Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 16 Giugno 2024
Il Post ha raccontato una ricerca pubblicata sulla testata scientifica Science che spiega come la disinformazione più pericolosa è quella che viene originata dalle testate più autorevoli.
“Sebbene negli studi che se ne occupano la disinformazione sia spesso associata alle notizie false, hanno concluso gli autori e le autrici della recente ricerca pubblicata su Science, le forme più persuasive di disinformazione provengono probabilmente da affermazioni fuorvianti pubblicate da fonti tradizionali, più o meno autorevoli, e poi divulgate attraverso canali che ne orientano l’interpretazione”.
domenica 16 Giugno 2024
Le minacce nei confronti di giornali e giornalisti possono essere di assai diverso genere, di assai diverse conseguenze, di assai diversa legittimità, di assai diversa pericolosità. Ci sono semplici critiche sui social network, oppure quotidiane e bulle lettere di avvocati che annunciano “vie legali” ma si ridimensionano immediatamente: e all’estremo opposto ci sono organizzazioni criminali che perseguitano giornalisti o costose cause legali che paralizzano il loro lavoro. In mezzo c’è un po’ di tutto, e ci possono essere comprensibili ragioni in certe querele e intimidazioni vergognose in altre.
A prescindere da questo, ultimamente i giornali sembrano aver scelto di raccontare e condividere sempre più spesso queste minacce con i propri lettori, usandole come strumento di raccolta di consenso e sostegno da parte di questi ultimi (anche di sostegno economico esplicito, come la campagna di Repubblica di cui dicemmo una settimana fa), e trasformando i propri avversari in testimonial al contrario.
Questa settimana nel giro di soli quattro giorni il Fatto ha raccontato la querela da parte del comune di Milano nei confronti di un suo giornalista (per cose non scritte sul Fatto), Repubblica è intervenuta con due comunicati in difesa di una sua giornalista insultata in una conversazione telefonica da un consigliere regionale di Fratelli d’Italia, il giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella ha condiviso coi lettori la risposta con cui ha irriso un avvocato sbadato nelle sue severità, il Foglio ha annunciato in apertura un’azione legale del ministro Urso contro il giornale.
domenica 16 Giugno 2024
A Liverpool una vecchia storia tragica alimenta da 35 anni un boicottaggio nei confronti del tabloid Sun, ovvero la testata quotidiana forse più diffusa nel Regno Unito. La storia è quella della strage dello stadio Hillsborough a Sheffield, in cui 96 persone morirono schiacciate durante una partita tra Liverpool e Nottingham Forest.
“L’incidente è rimasto nella memoria e nell’immaginario di moltissimi tifosi inglesi e ha generato anche una storia laterale: il boicottaggio del tabloid Sun da parte dei tifosi del Liverpool, che dura da allora, a causa di alcuni articoli pubblicati nei giorni successivi all’incidente in cui veniva data la colpa della strage ai tifosi. Nel 2012, a più di vent’anni dall’incidente, una commissione governativa indipendente chiarì le cause dell’incidente e raccontò le molte responsabilità della polizia e dei soccorsi”.
Il giornale chiese scusa vent’anni dopo, ma il boicottaggio e il risentimento a Liverpool durano ancora (il Sun viene chiamato dai suoi detrattori “the scum”, la feccia): tanto che questa settimana una deputata laburista del collegio di Liverpool, ricandidata alle prossime elezioni, ha criticato il leader del suo partito Keir Starmer per avere acquistato uno spazio pubblicitario per una pubblicità elettorale sul sito del Sun (con un investimento di “decine di migliaia di sterline”, secondo il Guardian ). Johnson ha ricordato che Starmer aveva promesso ai suoi elettori di Liverpool che non avrebbe “dato interviste al Sun” durante la campagna per la leadership del Labour: ma già nel 2021 aveva scritto un articolo sul giornale (di proprietà della famiglia Murdoch, che ha appoggiato i Tories a tutte le ultime elezioni), e se ne era poi fatto intervistare più serenamente, sostenendo di recente che la priorità anche per i cittadini di Liverpool sia ottenere più consensi possibile per il suo partito.
domenica 16 Giugno 2024
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani nel mese di aprile 2024. Come ogni mese, selezioniamo e aggreghiamo tra le varie voci il dato più significativo e più paragonabile rispetto alla generica “diffusione” totale: quindi escludendo i dati sulle copie distribuite gratuitamente, su quelle vendute a un prezzo scontato oltre il 70% e su quelle acquistate da “terzi” (aziende, istituzioni, alberghi, eccetera). Il dato è così meno “dopato” e più indicativo della scelta attiva dei singoli lettori di acquistare e di pagare il giornale, cartaceo o digitale (anche se questi dati possono comunque comprendere le copie acquistate insieme ai quotidiani locali con cui alcune testate nazionali fanno accordi, e che ADS non indica come distinte). Più sotto citiamo poi i dati della diffusione totale, quella in cui invece entra tutto. Tra parentesi la differenza rispetto a un anno fa.
Corriere della Sera 166.228 (-6%)
Repubblica 88.664 (-12%)
Stampa 62.785 (-15%)
Sole 24 Ore 53.091 (-9%)
Resto del Carlino 50.388 (-11%)
Messaggero 44.759 (-9%)
Nazione 32.980 (-13%)
Gazzettino 32.877 (-7%)
Dolomiten 26.960 (-7%)
Fatto 26.517 (-35%)
Giornale 26.391 (-5%)
Messaggero Veneto 23.726 (-12%)
Unione Sarda 22.224 (-5%)
Eco di Bergamo 21.231 (-9%)
Verità 21.201 (-17%)
Secolo XIX 19.902 (-14%)
Altri giornali nazionali:
Libero 17.960 (-17%)
Avvenire 14.668 (-6%)
Manifesto 13.283 (+15%)
ItaliaOggi 5.445 (-35%)
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS).
Tutte le testate hanno come di consueto perso copie rispetto al mese precedente (salvo il notevole caso del Manifesto, che è in controtendenza da diversi mesi) .
La grossa perdita annuale del Fatto si deve ancora – e sarà così per diversi mesi – a un aumento del prezzo del quotidiano in edicola quattro mesi prima che ha automaticamente determinato un aumento del numero di abbonamenti digitali con uno sconto “maggiore del 70%” (oltre 24mila), classificati quindi al di fuori di questi numeri (ADS divide in tre categorie gli abbonamenti digitali: quelli di fatto gratuiti, venduti a meno del 10% del prezzo del giornale; quelli “scontatissimi”, tra il 10% e il 30%; quelli ritenuti più sostanzialmente “venduti”, a un prezzo superiore al 30%). È utile ricordare che le offerte scontate sono una strategia che mira appunto a coinvolgere più abbonati per cercare poi di trattenerli quando le offerte scadono e i prezzi degli abbonamenti aumentano.
Continuano a perdere molto più di tutti la Verità e Libero, ma anche i quotidiani dei gruppi GEDI e Riffeser (Repubblica e Stampa; Resto del Carlino e Nazione) mantengono cali annuali superiori al 10%.
Se guardiamo i soli abbonamenti alle edizioni digitali – che dovrebbero essere “la direzione del futuro”, non essendolo ancora del presente – l’ordine delle testate è questo (sono qui esclusi gli abbonamenti venduti a meno del 30% del prezzo ufficiale, che per molte testate raggiungono numeri equivalenti o persino maggiori: il Corriere ne dichiara più di 37mila, il Sole 24 Ore più di 33mila, il Fatto più di 24mila, come detto sopra, Repubblica più di 15mila). Tra parentesi gli abbonamenti guadagnati o persi questo mese.
Corriere della Sera 46.849 (-32)
Sole 24 Ore 22.637 (-203)
Repubblica 21.682 (-294)
Stampa 6.917 (-251)
Manifesto 6.813 (+128)
Fatto 6.382 (+46)
Gazzettino 6.162 (-130)
Tornando alle vendite individuali complessive – carta e digitale – tra gli altri quotidiani locali le perdite maggiori rispetto a un anno fa sono ancora soprattutto del Tirreno (-18%); e poi di nuovo del Giornale di Vicenza (-17%) e dell’ Arena (-17%), entrambi del gruppo Athesis. Ha perso ancora il 32% la Provincia di Como, ne scrivemmo.
Quanto invece al risultato totale della “diffusione”, ricordiamo che è un dato (fornito anche questo dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
– copie pagate, o scontate, o gratuite;
– copie in abbonamento, o in vendita singola;
– copie cartacee, o digitali;
– copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di questi numeri di diversa natura dà delle cifre complessive di valore un po’ grossolano, mostrate nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui.
