori inserzionisti a finanziarlo, malgrado i toni quotidianamente aggressivi e partigiani del giornale su temi delicati come l’ambiente, i diritti civili, i vaccini. Nel numero di martedì, per esempio, su 24 pagine ben 5 erano occupate dalle pubblicità di grandi aziende di stato o banche che più abitualmente investono sui grandi quotidiani: ENI, Enel, Intesa Sanpaolo, Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie dello Stato. Lo stesso giorno la Stampa non ospitava nessuno degli inserzionisti suddetti e solo una pagina pubblicitaria intera su 30. Repubblica cinque su 40 (solo ENI, a mezza pagina, tra quelle citate). Il Fatto nessuna su 20.


domenica 19 Maggio 2024

I risultati si vedono

Secondo un articolo sul sito Prima Comunicazione l’abolizione dell’obbligo per le amministrazioni pubbliche di acquistare “pubblicità legale” sui giornali avrebbe generato un calo del 40,5% dei ricavi dovuti a questo genere di inserzioni (che significa anche che quei soldi sono stati risparmiati dalle amministrazioni pubbliche).


domenica 19 Maggio 2024

Se non ti abboni potremmo morire tutti

I toni delle comunicazioni che i siti di news trasmettono ai propri lettori per convincerli ad abbonarsi sono oggetto di grandi studi, analisi ed esperimenti all’interno dei team dedicati a queste attività: alcuni scelgono di fare leva su motivazioni morali (“il giornalismo libero ha bisogno di te”), altri su interessi degli utenti e servizi offerti, altri su sensi di colpa (“hai già letto gratis 25 articoli”), eccetera.
Il sito di news americano The Intercept si è fatto notare ultimamente per degli inviti particolarmente drammatizzanti rispetto alle proprie necessità di sostegno da parte dei lettori, che hanno irritato una parte dei lettori stessi, ma che secondo The Intercept hanno generato degli ottimi risultati.


domenica 19 Maggio 2024

In un clima di sfiducia

L’agenzia di stampa AGI è stata molto citata nelle scorse settimane non per il suo lavoro ma per l’intenzione della famiglia Angelucci di comprarla dall’attuale proprietaria, l’azienda di energia e combustibili fossili ENI. Il progetto è stato molto contestato perché Antonio Angelucci è un deputato della Lega, attualmente parte della maggioranza di governo, e possiede già i quotidiani GiornaleLibero Tempo: i critici – tra i quali gran parte della redazione – sostengono che si stia costruendo un pericoloso conflitto tra l’indipendenza dell’agenzia e gli interessi del suo potenziale editore, conflitto che sarebbe già esistente per via della relazione di intensa collaborazione tra la direttrice di AGI Rita Lofano e l’ex direttore Mario Sechi, ora direttore di Libero e già portavoce della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Lunedì la redazione di AGI ha votato la sfiducia alla direttrice. Scelta che, come abbiamo ripetuto di recente (nelle ultime settimane sono stati sfiduciati sia il direttore di Repubblica che quello di Tuttosport che quello del Centro di Pescara), non prevede conseguenze se non un peggioramento ulteriore nelle relazioni tra redazioni e direzioni.


domenica 19 Maggio 2024

È giornalismo

L’azienda Aneri ha comprato una pagina sul Corriere della Sera, venerdì, occupandola solo col proprio nome e logo. Aneri è un’azienda vinicola con antichi e intensi legami con alcune testate giornalistiche che si concretizzano in frequenti investimenti pubblicitari ed estese coperture delle proprie attività, oltre che in un premio giornalistico finanziato dall’azienda stessa.

Nell’ambito delle sovrapposizioni di interessi questa settimana si è notata anche la severità senza uguali dell’attacco contro l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri pubblicato venerdì sulla prima pagina di Repubblica. Allegri è stato licenziato dopo i suoi violenti attacchi contro la società sportiva, che è posseduta dallo stesso gruppo che pubblica Repubblica.


domenica 19 Maggio 2024

Una storia disperante

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato una lunga ricostruzione di come il giornale abbia seguito nei decenni gli sviluppi della “questione israelo-palestinese” e le sue implicazioni uniche negli atteggiamenti dei media e dei lettori.