( Avvenire, Manifesto, Libero, Dolomiten e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti, i quali costituiscono naturalmente un vantaggio rispetto alle altre testate concorrenti)
domenica 16 Giugno 2024
Le agitazioni al Washington Post hanno continuato a far discutere gli addetti ai lavori americani, ma non ci sono stati nuovi sviluppi, questa settimana (salvo un’ipotesi circolata su un ritorno a investire nell’informazione locale): vale la pena però segnalare sempre l’autonomia con cui lo stesso Washington Post riferisce le notizie che lo riguardano, come se si trattasse di qualunque altro giornale. Qui c’è un articolo di gran completezza che non trascura niente, e che persino cerca di capire e chiedere che intenzioni abbia l’editore.
Intanto sulla rivista britannica Prospect il direttore Alan Rusbridger (già direttore del quotidiano Guardian) si è chiesto come si comporterà il Washington Post in caso di rielezione a presidente di Donald Trump, dopo essere stata – su impulso del suo proprietario Jeff Bezos – la grande testata più vivacemente di opposizione durante la sua precedente amministrazione.
(il Post aveva fatto un riassunto di tutta la storia, lunedì)
domenica 16 Giugno 2024
C’è stato un investimento pubblicitario eccezionale – ma con un precedente – da parte di Poste Italiane sui quotidiani cartacei venerdì, giorno di inizio degli Europei di calcio. L’inserzionista ha infatti nuovamente comprato una sorta di pre-prima pagina, costituita da più pagine pubblicitarie che avvolgevano le copie del giornale, su almeno una decina di quotidiani maggiori. Interessante è stato vedere due cose differenti nei diversi casi: quanto spazio della propria prima pagina e della propria testata ciascun giornale ha accettato di cedere all’inserzionista; e la reattività nel gestire l’anomala condizione nelle loro edizioni digitali, dove applicare lo stesso posizionamento di quelle pagine non è stato facile e immediato per tutti.
domenica 16 Giugno 2024
Il Wall Street Journal, uno dei più importanti quotidiani del mondo e uno dei quattro quotidiani “nazionali” statunitensi (insieme a New York Times, Washington Post, USA Today) ha fatto un grande investimento economico in una nuova campagna pubblicitaria per attirare lettori nuovi e spiegare, soprattutto a quelli più giovani, che il giornale non è solo l’immagine di testata finanziaria più familiare all’esterno. L’età media dei 4,2 milioni di abbonati (3,7 milioni alle edizioni digitali), ha spiegato il responsabile del “brand marketing”, è di 59 anni: «Il nostro nome, Wall Street Journal, è una delle nostre maggiori forze ma anche una delle nostre maggiori debolezze. C’è un genere di pubblico che lo sente e dice “A me Wall Street non interessa: perché dovrei leggervi?”». L’idea è di far capire che i temi dei successi professionali e della realizzazione delle ambizioni personali riguardano tutti, e non solo chi lavora nei settori finanziari. “Sono affari tuoi” dice la campagna, citando una serie di esempi e argomenti dell’attualità, e posizionando i messaggi in contesti in sintonia con quegli argomenti.
domenica 16 Giugno 2024
Nei dati di diffusione dei giornali quotidiani relativi al mese di aprile di cui diciamo qui sotto ci sono solo due testate che mostrano delle crescite: una è il Fatto, per cui fanno la differenza gli abbonamenti digitali a prezzo molto scontato rispetto al prezzo “di copertina”. Mentre più vistoso e fondato è l’aumento che riguarda il Manifesto, che senza fare sconti cresce del 15% rispetto all’anno scorso. Ci sono alcune premesse da fare rispetto a questo risultato: è sì il massimo positivo di una crescita iniziata da sei mesi, ma arriva dopo un più lungo periodo di perdite paragonabili a quelle degli altri quotidiani (i numeri sono tornati ora gli stessi di giugno 2021); il Manifesto beneficia di tre tre milioni annuali di contributi pubblici, che costituiscono un vantaggio rispetto alla maggioranza delle altre testate (e che sfrutta cercando di mantenere una distribuzione, costosa, su gran parte del territorio nazionale); parliamo di un quotidiano piccolo, tra quelli nazionali, con risorse più limitate e costi minori.
Ma guardare ai piccoli è spesso più promettente, di questi tempi: e detto tutto questo, sono da notare e apprezzare i risultati del Manifesto generati da una rinnovata e vivace campagna di abbonamenti e da una scelta di approcci all’attualità più “aperti”, secondo le parole del direttore Andrea Fabozzi, unita a una posizione sull’invasione israeliana di Gaza che ha estese condivisioni nel paese e non è stata sostenuta con altrettanta forza da altri quotidiani.
A prescindere dal merito, queste due cose sembrano dimostrare che – pur parlando di numeri piccoli nel quadro delle testate quotidiane – sia una saggia scelta quella di offrire qualcosa che venga percepito come diverso, e lo sia anche saper comunicare questa diversità. Impressione rafforzata in questi mesi anche dal declino delle testate di destra vicine al governo, incapaci di differenziarsi a sufficienza l’una dall’altra e di conservare il loro messaggio – credibile o no che fosse – di “fuori dal coro“.
Naturalmente nessun approccio o strategia che funzioni in termini di vendite può essere ammirato a prescindere dalla qualità del giornalismo che diffonde: su questo ognuno è giudice, coi suoi criteri, di quale sia la qualità del giornalismo del Manifesto o quella della Verità o di Libero. Ma così come durante la pandemia è stato interessante vedere cosa stava succedendo agli ultimi due, questi sono tempi in cui è interessante vedere cosa sta succedendo al Manifesto.
Fine di questo prologo.
domenica 9 Giugno 2024
Nella sua programmazione di eventi pubblici il Post quest’anno salda la riuscita novità dell’anno scorso dell’organizzazione di un concerto – legata alla newsletter Le Canzoni – alla costruzione di occasioni di informazione, divulgazione e “live journalism”: nel weekend del 12 e del 13 luglio, a Peccioli in Toscana, ai due concerti in programma è stata aggiunta una serie di incontri legati alla musica e non solo, con la presenza di ospiti e di giornalisti del Post.
domenica 9 Giugno 2024
È stato senza dubbio un successo giornalistico di Repubblica – questa settimana – la pubblicazione delle chat del portavoce del ministro Lollobrigida, Paolo Signorelli, dai contenuti antisemiti e fascisti. Che ha avuto un impatto forte presso una quota di lettori ed elettori, è stata ripresa da tutte le altre testate, ha costretto alla prudente “autosospensione” Signorelli stesso, e ha smentito l’impegno dei giornali vicini al governo che al tempo della nomina di Signorelli avevano definito pretestuose le critiche che la nomina aveva ricevuto (Signorelli è nipote di uno storico esponente neofascista).
Resta, alla riflessione, che molto spesso gli “scoop” maggiori in Italia – è anche questo il caso – sono il risultato non di articolati e autonomi lavori investigativi ma di accesso a documentazioni giudiziarie che fanno parte di inchieste della magistratura in corso.
domenica 9 Giugno 2024
Traffic, il libro di Ben Smith pubblicato dal Post con “Altrecose”, racconta a un certo punto la concitata pubblicazione da parte di Buzzfeed News – di cui Smith era al tempo direttore – del “dossier” sulle presunte e poi smentite collusioni russe di Donald Trump, e le questioni etiche relative: con una quota di autocritica non tanto sulla scelta in sé ma sul non aver preso in considerazione la lettura che ne sarebbe stata fatta. Non solo le destre, spiega Smith, vogliono credere ai complotti dei loro nemici.
“Osservavo con crescente disagio come il Dossier portasse molti Democratici istruiti, che aborrivano le assurde teorie cospirative propalate dai sostenitori di Trump, a comportarsi come loro. Se i fanatici trumpiani farneticavano di presunti omicidi commessi dall’ex presidente Clinton e sua moglie ai danni di oppositori politici (il cosiddetto «Clinton body count») o del complotto del «Pizzagate», un presunto giro di prostituzione minorile in alcune pizzerie e altri locali di Washington, ora i Democratici leggevano il dossier di Steele e univano i puntini. Ritwittavano thread sulla misteriosa sosta in North Carolina dell’aereo di un oligarca russo, prima a loro sconosciuto e ora diventato un personaggio inquietante. La loro figura di riferimento era Louise Mensch, un’ex esponente politica britannica di grande carisma sbarcata a New York su invito di Rupert Murdoch per dare vita a Heat Street, che nelle intenzioni doveva rappresentare una risposta della destra istituzionale allo Huffington Post. Ma ormai era troppo tardi, sia per la storia di internet sia per quella del conservatorismo americano: il suo stile algido e raffinato non poteva competere con breitbart.com e Benny Johnson nell’adesione al nuovo ordine dell’ottuso populismo di destra. Mensch, al contrario, riponeva una fiducia di stampo prettamente britannico in una qualche sorta di «deep state» in grado di rimettere a posto le cose – smascherare Donald Trump, far fuori Steve Bannon – con ogni mezzo necessario”.
domenica 9 Giugno 2024
Il Post ha raccontato come si fa e come si tiene in piedi una rivista musicale in Italia nel 2024.
“Una delle più difficili da progettare è la copertina estiva perché, sottolinea Lo Mele, «rimane in edicola per due mesi, un periodo più lungo rispetto alle altre». Per questo motivo, il numero estivo ha bisogno di essere «sorretto da una copertina efficace e abbinata a una storia interessante», ma «al tempo stesso bisogna ridurre i rischi al minimo». Per esempio, dice Lo Mele, «l’anno scorso abbiamo pubblicato una copertina estiva rischiosa, focalizzata su due musicisti italiani molto interessanti, Lucio Corsi e Venerus. Ho insistito tantissimo per farla, anche perché queste cose da noi normalmente vengono premiate, e invece il numero andò abbastanza male»”.
domenica 9 Giugno 2024
Venerdì Repubblica ha inaugurato sulle proprie pagine una campagna pubblicitaria decisamente nuova – benché questo tipo di messaggio sia stato usato negli anni passati da altre testate internazionali – e che attrae sicuramente l’attenzione. La campagna cerca di convertire in raccolta di abbonamenti a pagamento un eventuale consenso dei lettori nel percepire Repubblica come strumento politico di opposizione contro il governo di destra: un tipo di comunicazione che su molti giornali è quotidianamente presente, ma implicito. Mentre Repubblica ha deciso di farne direttamente una pubblicità, affidandola a un’agenzia e a un design “patinato”. Ma in particolare la pagina sfrutta e reagisce a un precedente messaggio di propaganda elettorale dell’account di “Atreju” (il festival del partito di governo Fratelli d’Italia), per dire ai propri lettori che la loro opposizione alla destra si può esplicitare abbonandosi al giornale (il messaggio ha qualche limite di immediatezza per la non facile identificazione del soggetto “Atreju”).
La scelta è ulteriormente interessante rispetto al percorso di Repubblica di questi anni. Da quando ha cambiato proprietà, infatti, e col nuovo direttore, erano state ripetutamente annunciate intenzioni di cambiare corso rispetto all’opposizione battagliera contro il centrodestra che aveva fatto la storia e i successi commerciali del quotidiano fino a quel momento: di attenuare l’identità “di sinistra”, di rivolgersi a lettori di ogni opinione, di puntare allo stesso pubblico “moderato” del concorrente Corriere della Sera. Ma poi sono successe almeno un paio di cose rilevanti: la pessima reazione dei lettori (e collaboratori, e giornalisti) e quindi i grandi cali di diffusione di questi anni, con stabile sconfitta nella competizione col Corriere, che hanno suggerito di riportare in parte il giornale su posizioni di opposizione; e le tensioni tra il governo e la proprietà del gruppo editoriale, in cui si sono aggrovigliate le scelte del giornale e gli interessi dei maggiori business della proprietà stessa, quelli nel settore della produzione automobilistica.
E ora tutto questo è sancito dall’ufficio marketing: volendo fare una sintesi sommaria, sono ora richieste e opportunità di business che stanno riportando Repubblica a fare Repubblica, con le forme conseguenti.
domenica 9 Giugno 2024
Un anno fa spiegammo su Charlie un certo abuso dell’anacronistico termine “villaggio” sui giornali italiani, in particolare nei titoli, per un’inclinazione a tradurre il più comune termine “village” dall’inglese. Nel caso del Corriere della Sera di martedì si trattava effettivamente di un abitato molto piccolo, ma anche in questo caso nessuno chiama in Italia “villaggio” un abitato molto piccolo: la stessa autrice dell’articolo lo indicava più coerentemente come “paese”.
(il “villaggio” è tra l’altro “alle porte di Londra” come Siena è alle porte di Firenze)
domenica 9 Giugno 2024
Il sito britannico PressGazette ha intervistato Falk Schneider, che è il direttore “Premium” al quotidiano tedesco Die Welt , ovvero si occupa degli abbonamenti e della sostenibilità economica del lavoro giornalistico. La Welt è un quotidiano fondato in Germania nel 1946 e acquisito poco dopo da quello che oggi è uno dei più grandi gruppi editoriali internazionali, Axel Springer, che possiede anche il quotidiano europeo a maggiore diffusione, il tabloid Bild.
L’intervista a Schneider è interessante per molti aspetti, primo tra tutti il suo portare a ulteriori conseguenze la tendenza di questi mesi al superamento del “traffico” quantitativo come obiettivo dei giornali online in favore della creazione di una comunità di lettori più coinvolta, soddisfatta e fedele, anche se più ridotta. Schneider dice addirittura che il suo e altri giornali tedeschi – la Welt è un quotidiano autorevole di orientamento conservatore – devono prendere atto di avere forse esaurito il proprio potenziale bacino di abbonati (oggi 200mila per la Welt), e lavorare per estrarre maggiore valore economico da quello esistente. Aumentando i prezzi degli abbonamenti o offrendo nuovi prodotti e servizi a pagamento, e anche qualità giornalistica che conservi gli abbonati esistenti (diverso è il caso della Bild, a cui Schneider allude come a un giornale di minor qualità e di contenuti più attraenti per lettori occasionali, e che si permette sconti e promozioni eccezionali). Tra i fattori che garantisco una maggior fedeltà degli abbonati Schneider cita soprattutto la loro impressione di coinvolgimento, a cominciare dalla possibilità di commentare gli articoli.
domenica 9 Giugno 2024
Il Corriere della Sera sembra essere stato il quotidiano che ha sfruttato più efficacemente l’occasione di raccolta pubblicitaria data dalla “Giornata dell’ambiente” (una giornata convenzionale di sensibilizzazione promossa dalle Nazioni Unite): il Corriere è in effetti tra i maggiori quotidiani quello più attivo ed efficiente nella vendita dei propri spazi pubblicitari, avendo tra l’altro il suo editore costruito le proprie fortune e competenze proprio intorno a quello.
Eventi di questo genere permettono alle concessionarie pubblicitarie di presentare ai potenziali inserzionisti una visibilità meno routinaria del solito, legata appunto a qualcosa di speciale, a cui gli inserzionisti possono dedicare campagne speciali (in questo caso promuovendo più o meno credibili iniziative ambientali). Nel numero di mercoledì scorso, colorato di verde, il Corriere della Sera ospitava ben 25 pagine pubblicitarie sulle 64 totali (che potrebbe essere un record), più altre 13 pagine con inserzioni.
Nella stessa settimana il Corriere della Sera ha organizzato un festival a Milano dedicato all’ambiente che è stato a sua volta costruito intorno a una ricca collaborazione di sponsor e inserzionisti: e gli articoli sul giornale che ne hanno riferito i contenuti sono stati quotidianamente basati sulle iniziative ambientali degli stessi sponsor o acquirenti di pagine pubblicitarie sul giornale.
domenica 9 Giugno 2024
ADS, l’ente che certifica la diffusione dei giornali in Italia, ha pubblicato un suo rapporto annuale sulla distribuzione delle diffusioni nelle varie province e regioni. Il rapporto contiene molti dati interessanti, per non tormentarvi di numeri questo mese pubblichiamo intanto l’elaborazione dei primi tre quotidiani per diffusione in ciascuna regione.
E alcune osservazioni:
– i due quotidiani che sono primi in più di una regione sono il Messaggero (4), il Resto del Carlino (2) la Stampa (2).
– Repubblica non è prima in nessuna regione.
– il Corriere della Sera ha superato Repubblica anche in Lazio (la regione dove Repubblica ha sede e maggior radicamento).
– In Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Puglia, Sicilia, Trentino Alto Adige, Umbria e Veneto, le prime tre testate sono tutte testate locali.
– I tre quotidiani a maggiore diffusione nella rispettiva regione sono Corriere della Sera (Lombardia), Stampa (Piemonte) e Resto del Carlino (Emilia Romagna).
domenica 9 Giugno 2024
Il nuovo podcast di Ben Smith, fondatore e direttore del sito di news americano Semafor, ha intervistato Vivek Ramaswamy sul suo ingresso nella società che possiede i siti Buzzfeed e Huffington Post, tra le altre cose.
Ramaswamy ha 38 anni ed è figlio di due immigrati indiani. Ha avuto una carriera piuttosto brillante come manager e imprenditore soprattutto nel settore farmaceutico e delle biotecnologie. A partire dal 2022 è diventato famoso negli Stati Uniti come attivista “anti woke ”. È autore di un libro intitolato Woke, Inc. (si potrebbe tradurre come Woke Spa) in cui sostiene che le preoccupazioni ambientali, sociali e razziali siano un inutile ostacolo alla crescita economica e alla libertà d’impresa. All’inizio dell’anno aveva brevemente partecipato alle primarie Repubblicane per la presidenza, ritirandosi presto dopo avere ricevuto una discreta copertura mediatica per le sue dichiarazioni polemiche.