“Un double procès, intenté simultanément par deux parties en apparence irréconciliables, même si les défenseurs d’Israël se montrent, et de très loin, les plus virulents et les plus opiniâtres. Tout ce qui est publié à propos de ce conflit dans ces colonnes est implacablement scruté, décortiqué et analysé”.


domenica 19 Maggio 2024

Eco-eco-eco

Venerdì c’è stato sulla stampa italiana un altro caso di “eco” con i giornali internazionali: la pratica che avevamo raccontato le scorse settimane per cui viene enfatizzato un modo di raccontare le cose italiane sulla stampa estera, come se questo avesse una particolare autorevolezza, ma spesso si tratta di riprese di quello che hanno scritto i giornali italiani. Venerdì è stata Repubblica a voler riferire che il quotidiano londinese Times avrebbe sostenuto, in un titolo, una relazione tra le cose sostenute da Giorgia Meloni e Benito Mussolini. Solo che Repubblica ha trascurato le virgolette che il Times aveva usato nel titolo, e ha riferito in modi piuttosto ambigui che l’articolo si riferiva a quello che aveva detto la senatrice Segre e che non c’era nessuna opinione del Times in questo senso. Lo stesso autore dell’articolo sul Times ha voluto precisare quest’ultima cosa.


domenica 19 Maggio 2024

Il caso News of the World non è mai finito

Nick Davies è un importante giornalista inglese di 71 anni, che ha spesso attaccato le peggiori pratiche del giornalismo britannico e non solo, ed è famoso soprattutto per essere stato il protagonista del disvelamento – sul quotidiano londinese Guardian – delle pratiche criminali di sorveglianza e spionaggio adottate per anni da alcuni tabloid appartenenti al gruppo del potente e famigerato editore Rupert Murdoch. Da cui nacquero lo scandalo e le inchieste che portarono ad alcune condanne e alla chiusura del tabloid News of the World.

Sull’ultimo numero di Prospect – mensile britannico di orientamento progressista che sta per compiere trent’anni e che da tre è diretto dall’ex direttore del Guardian Alan Rusbridger – Davies ha pubblicato un aggiornamento di quel caso, che continua ad avere strascichi (News Corp, l’azienda editrice, ha risarcito migliaia di persone per evitare processi, e molte cause sono tuttora aperte), anche se sembra improbabile che la politica si impegni su ulteriori interventi e regolamentazioni, per timore della reazione dei media.
Nell’articolo (parte di una serie) Davies spiega che alcuni querelanti – soprattutto politici e funzionari politici – hanno ottenuto accesso a una gran mole di documenti dell’inchiesta (mentre tantissimi altri file erano stati illecitamente distrutti da News Corp) e in particolare tabulati telefonici. Questi ultimi rivelano grandi quantità di chiamate molto brevi provenienti dai centralini delle redazioni verso i telefoni dei querelanti, che secondo le loro accuse dimostrerebbero tentativi di introdursi nelle registrazioni delle segreterie telefoniche (ovvero una delle pratiche più usate nelle violazioni della privacy praticate in quegli anni) per ottenere informazioni con cui tenere sotto ricatto le persone in questione.
Qui Rusbridger e Davies discutono tra loro la storia.


domenica 19 Maggio 2024

Google si mangia tutto

Google ha cominciato a introdurre nelle sue pagine di ricerca, per gli utenti statunitensi, dei testi creati utilizzando le “intelligenze artificiali” per sintetizzare delle risposte originali estratte da quelle disponibili sul web: avevamo parlato del progetto a dicembre, e adesso le preoccupazioni degli editori online sul traffico che questa scelta può togliere loro – e sull’ulteriore potere di Google – si stanno concretizzando. Ne ha scritto tra gli altri il Washington Post , che il mese scorso aveva anche contestato la correttezza dei risultati: ma anche Wall Street JournalCNN, e Guardian.