Meno di un mese fa Ramaswamy aveva annunciato di avere acquisito il 7,7% della società di Buzzfeed, e nei giorni successivi era intervenuto chiedendo riduzioni dei costi, nuovi progetti economici e spostamenti a destra dei contenuti. Nel podcast di Semafor ha spiegato di voler costringere il fondatore e maggiore azionista, Jonah Peretti, a cedergli il controllo della società sfruttando i grossi debiti della società stessa. Ben Smith – che conosce bene la storia di Buzzfeed e l’ha raccontata nel libro Traffic – ha poi spiegato gli obiettivi e le ingenuità di Ramaswamy, e le differenti priorità della politica e del business: dove la prima è disposta a sacrificare il secondo, quando ci sono risorse economiche sufficienti.
domenica 9 Giugno 2024
Martedì Repubblica ha pubblicato nelle pagine della Cultura una lettera dello storico e arabista britannico Denis MacEoin intitolata “Cari studenti, Israele non è un regime”: la lettera era preceduta da una nota che spiegava “Pubblichiamo una risposta di Denis MacEoin alla mozione presentata dall’Associazione studentesca dell’Università di Edimburgo per boicottare tutto ciò che è israeliano e in cui si afferma che Israele è governato da un regime di apartheid. Denis MacEoin è un esperto di affari del Medio Oriente ed è stato caporedattore della rivista Middle East Quarterly. Ecco la sua lettera agli studenti”.
Soltanto che MacEoin è morto nel 2022, e la lettera era del 2011. Se ne sono accorti diversi lettori martedì mattina, protestando per l’errore e in alcuni casi mettendolo in relazione con una tentazione sbadata del giornale di proteggere Israele dalle accuse di questi mesi. Quello che è realisticamente successo è che – dal momento che quella lettera è stata ripresa da diversi siti e sui social in questi mesi di conflitti online – qualcuno a Repubblica l’abbia trovata e letta e si sia fatto ingannare dal riferimento all’iniziativa degli studenti di Edimburgo del 2011, dal momento che proteste contro Israele nella stessa università si stanno svolgendo anche in questi mesi. E che nel giornale non sia stata fatta nessuna verifica non solo sulla datazione del testo ma nemmeno sulla biografia dell’autore.
A seguito delle segnalazioni, Repubblica ha aggiunto alla versione online dell’articolo – e diffuso sui social – un messaggio di scuse relativo a “l’errore di non indicare la data originaria”, benché sia assai plausibile dalla nota iniziale che la data originaria non fosse stata proprio notata. Nel messaggio si dice tra l’altro “lo abbiamo ricevuto da un editore di New York”, che è uno strano dettaglio da fornire, considerato che la lettera è pubblicata online su decine e decine di siti da tredici anni.
Il Comitato di redazione del giornale, che negli ultimi mesi ha avuto già diversi attriti con la direzione, ha diffuso un comunicato:
“Il Comitato di redazione di “Repubblica” prende le distanze dalla pubblicazione avvenuta oggi, e voluta dalla direzione, dal titolo «Cari studenti, Israele non è un regime» a firma di Denis MacEoin: scritto risalente al 2011 di uno studioso deceduto nel 2022, entrambi particolari non menzionati in pagina.
Siamo convinti che così facendo, decontestualizzando fatti e opinioni, non si stia facendo un buon servizio al giornalismo e alla credibilità di “Repubblica”. Questo è purtroppo l’ennesimo caso sconcertante che siamo costretti a denunciare, con l’unico scopo di salvaguardare collettivamente il nostro lavoro, la nostra professionalità e la nostra reputazione”.
domenica 9 Giugno 2024
L’editore del quotidiano romano Il Messaggero ha licenziato il direttore Alessandro Barbano neanche due mesi dopo averlo assunto. Assunzione che aveva già a sua volta una storia propria, essendo stato Barbano licenziato discutibilmente dallo stesso editore nel 2018 (in quel caso dalla direzione del Mattino, quotidiano napoletano anch’esso di proprietà del gruppo Caltagirone, di ricchezze legate alle costruzioni e alle attività immobiliari).
Barbano, conosciuto come giornalista serio e riservato, non ha dato spiegazioni del licenziamento: notizie varie lo avevano legato a sue scelte di indipendenza dalla maggioranza di governo non apprezzate dall’editore, ma sia Barbano che l’editore le hanno dichiarate false.
Il vicedirettore Guido Boffo è diventato direttore del Messaggero. L’assemblea dei redattori del giornale ha diffuso un comunicato in cui annuncia uno “sciopero delle firme” (di impatto limitato: il giornale ospita ogni giorno molti articoli firmati da collaboratori esterni) ed esprime una serie di timori e critiche nei confronti della proprietà.
“L’assemblea dei redattori del Messaggero esprime sconcerto per le modalità con le quali è stato licenziato il direttore Alessandro Barbano, dopo appena un mese alla guida del giornale e senza che ne siano state esposte formalmente le motivazioni. L’assemblea esprime forte preoccupazione per la perdurante mancanza di un piano editoriale, che dia contezza della programmazione del lavoro dei giornalisti. Una situazione, questa, aggravata proprio dalla mancanza di continuità nella guida del Messaggero e di chiarezza sui motivi delle ripetute modifiche ai vertici della redazione. L’assemblea rimarca il clima di lavoro sereno e rispettoso che si era venuto a creare durante la breve direzione di Barbano, dopo anni difficili che avevano reso i rapporti interni sempre più tesi.
L’assemblea chiede alla direzione chiarimenti sul futuro del giornale e l’attuazione di un piano editoriale dettagliato e condiviso con i giornalisti. Chiede altresì che venga conservato il clima di fattiva collaborazione e serenità all’interno della redazione, dà mandato al Comitato di redazione di vigilare affinché non ci siano cambi di rotta su questi punti fondamentali e affida al Cdr un pacchetto di cinque giorni di sciopero.
Per rimarcare la nostra preoccupazione il giornale uscirà senza le firme dei giornalisti del Messaggero fino a lunedì 10 giugno”.
domenica 9 Giugno 2024
C’è un’altra storia che ha riguardato lateralmente il Washington Post, nelle ultime due settimane. È quella delle critiche contro il giudice della Corte suprema Samuel Alito, per una concretissima storia di bandiere esposte nel suo giardino. Se ne è molto parlato negli Stati Uniti come uno scoop del New York Times, che ha svelato la storia. Che però era conosciuta al Washington Post dal 2021, quando il giornale aveva mandato un suo reporter a indagarla e aveva poi deciso di non darle spazio. Il fallimento è stato commentato sullo stesso Washington Post dal proprio “media critic” Erik Wemple, caso piuttosto eccezionale di capacità autocritica, visto da qui.
domenica 9 Giugno 2024
Il Washington Post è diventato in questi mesi il grande quotidiano internazionale più “attenzionato” – come dicono le questure – del mondo, per via di una storia sintetizzabile in: “grande e ammirato quotidiano americano, con una storia da cinema, viene salvato dal declino dal padrone di Amazon, risorge e torna protagonista per un breve periodo, ma poi va in nuova crisi economica e di lettori”. Quindi da alcuni mesi hanno fatto notizia gli sviluppi di questa crisi e le ipotesi su come sarà affrontata: la notizia di questa settimana però è la più grossa, si è dimessa la direttrice Sally Buzbee, di fatto spinta da un intervento energico dell’amministratore delegato Will Lewis su tutta la progettazione del giornale. Al posto di Buzbee il ruolo sarà tenuto fino alle elezioni presidenziali da Matt Murray, prima che si insedi il nuovo direttore Rob Winnett. Contemporaneamente Lewis ha comunicato – con considerazioni drastiche sullo stato economico del giornale e sulle necessità di rimediare – una nuova impostazione del giornale che preveda “una terza redazione” (accanto a quella delle news e a quella delle opinioni) dedicata a produrre contenuti più leggeri, di servizio, o che funzionino sui social network. E che sarà diretta da Murray.
Le storie e i commenti intorno a questa decisione sono tanti.
1. Giovedì il New York Times ha scritto – con maggiore sicurezza rispetto alle voci di cui scrivemmo due settimane fa – che le dimissioni di Buzbee abbiano avuto a che fare anche con la pubblicazione sul Washington Post di un articolo sul coinvolgimento di Lewis nelle nuove cause legali britanniche relative allo scandalo delle violazioni di privacy dei tabloid. Articolo alla cui pubblicazione Lewis si era detto contrario. E venerdì David Folkenflik ha scritto sul sito del network radiofonico NPR che Lewis gli aveva offerto qualche mese fa un’intervista in anteprima se avesse rinunciato a scrivere un articolo sulle vicende britanniche di Lewis stesso.
2. Molti osservatori, e persone della redazione stessa, hanno criticato la scelta di Lewis di promuovere due persone di sua fiducia – Murray e Winnett avevano lavorato con lui al Wall Street Journal e al Daily Telegraph – nei ruoli più importanti, invece che privilegiare capacità professionali, ricerche più estese, e il mantenimento di una diversità nei ruoli dirigenziali: Murray e Winnett sono maschi e bianchi.
Sabato Lewis ha scritto alla redazione con toni meno perentori e più costruttivi chiedendo fiducia e dicendosi disponibile a maggiori confronti e collaborazioni.
3. Sta crescendo la quota britannica nei ruoli maggiori delle grandi testate americane, e in particolare al Washington Post: Lewis è londinese ed è inglese anche Winnett, che finora era direttore del quotidiano di Londra Daily Telegraph. A capo di CNN c’è Mark Thompson, la direttrice del Wall Street Journal è Emma Tucker e quello di Bloomberg News è John Micklethwait, londinesi tutti e tre.
Sia l’articolo di NPR sopra citato che una serie di tweet di Emily Bell – giornalista britannica ed esperta analista del mondo dei media – hanno segnalato i rischi che certi sbrigativi approcci britannici all’etica giornalistica potrebbero portare nelle testate americane.
domenica 9 Giugno 2024
Viene chiamato “uomo morto” un dispositivo sui treni che serve a garantire la vigilanza dei macchinisti: crea l’impegno a fare una cosa apparentemente inutile ma che serve a dimostrare ogni tot tempo che chi è alla guida del treno è vigile e consapevole della situazione.
Il prologo di oggi è un prologo “dell’uomo morto”: serve a mostrare ogni tanto che siamo svegli, e che abbiamo presente il mondo dell’informazione intorno a noi, a costo di fare considerazioni banali e ingenue.
Ma proviamo a pensare in termini di logica: com’è che in Italia quasi tutti i giornali scelgono di dire ai loro lettori che una parte politica ha sempre torto e mai ragione? È realisticamente e statisticamente impossibile che sia davvero così: eppure non compare mai un articolo o un titolo che dica “X ha fatto questa cosa giusta” o “X ha ragione e i suoi avversari torto”, dove X è – a seconda del giornale – l’obiettivo che quel giornale ha scelto di contestare quotidianamente, per soddisfare e alimentare le cieche partigianerie dei suoi preziosi lettori. Perdendo però così credibilità e affidabilità: perché, appunto, delle volte X ha ragione e i suoi avversari torto, inevitabilmente. E perdendo coerenza: perché X ha detto o fatto la stessa cosa che altre volte dissero o fecero i suoi avversari, che vennero allora lodati e apprezzati da quel giornale.
L’alibi è chiamare questo approccio “linea editoriale”: ma è una linea commerciale e demagogica, in realtà. Non dipende da un’idea del mondo, ma da una rigidità di pensiero unita a una necessità economica. Non è diversa da quella dei giornali sportivi che “tifano” per singole squadre, per essere letti e apprezzati dai tifosi di quelle squadre. I giornali migliori, quelli a cui dare fiducia, saranno quelli dove troverete qualcuno che dica “Ha ragione Meloni” o “Ha ragione Schlein” senza ironie o premesse o distinguo, quando fino al giorno prima quei giornali le avevano attaccate.
Fine di questo prologo.
domenica 2 Giugno 2024
Il Post ha pubblicato l’annuale riassunto con cui condivide e spiega i propri conti dell’anno passato.
“La prima cosa che diremo dei conti del 2023 è che per il quarto anno consecutivo il Post è un progetto giornalistico che riesce a sostenersi economicamente e a creare ricavi utili a nuovi investimenti, assunzioni e crescite: risultato che ovviamente ci conforta per quel che riguarda il Post, ma che ci sembra anche prezioso e interessante nel contesto generale delle difficoltà economiche delle aziende di informazione e dei giornali. Se quello che il Post sta facendo è utile per la conoscenza e la consapevolezza di chi lo legge (o anche per il suo piacere), questo sta venendo riconosciuto in un modo che non ha bisogno di contributi pubblici né di scendere a patti equivoci con gli inserzionisti pubblicitari.
Ed è un risultato che possiamo dire si debba nella sua gran parte alla costruzione di un rapporto di fiducia e di soddisfazione con gli abbonati, a sua volta reso possibile dal riconoscimento di una grande attenzione alla qualità del lavoro offerto. Insomma, bravi tutti”.
domenica 2 Giugno 2024
Negli ultimi giorni della settimana passata è capitato che il quotidiano Domani ospitasse al suo interno anche tre pubblicità di grossi inserzionisti (Tim, Lavazza, Enel, Grimaldi, Telepass) nelle sedici pagine di cui è abitualmente composto. È un vistoso progresso nella raccolta pubblicitaria di un giornale che da molto tempo riusciva a vendere al massimo l’ultima pagina.
domenica 2 Giugno 2024
Abitualmente i quotidiani italiani hanno una dose di ritrosia nel dare evidenza a quello che viene pubblicato sugli altri quotidiani, per una malintesa idea di concorrenza per cui farlo sarebbe un’ammissione di maggiore capacità dei concorrenti. Quindi è piuttosto un’anomalia che Repubblica abbia messo in prima pagina, venerdì, il resoconto di un articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire, offrendogli quasi un’intera pagina all’interno (stralci di quell’articolo sono stati raccolti da altri giornali, non in prima pagina). L’articolo su Avvenire non era in effetti un articolo qualsiasi, ma un’intervista all’editore di Repubblica John Elkann.
domenica 2 Giugno 2024
In un’intervista alla Verità per promuovere il suo nuovo libro, Antonio Padellaro – giornalista 77enne che fu tra le altre cose direttore dell’ Unità e cofondatore del Fatto – ha spiegato sabato senza ipocrisie il valore commerciale delle campagne dei giornali contro determinati “nemici” indicati come tali ai propri lettori: riferendosi in particolare a Silvio Berlusconi.
“Silvio Berlusconi è stato la grande illusione perduta del Fatto?
«Più che grande illusione, grande tiratura perduta. Glielo dissi esplicitamente: lei ha fatto la fortuna dei suoi amici, ma molto anche quella dei suoi nemici».
Quanto è difficile per Achab rifarsi una vita senza Moby Dick?
«Difficilissimo. All’inizio del libro cito Illusioni perdute di Honoré de Balzac dove l’editore invita lo scrittore a trovarsi un nemico famoso perché così “il vostro valore aumenterà”. Ma dev’essere un nemico potente, e noi avevamo il più potente. Prima con Matteo Renzi e ora con Giorgia Meloni non è la stessa cosa. A un nemico potente corrispondeva un giornale molto vivace».
Più è strenua la lotta…
«Più si guadagnano copie. Il lettore ti conosce, si identifica e ti compra. Un giornale è un prodotto, la sfida dell’edicola è ogni mattina più difficile»”.
domenica 2 Giugno 2024
The Post Internazionale (poi abbreviato in TPI), pubblicato dalla società omonima, è una testata giornalistica fondata, tra gli altri, da Giulio Gambino che ne è tuttora direttore, e da Stefano Mentana, vicedirettore. Il sito cominciò a pubblicare nel 2010 e poi si strutturò e trasformò in testata giornalistica nel 2012, e dal 2021 pubblica anche una rivista cartacea, prima settimanale e poi diventata quattordicinale. Gambino ha 37 anni e spiega che TPI adesso è tre cose: «un sito, una rivista e una pagina Instagram. Il sito si regge sulle sue gambe con l’advertising e non ha modelli di sottoscrizione o abbonamenti a pagamento perché non mi hanno mai convinto fino in fondo come opzione, tenuto conto delle attuali condizioni che ostacolano una completa transizione al digitale. Per noi Instagram è un portento di informazione, attualità, analisi che ha, in parte, preso il posto del sito perché la maggior parte delle persone sta lì sopra».
Nel settembre 2021 nacque la rivista cartacea omonima: «è una boutique dell’informazione, costa 4,50 €, con un target di pubblico più adulto. Siamo partiti con una grande aspirazione, forse ambiziosa, però è stato un esperimento di successo perché comunque è in piedi e vive: oggi escono 22 numeri l’anno, abbiamo ridotto le pubblicazioni perché ci siamo resi conto che così è più sostenibile, con una periodicità che si incontra meglio con l’esigenza del lettore, e con tempi di lettura più lenti. La rivista vende 4-5 mila copie a seconda dei numeri con una tiratura di circa 9-11 mila e quindi abbiamo un reso che può essere intorno al 55%-60%: tra le vendite rientrano sia gli acquisti individuali dei lettori in edicola, sia gli acquisti multipli da parte di enti, aziende, istituzioni. Alle vendite in edicola si aggiungono gli abbonamenti digitali che sono circa mille: avevamo anche quelli cartacei ma abbiamo dovuto eliminarli perché costavano troppo di spedizione. La rivista da un anno è al punto di break-even [è in pareggio tra costi e ricavi, ndr] grazie alle vendite; e poi grazie a pubblicità, contenuti ed eventi riusciamo a fare margini che altrimenti non sarebbero arrivati. Su tutti i nostri canali cerchiamo di fare informazione di qualità, sul sito e su Instagram facciamo buoni numeri però l’attenzione dei grandi sponsor è minore rispetto alla rivista cartacea che finisce in tutti i tavoli istituzionali e in tutte le rassegne. In assoluto e nel complesso non sono soddisfatto delle vendite della rivista. Però per noi aver intrapreso questa operazione è stato fondamentale perché nei siti vedo minor potenziale di sviluppo, al momento, anche per questa rivoluzione digitale che in Italia non è mai avvenuta e che forse potrà avvenire solo quando i grandi editori decideranno tutti di andare sul digital».