domenica 19 Maggio 2024

Come fanno nel Regno Unito

Sempre a proposito delle censure imposte per legge alla stampa britannica rispetto alle inchieste e ai processi, una giudice ha stabilito questa settimana che un dirigente di una squadra di calcio di Premier League accusato di stupro non venga nominato nella documentazione giudiziaria e che il suo nome non sia pubblicato sui giornali, in rispetto della presunzione di innocenza.


domenica 19 Maggio 2024

Bavagli internazionali

C’è una storia angloamericana che giornalisticamente ha dentro molte questioni interessanti, anche viste da qui. Nel Regno Unito sta per iniziare un nuovo processo per uno degli omicidi per cui è stata accusata Lucy Letby: la storia è terribile e ha avuto grandi attenzioni da parte del pubblico e dei media britannici. Letby, un’ex infermiera, è stata condannata l’anno scorso all’ergastolo per l’omicidio di sette neonati nel reparto d’ospedale dove lavorava, e per il tentato omicidio di altri sei, tra il 2015 e il 2016.

In più di un’occasione i tribunali hanno vietato ai giornali di riferire informazioni sulle vittime e sullo stesso processo: nel Regno Unito è previsto dalla legge che i giudici applichino divieti di questo genere per ragioni diverse, dalla tutela della privacy, alla presunzione di innocenza, al corretto svolgimento dei processi. Le limitazioni al diritto di cronaca sono ritenute norme di civiltà e implicano sanzioni molto pesanti (compreso il carcere per i giornalisti), ragione per cui vengono abitualmente rispettate: spesso i giornali le contestano, e presentano dei ricorsi, giudicati secondo legge.

Adesso, alla vigilia del nuovo processo, nuove limitazioni sono state imposte ai giornali britannici, per garantirne il corretto svolgimento senza che questo sia influenzato dall’eccitazione mediatica intorno al caso. Ma la scorsa settimana un lungo articolo sulla vicenda e sulle accuse è stato pubblicato dal settimanale statunitense New Yorker: l’autrice ha raccontato di come abbia studiato il caso approfonditamente consultando migliaia di pagine di documentazione processuale, e colpita da come – dice – la condanna si basi solo sull’assenza di altre spiegazioni e sulla probabilità statistica che la responsabile sia Letby (che si è sempre detta non colpevole). In più, l’articolo del New Yorker affronta il modo in cui i media e gran parte del Regno Unito hanno condiviso un atteggiamento colpevolista e assai lontano dal rispetto della presunzione di innocenza che ha molto condizionato il processo.

Ma per rispettare il divieto di riferire sul processo imposto ai giornali britannici – divieto che si estende alle pubblicazioni online – e per non incorrere nelle condanne conseguenti, il New Yorker ha inibito la lettura dell’articolo sul suo sito per chi accede dal Regno Unito. Operazione che però non è possibile sull’edizione cartacea del settimanale, stampata e venduta in un’unica versione in tutto il mondo: quindi a Londra e nelle altre città del paese il New Yorker è acquistabile regolarmente con l’articolo in questione (e può anche essere letto sull’app del giornale).

La contraddizione ha generato una riapertura del dibattito sulla convivenza delle norme che proteggono il corretto svolgimento dei processi e quelle che difendono il principio della pubblicità dei processi, a tutela di tutti. Sul sito Press Gazette si sono fatte ipotesi sulle conseguenze legali del caso per il New Yorker, che non è probabilmente perseguibile perché non ha una sede nel Regno Unito, mentre ce l’ha il suo editore Condé Nast. Mentre su Nieman Lab l’autrice dell’articolo ha spiegato il suo lavoro e le sue motivazioni.