Negli ultimi anni è aumentato il fatturato di The Post Internazionale, passando da circa 700 mila euro nel 2020, a un milione nel 2021 e quasi 1,5 milioni nel 2022: «il ricavato della rivista pesa circa 900 mila euro, il fatturato complessivo del 2023, che deve ancora uscire, sarà di circa 1,6-1,8 milioni. Le altre fonti di entrata principali arrivano dal digitale, sito, ed eventi. Le maggiori voci di spesa sono stampa, distribuzione, personale: in redazione ci sono una decina di dipendenti assunti e diversi altri collaboratori».
Nel 2020 e nel 2021 il giornale è stato in perdita (di circa 110 mila e 130 mila euro), «principalmente a causa degli investimenti che abbiamo realizzato per il lancio della rivista cartacea», e tornato in utile nel 2022 (di circa 80 mila euro): «non è l’utile il mantra di una società così piccola, non saprei dire se avremo ancora utili o meno nei prossimi anni, sicuramente la rivista ha dato linfa vitale. Senz’altro c’è stato un periodo nel quale abbiamo avuto difficoltà, nel 2020».
domenica 2 Giugno 2024
Giovanni Valentini è un giornalista di 76 anni autore di una rubrica settimanale sul Fatto, che si occupa spesso e con toni polemici di questioni relative al business dei giornali italiani. Sabato l’ha usata per rispondere a un’accusa dell’editore Andrea Riffeser (proprietario del gruppo editoriale che possiede i quotidiani Nazione, Resto del Carlino e Giorno , e presidente della federazione degli editori di giornali) che avrebbe contestato al Fatto la antica dicitura sotto la testata del giornale “Non riceve alcun finanziamento pubblico”. Secondo Riffeser le agevolazioni fiscali di cui il Fatto beneficia, come gli altri quotidiani, smentirebbero quella dicitura: secondo Valentini le agevolazioni fiscali non devono essere ritenute “finanziamento pubblico” e quindi la dicitura sarebbe corretta.
Ma l’occasione è utile per spiegare invece una cosa diversa: ovvero che la scelta di quella dicitura fu a suo tempo un’ottima trovata di marketing da parte del Fatto , che negli anni ha convinto molti suoi lettori di avere a che fare con una scelta eccezionale (e considerata apprezzabile). Mentre in realtà vale per quasi tutti i quotidiani italiani, che potrebbero vantarsi della stessa cosa: quelli che ricevono contributi pubblici sono pochi, e pochissimi tra quelli nazionali più noti (Avvenire, Manifesto, Foglio, Libero, ItaliaOggi, Secolo d’Italia).
domenica 2 Giugno 2024
La protesta di Repubblica contro le pratiche e le tariffe imposte da SIAE sulla pubblicazione di un tipo di immagini – ne avevamo scritto la settimana scorsa – ha avuto sviluppi. Dopo l’anticipazione sul Venerdì, il magazine allegato al quotidiano, la stessa Repubblica ha dedicato mercoledì due pagine a descrivere la questione, e ha ricevuto rapidamente una risposta disponibile da parte di SIAE, pubblicata venerdì sul giornale di carta.
domenica 2 Giugno 2024
Il tabloid inglese Evening Standard cesserà le pubblicazioni quotidiane – dal 2009 era distribuito gratuitamente, soprattutto nella metropolitana di Londra – e diventerà un settimanale.
“Nell’annunciare il cambio di formato, la dirigenza ha spiegato che il modello gratuito non sta più funzionando: un po’ perché dopo la pandemia è diminuito il numero di pendolari che si spostano quotidianamente con i mezzi pubblici, e un po’ perché da quando è stato introdotto il segnale telefonico su gran parte delle linee della metro di Londra le persone hanno cominciato a leggere molto meno i giornali durante il proprio tragitto. Nel lavoro, nella vita, in ogni momento. Negli ultimi sei anni l‘Evening Standard ha perso 84,5 milioni di sterline di ricavato (circa 100 milioni di euro). Per rimanere aperto deve fare affidamento ai finanziamenti diretti di Evgeny Lebedev, che acquistò una quota di maggioranza del giornale nel 2009 insieme al padre, l’oligarca russo Alexander Lebedev, ex esponente del KGB (i servizi segreti dell’Unione Sovietica) nonché proprietario di una quota del quotidiano russo Novaya Gazeta”.
Simon Jenkins, columnist del Guardian e che lavorò due anni all’ Evening Standard, ha commentato la notizia con nostalgia ma convenendo che da tempo la qualità del giornale fosse molto scaduta, e che in generale tutto il giornalismo locale abbia perso valore.
Qui una guida ai tabloid britannici, di tre anni fa.
domenica 2 Giugno 2024
Le vicende del settimanale L’Espresso continuano a essere confuse e tumultuose. L’Espresso è un settimanale di news dalla storia illustre e da cui di fatto nacque l’intero gruppo editoriale che oggi si chiama GEDI: venne travolto come altri dalla crisi generale dei newsmagazine, e dal 2016 fu ospitato come allegato domenicale del quotidiano Repubblica. Poi, con la vendita dell’allora Gruppo Espresso alla società Exor della famiglia Elkann e la trasformazione in GEDI, l’Espresso venne venduto nel 2022 a una società dell’imprenditore Daniele Iervolino, le cui fortune economiche si devono all’università telematica Pegaso.
Da quel momento il giornale – tornato a uscire autonomamente il venerdì – ha vissuto una serie di passaggi incerti, in parte prevedibili in una transizione simile e in parte legati a dinamiche tipiche nella gestione di prodotti giornalistici da parte di società con limitata esperienza nel settore editoriale. Il direttore Marco Damilano si era dimesso prima della vendita per protesta contro l’operazione; il suo successore Lirio Abbate era stato sostituito pochi mesi dopo; il nuovo direttore si è dimesso dopo un anno, all’inizio del 2024, sostituito dal vicedirettore Enrico Bellavia. E nel corso di questi due anni ci sono stati frequenti allarmi da parte dei giornalisti sulle incertezze di gestione del progetto, di cui lo scorso dicembre è diventato proprietario un altro imprenditore.
Questa settimana anche Bellavia è stato “sollevato dall’incarico”: secondo la redazione, che ha indetto una giornata di sciopero, per “l’ennesimo tentativo di intromissione dell’azienda sul contenuto degli articoli: tentativo a cui il direttore uscente Enrico Bellavia si è opposto garantendo la storia e la tradizione del nostro giornale”. L’ultimo numero dell’ Espresso aveva la storia maggiore dedicata alle manovre economiche e politiche intorno all’agricoltura italiana. Secondo l’editore invece la nuova sostituzione del direttore appartiene a un percorso previsto e a una “fase completata”.
“Con riferimento al secondo cambio che ha riguardato il (Vice) Direttore Enrico Bellavia, è opportuno precisare che lo stesso è stato chiamato – con nomina di sei mesi – a traghettare il settimanale verso un nuovo modello editoriale, al fine anche di agevolare un consistente risanamento economico della Testata rilevata a dicembre 2023. Completata questa fase, l’Editore, nel ringraziare – nuovamente – Enrico Bellavia per quanto sino ad ora svolto e nel pieno delle facoltà previste dalla legge, ha individuato in Emilio Carelli la figura più adatta a ricoprire il ruolo di Direttore; con la certezza che quest’ultimo possa attuare appieno la linea Editoriale. L’Espresso Media respinge – inoltre – fermamente qualsiasi accusa di intromissione da parte dell’Azienda sul contenuto degli articoli ed invita, a tal uopo, il CdR a un incontro chiarificatore con lo spirito costruttivo, di collaborazione e trasparenza che ha finora improntato il rapporto professionale”.
E così, il nuovo direttore dell’ Espresso sarà adesso Emilio Carelli, giornalista dalla vivace carriera. Carelli ha 72 anni, ha avuto molti ruoli importanti nelle reti televisive Mediaset ed è stato poi direttore di Sky Tg24, prima di essere eletto alla Camera dei deputati con il M5S, passare ad altri gruppi parlamentari e decadere dalla carica nel 2022. Carelli era finora amministratore delegato, dallo scorso dicembre, della società che aveva acquistato il settimanale.
domenica 2 Giugno 2024
Mathew Ingram, giornalista assai esperto sulle trasformazioni dell’informazione digitale, ha scritto sulla Columbia Journalism Review “dieci domande” sulla base delle quali affrontare il rapporto potenziale con le “intelligenze artificiali” all’interno dei giornali: cercando di mettere un po’ d’ordine in un tema molto discusso e citato ma ancora molto incerto.
1. Stiamo cercando di salvare i posti di lavoro o il senso del giornalismo?
2. Meglio fare causa alle società di AI o vendere loro i propri contenuti?
3. Le AI elimineranno il ruolo di intermediazione dei giornali?
4. Qual è la priorità di ciascuna impresa giornalistica?*
5. Quali sono i bisogni del pubblico?
6. Quali sono gli esperimenti più accessibili da fare con le AI?
7. Come si entra nell’ordine di idee che tutto continuerà a cambiare?
8. Che conseguenze ha l’AI per la fiducia del pubblico?
9. Quali sono i punti di forza di ogni giornale, su cui sfruttare le AI?
10. Le AI possono aiutare il giornalismo locale, quello più impoverito in questi anni?
* Ingram usa qui l’espressione “stella polare”, che è diventata l’ultimo grido nei giornali da un paio di anni: “capire quale è la propria stella polare”, ovvero scegliere il proprio obiettivo prioritario e il modo di misurarlo, è un’istruzione di moda e ripetuta ovunque, saggia e generica al tempo stesso.
domenica 2 Giugno 2024
La Svolta è un giornale online creato nel 2021 sotto la direzione di Cristina Sivieri Tagliabue, giornalista che fino ad allora aveva collaborato con molte testate maggiori occupandosi soprattutto di tecnologia e di temi sociali. La proprietà e gli investimenti erano stati del gruppo Sostenya, che possiede soprattutto una società che offre servizi alle aziende per la gestione dei consumi energetici, dei rifiuti e per la sostenibilità ambientale. Il giornale si era proposto ed era stato condotto in questi tre anni come “un quotidiano che racconta i grandi cambiamenti in corso, prestando particolare attenzione all’Ambiente, ai Diritti, all’Innovazione sociale, culturale e tecnologica. Dando voce soprattutto ai giovani e alle donne”.
Tre settimane fa la Svolta ha pubblicato una “nota redazionale” che informava i lettori che l’amministratore delegato e proprietario di Sostenya, Pietro Colucci (che è affiancato dai due figli nel consiglio di amministrazione) è indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta genovese che è più nota per avere coinvolto il presidente della regione Liguria Toti. In seguito a quella nota l’editore Colucci ha fatto mettere offline il sito e ha comunicato alla direttrice Sivieri Tagliabue la sua sospensione. Nei giorni successivi sul sito è stato pubblicato un “comunicato della società editrice” che riferisce “che il giornale sta vivendo un momento critico che ci costringe a limitare, finanche a sospendere, le pubblicazioni dei nostri usuali contributi informativi sul tema dei diritti, dell’innovazione e dell’ambiente”, e la direttrice è stata licenziata, in ragione della pubblicazione della nota su Colucci.
Sivieri Tagliabue ha affidato a un’avvocata l’impugnazione del licenziamento.
domenica 2 Giugno 2024
È capitato spesso, ormai persino da decenni, che venisse messa in discussione e criticata un’inclinazione del giornalismo a mescolarsi troppo con “l’intrattenimento”, e che queste ibridazioni prendessero anche il nome di “infotainment”: con accenti critici da parte di chi teme che il ruolo di servizio pubblico dei giornali finisca per cedere troppo terreno a queste più frivole funzioni (che nei giornali ci sono sempre state: i cruciverba, i fumetti, le ricette, gli oroscopi). Ma nelle consuetudini di una parte del giornalismo italiano lo squilibrio verso l’intrattenimento è così visibile da occupare lo spazio principale: ovvero i giochi di parole nei titoli da prima pagina. E quanto questo sia considerato normale e benvenuto lo dimostra che alle eventuali critiche sulla povertà e ingannevolezza informativa di quegli spazi così importanti e visibili, i loro difensori rispondono celebrando le occasionali riuscite spiritose piuttosto che mettere in discussione l’approccio stesso: a conferma che farci sorridere è ritenuta da una parte dei lettori (e dei giornalisti) una missione prioritaria dei giornali.
Fine di questo prologo.
domenica 26 Maggio 2024
Il Post replicherà ad autunno l’investimento sulla formazione di un gruppo di giovani stagisti, progetto che aveva sperimentato per la prima volta a primavera nel 2023: quest’anno in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori che assegnerà il Premio Mario Formenton come borsa di studio per la partecipazione ai due mesi di workshop.
domenica 26 Maggio 2024
Vanity Fair americano ha pubblicato un ritratto di Charlotte Behrendt, avvocata che svolge da diversi anni – ma con maggiore autorità da qualche anno – il ruolo di “grande inquisitrice” all’interno del New York Times, raccogliendo segnalazioni di possibili comportamenti inappropriati di diverso genere, e conducendo indagini e interrogatori interni che diverse testimonianze descrivono come molto sgradevoli e indiscreti.
domenica 26 Maggio 2024
Il Venerdì, il settimanale di Repubblica, ha pubblicato una pagina sul suo ultimo numero dove accanto a un articolo che parla di un’opera d’arte, nello spazio dell’immagine che illustrerebbe l’articolo compariva un testo dentro una cornice: “Visto l’elevato costo dei diritti SIAE (un problema che si presenta sempre più spesso, con autori contemporanei), l’opera (facilmente visibile in rete) non è qui riprodotta”. L’articolo era firmato da Tomaso Montanari, storico dell’arte e saggista, e parlava di un’opera che mostra una menorah, il tipico candelabro ebraico a sette braccia, montata su una mitraglietta. Montanari ha poi pubblicato l’immagine su Instagram.
La direzione del Venerdì ha spiegato a Charlie che da qualche anno è diventato poco sostenibile pubblicare sui giornali immagini di opere d’arte contemporanea coperte da diritti SIAE (l’ente pubblico italiano che si occupa della tutela del diritto d’autore e della proprietà intellettuale). Le immagini possono costare da alcune decine di euro fino a diverse centinaia. In questo caso la redazione del Venerdì ha chiesto alla SIAE la possibilità di non pagare i diritti d’autore ripubblicando la pagina del quotidiano spagnolo El Pais dove, in un articolo del 2010, era raffigurata l’immagine dell’opera: al rifiuto ha pubblicato l’articolo senza immagine.
domenica 26 Maggio 2024
Per illustrare la vittoria del ciclista Steinhauser nella tappa del Giro d’Italia di mercoledì, il Corriere della Sera ha scelto giovedì una foto con queste priorità di visibilità e didascalia tra i due soggetti al traguardo.
domenica 26 Maggio 2024
La vendita dello storico settimanale di attualità e celebrità francese Paris Match al grande gruppo del lusso LVMH (ne avevamo scritto tre mesi fa) sembra quasi sicura: la proprietà ha annunciato “progressi soddisfacenti” nella trattativa che dovrebbe concludersi a settembre.
domenica 26 Maggio 2024
Nella giornata di mercoledì un importante esponente della Lega a Brescia ha pubblicato su Instagram il video di una rissa nel centro della sua città, indicandolo come avvenuto la sera prima. Il video è stato ripreso da diversi account social con posizioni di destra per attaccare di volta in volta l’immigrazione, la criminalità nelle città, l’amministrazione di sinistra di Brescia. Nel frattempo il video è stato rilanciato da tantissimi siti di news, dal Corriere della Sera al Messaggero a Tgcom24 a Repubblica e molti altri ancora. Venerdì è stato confezionato dall’account del ministro Matteo Salvini in una “card” che citava appunto Tgcom24. Nessuno di questi siti di news si è premurato di verificare a quando risalisse il video – l’episodio era di pubblica notorietà – e di darne informazione.
“Sia il video che i post degli esponenti della Lega sono stati pubblicati da molti giornali locali e nazionali, evidentemente senza verificare l’accaduto con le forze dell’ordine. Il video, infatti, mostra un episodio avvenuto quasi due anni fa, nel luglio del 2022. Questo particolare non trascurabile è emerso durante una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, una riunione a cui partecipano rappresentanti della questura, della prefettura e del comune. Durante la riunione è stato chiesto alle forze dell’ordine di capire se nell’ultima settimana fossero state fatte denunce, esposti o semplici chiamate di emergenza.
In seguito a una verifica nell’archivio della polizia, i cui risultati sono stati poi comunicati durante la riunione, per il pestaggio mostrato nel video furono fermati due ragazzi minorenni e uno maggiorenne, che al momento si trova in carcere. I tre responsabili dell’aggressione furono individuati nel 2022 grazie alle immagini registrate dalle telecamere installate in centro”.
domenica 26 Maggio 2024
La famiglia del pilota tedesco Michael Schumacher ha ottenuto un risarcimento di 200mila euro dalla rivista Aktuelle che aveva pubblicato una intervista inventata con Schumacher stesso.
“La famiglia dell’ex pilota tedesco di Formula 1 Michael Schumacher ha vinto una causa legale che aveva intentato l’anno scorso contro il gruppo editoriale tedesco Funke, dopo la pubblicazione di una finta intervista a Schumacher pubblicata sul settimanale femminile Die Aktuelle, scritta utilizzando un software di intelligenza artificiale. Lo ha fatto sapere ad Associated Press la portavoce della famiglia di Schumacher, Sabine Kehm, che ha aggiunto il gruppo editoriale dovrà pagare un risarcimento di 200mila euro.
Schumacher, uno dei piloti più noti e vincenti della storia, ebbe un grave incidente sciistico nel 2013 che gli causò lesioni cerebrali: la sua famiglia ha sempre mantenuto uno stretto riserbo sulle sue condizioni, ma si sa che non è in grado di camminare e che le sue interazioni sono poco significative, e che quindi non sarebbe mai stato in grado di dare interviste”.
domenica 26 Maggio 2024
Il quotidiano Domani ha dedicato venerdì un articolo alla vittoria giudiziaria del proprio editore Carlo De Benedetti nei confronti del quotidiano La Verità, del suo direttore Maurizio Belpietro e del suo collaboratore Mario Giordano. Questi ultimi dovranno risarcire De Benedetti per un articolo del settembre 2020 che secondo la sentenza citata conteneva notizie false che lo riguardavano.
Al tempo della pubblicazione dell’articolo il quotidiano Domani doveva ancora nascere (sarebbe uscito col suo primo numero poco dopo), quindi la scelta di dare questa notizia rispetto alle molte sentenze che riguardano cause per diffamazione ha evidentemente a che fare col fatto che il protagonista ne è il proprio editore.
domenica 26 Maggio 2024
Il giudice britannico che si occupa della causa del principe Harry contro alcuni tabloid, a proposito delle pratiche illegali di violazione della privacy attuate da quei giornali, ha rifiutato di aggiungere nuove accuse a quelle dibattute nel processo, come chiedevano gli avvocati del principe: e ha spiegato che per queste ci sarebbe bisogno di nuove denunce e nuovi processi.
Intorno alle pratiche di sorveglianza delle segreterie telefoniche erano emerse nei mesi scorsi nuove informazioni che stanno generando nuove cause contro i tabloid coinvolti.
domenica 26 Maggio 2024
La puntata di martedì di Morning – il podcast quotidiano di Francesco Costa sul Post – è stata aperta dal racconto della diffusione di una notizia falsa su molti giornali (riguardava la pioggia a Milano). Un’altra notizia falsa era stata raccontata nella puntata del giorno prima, e aveva riguardato una presunta rivolta nel carcere di Benevento.
“Poi, sono arrivate più tardi le parole del direttore del carcere che ha raccontato come sono andate le cose. Al rifiuto di un medico della ASL di visitare un detenuto è esplosa una protesta vibrata sfociata in momenti di concitazione con la rottura di alcune vetrate, le cui schegge hanno ferito lievemente due agenti di polizia. Non c’è stata nessuna colluttazione, non c’è stata nessuna aggressione da parte dei detenuti. La protesta è rientrata, non c’è stata nessuna rivolta, nessun sequestro, niente è stato distrutto se non questa vetrata che ha ferito due agenti che sono andati a farsi medicare e sono tornati subito in servizio. E allora io e non solo io a questo punto che cosa avevo sentito alla radio? Da dove arrivava la notizia quell’informazione così allarmante sulla rivolta ai poliziotti sequestrati? Il piano del carcere completamente distrutto arrivava da uno di questi comunicati dei sindacati e degli agenti penitenziari. I tre garanti dei detenuti responsabili per quella zona per il carcere di Benevento hanno diffuso un comunicato dicendo “Sono sempre più aggressivi i comunicati dei sindacati di polizia penitenziaria che ritraggono le carceri come un fronte di guerra, identificando di fatto un solo bersaglio”, dicono i garanti, “la popolazione detenuta””.
domenica 26 Maggio 2024
Il sito di media e marketing Digiday è tornato sul lavoro sperimentale del New York Times per ottenere maggiori informazioni sull'”attenzione” dei lettori nei confronti delle inserzioni pubblicitarie, di cui avevamo scritto un mese fa. Per ora le informazioni sono ancora piuttosto sommarie, ma sicuramente per la perdita progressiva di valore della pubblicità online diventerà sempre più importante avere dei dati più confortanti di quelli generici sul traffico, o sulla “viewability” (ovvero del potenziale di visibilità) delle inserzioni: le tecnologie stanno lavorando sulla possibilità di registrare gli sguardi e le attenzioni, in modo da dare agli inserzionisti delle metriche che li convincano della bontà dei loro investimenti.
Naturalmente questa prospettiva sarebbe sovversiva nel bene e nel male, e misurazioni più credibili dell’attenzione dei lettori sulla pubblicità potrebbero rivelare quanto siano sterili molti investimenti su pagine e testate che non siano il New York Times.
domenica 26 Maggio 2024
Radio Capital è una delle radio (assieme a Deejay e M2O ) possedute dal gruppo GEDI, l’editore anche di Repubblica, Stampa e HuffPost, tra gli altri. Da diversi mesi circolano molte voci sull’intenzione di GEDI di vendere Capital, nell’ambito della strategia di dismissioni che sta attuando da tempo per ridurre costi e perdite. Nelle ultime settimane l’azienda ha comunicato la chiusura di un gran numero di contratti di collaborazione della radio, generando una protesta ufficiale della redazione.
“La redazione di Radio Capital esprime preoccupazione per il clima di incertezza che sta vivendo da alcuni mesi. Prima le voci di vendita (smentite dall’editore), poi il trasferimento di un caposervizio in un’altra redazione del gruppo, a cui non è seguita alcuna sostituzione, né numerica né contrattuale.
A questo è seguita la comunicazione a voce che da fine giugno i nostri giornali radio verranno radicalmente trasformati. Nelle varie edizioni non ci saranno più servizi dei nostri collaboratori esterni, che sono stati contattati per chiudere il rapporto di lavoro, per molti ventennale, e che sono sempre stati risorsa centrale nella produzione dei giornali radio. Il provvedimento trova la redazione fortemente contraria.
Ci chiediamo, inoltre, se questo ridimensionamento possa rappresentare un atto iniziale di una ulteriore riduzione del nostro lavoro giornalistico.
Per questo chiediamo chiarezza attraverso un immediato confronto con l’azienda”.
domenica 26 Maggio 2024
Il direttore del quotidiano Il Giornale , Alessandro Sallusti, ha annunciato martedì in prima pagina un “ritocco alla veste grafica” e la cancellazione dello storico claim sotto la testata, “Da 50 anni contro il coro”, spiegandone l’incongruenza con l’attuale prevalenza nel paese del pensiero conservatore espresso dal giornale.
“A poche settimane dal nostro cinquantesimo compleanno diamo un ritocco alla nostra veste grafica per presentarci in ordine all’appuntamento. La novità più importante è però quella forse meno visibile, la scomparsa di quella dicitura «Da 50 anni contro il coro» che faceva mostra di sé proprio sotto la testata. Intendiamoci, non è che rinunciamo a essere ciò che siamo sempre stati: è che forse è venuto il momento di prendere atto che quella battaglia contro un pensiero unico illiberale che si imponeva in ogni campo è stata vinta, che le idee di una destra liberale, moderna e moderata hanno piena cittadinanza culturale e politica. […] Ma se così è e la maggioranza degli italiani consapevoli si affidano alle nuove destre, beh un motivo ci sarà. Non sto dicendo che quello in carica sia il governo perfetto né eterno. Dico che prima Silvio Berlusconi e poi Giorgia Meloni con il leale sostegno di Matteo Salvini hanno alla fine sdoganato una visione politica che cinquant’anni fa non era immaginabile potesse governare l’Italia, non certo in maniera stabile e autorevole sul piano internazionale come è avvenuto e sta avvenendo.
Nel 1974 a girare per strada esibendo sottobraccio questo Giornale si rischiavano le botte. Oggi i suoi lettori sono quelli che eleggono primi ministri, che orientano le scelte dei governi, che rivendicano con speranza nuove libertà. In altre parole oggi voi lettori siete diventati il «coro» del Paese”.
domenica 26 Maggio 2024
Le difficoltà del Washington Post di cui si scrive da mesi sono state infine esplicitate con allarme anche all’interno del Washington Post stesso. Il nuovo amministratore delegato Will Lewis ha comunicato un po’ di risultati e di progetti. Il giornale ha perso 77 milioni di dollari nel 2023, e metà dei lettori dal 2020: «Siamo in un guaio, e ci siamo da un pezzo». Lewis ha insistito sulla necessità che il giornale stia attento ai ricavi, e ha annunciato investimenti sulle “intelligenze artificiali” e su diversificazioni degli abbonamenti: con modelli di “membership” anche più costose che offrano servizi più ricchi.
Nel frattempo c’era stata una polemica intorno al giornale, che era stato accusato di voler occultare le notizie sulle nuove contestazioni nei confronti di Lewis nel Regno Unito, che riguardano lo scandalo dei tabloid di dieci anni fa quando lui era general manager della società che pubblicava il settimanale News of the World. Il Washington Post ha sbrigativamente negato le accuse.