Estratti della newsletter sul dannato futuro dei giornali.
domenica 27 Febbraio 2022
Il ricco dibattito internazionale sui contributi pubblici ai giornali – sulle loro necessità e sui loro limiti che si annullano a vicenda – può arricchirsi di una proposta particolare pubblicata sulla rivista progressista di Chicago che si chiama In these times: l’autore Mark Histed prende a modello un progetto già eseguito a Seattle dove il finanziamento pubblico alle campagne elettorali viene sostenuto dall’amministrazione cittadina con dei voucher che i cittadini ricevono e che possono scegliere a quale candidato destinare, indirizzando verso quel candidato un contributo economico distribuito dall’amministrazione. Una cosa simile, dice Histed, si potrebbe fare con i giornali: dando così alle persone la scelta di quali giornali (non uno soltanto, per evitare concentrazioni verso le testate più note; e con un tetto massimo per ogni testata) far sostenere con i soldi pubblici.
Il piano ha anch’esso dei limiti, come tutti gli altri: le garanzie che il denaro non sia indirizzato verso testate di bassa qualità o disinformazione sono limitate, per quanto si possano mettere dei paletti. Ma è utile che si facciano girare delle idee inventive che possano essere alternative ai sistemi fallimentari in vigore finora (soprattutto in Italia).
domenica 20 Febbraio 2022
È passato un anno e mezzo dalla nascita di questa newsletter: ovvero una successione di quasi mille piccole notizie e spiegazioni che – come notate – ritornano spesso su temi e storie maggiori, si aggiornano, hanno sviluppi o si legano ad altre. Ci perdonerete quindi se – come notate – siamo costretti spesso a usare formule noiose del tipo “come avevamo scritto” e a inserire link all’archivio, per non ripeterci troppo: sappiate, soprattutto i lettori più recenti, che a quei link ci sono spesso le informazioni che magari mancano ai resoconti settimanali, i pezzi precedenti delle storie.
domenica 20 Febbraio 2022
Capita da molti anni che nuovi lettori si incuriosiscano della scelta del Post di non firmare la quasi totalità dei propri articoli, perché non è una consuetudine nei giornali italiani, mentre avviene in misure diverse nelle testate internazionali (spesso negli editoriali, come invece in Italia fa il Foglio; o in quasi tutto il giornale, come fa l’Economist). Il Post spiegò le ragioni in questo articolo tuttora valido: ma una ragione nuova l’ha aggiunta Domenico Quirico, esperto e ammirato inviato della Stampa, in un libro-intervista da parte di Tiziana Bonomo pubblicato alla fine dell’anno passato:
«ho sempre detto che l’unico modo per cancellare il narcisismo dei giornalisti è non firmare i pezzi. Ed ero disposto ad accettarlo. Secondo me il giornale perfetto è quello in cui non ci sono le firme perché a quel punto lì il narcisismo lo devi buttare via. Continui a scrivere come sei capace perché questo è il tuo mestiere. È l’etica del tuo mestiere. Però non ci sei più. Il narcisismo è risolto. Ma prova a dirlo ai miei colleghi».
(Nello stesso libro, a onor dei dissensi tra i consensi, Quirico è assai critico sulla scrittura giornalistica asciutta e limitata ai fatti e alla loro esposizione).
domenica 20 Febbraio 2022
La redazione di Repubblica continua quindi a dedicarsi criticamente alle attività di chi gestisce i social network e all’invadenza della concessionaria di pubblicità in quegli spazi, invece è stata finora più indulgente con i casi simili che si manifestano sulle pagine del giornale. Sabato Armani ha comprato due pagine di pubblicità per il suo nuovo negozio milanese e poche pagine dopo Repubblica ha pubblicato un articolo sul nuovo negozio milanese di Armani.
(Stessa cosa ha fatto il Corriere della Sera, lasciando però passare un giorno tra la doppia pagina di pubblicità e un’intervista a Giorgio Armani sullo stesso tema).
Sempre per rimanere solo a sabato, ancora sul Corriere della Sera: una pubblicità del padiglione Italia all’expo di Dubai, e una celebrazione del padiglione Italia all’expo di Dubai nelle pagine dell’economia. Interessante tra l’altro la trasparenza del circolo virtuoso (dal punto di vista degli interessati): il padiglione Italia celebra il dato e lo diffonde con un comunicato stampa, i media riprendono il comunicato stampa e il dato, il padiglione Italia celebra la copertura dei media.
domenica 20 Febbraio 2022
Il sito che si occupa di giornali Professione Reporter, e che divulga spesso dibattiti e comunicazioni all’interno dei maggiori quotidiani del gruppo GEDI, ha riferito di una nuova insofferenza della redazione di Repubblica per le ingerenze dei contenuti pubblicitari sugli account social del giornale.
“L’episodio del 14 febbraio è questo: l’account Twitter di una delle cronache locali di Repubblica ha cominciato a pubblicare “articoli” promozionali senza alcun avviso per il lettore che si trattasse di materiale commerciale. “In generale – dicono le 4 redazioni – stiamo assistendo ad un aumento preoccupante di ‘articoli’ ad opera di Manzoni (la concessionaria di pubblicità) che vengono pubblicati sul nostro sito e partendo direttamente dal nostro sistema editoriale, i quali per un occhio distratto sono indistinguibili da quelli di cronaca, avendo gli stessi caratteri e la stessa formattazione”.
domenica 20 Febbraio 2022
Il sito britannico dedicato ai media e all’informazione PressGazette ha raccontato i risultati del Post e i successi del programma di abbonamenti senza paywall, intervistando il direttore Luca Sofri: “Il Post: How a new type of news brand for Italy attracted 50,000 paying members”.
domenica 20 Febbraio 2022
Sempre martedì Domani ha associato alla sua inchiesta anche un articolo su un tema di cui i lettori conoscono poco o niente, e che ha una sua complessità e rilevanza: il sistema dei contratti dei giornalisti, e l’eccezione sfruttata da alcune testate online (CityNews, Open, Fanpage) per ridurre il costo del lavoro attraverso contratti alternativi a quelli ufficiali. Scelta che le testate in questione sostengono necessaria per le economie attuali dell’informazione e per gli alti costi aziendali dei contratti giornalistici stabiliti con la Federazione degli editori, mentre i critici la accusano di essere un metodo per limitare i compensi dei giornalisti e i loro diritti. L’articolo di Domani è un prezioso aggiornamento a quello che raccontammo qui e alle complicazioni successive.
«Citynews, che dallo scontro è uscita anche con una condanna per comportamento antisindacale, ha deciso di andare per la sua strada, applicando un nuovo contratto sottoscritto dalla stampa periodica con la confederazione dei lavoratori autonomi, creando un unicum nel panorama delle aziende editoriali di grossa dimensione.
Per Open e Fanpage, invece, all’orizzonte c’è un accordo per approdare al nuovo contratto che sulla carta è sempre per le testate di interesse locale: Open si adeguerà gradualmente entro il 2023. Fanpage, che in base ai dati Ads è il secondo sito italiano più visitato, sta trattando una intesa simile per 35 giornalisti assunti con la federazione regionale campana, secondo quanto riferisce la Fnsi».
domenica 20 Febbraio 2022
Il quotidiano Domani ha ammirevolmente dato una risposta a una proposta espressa mesi fa su Charlie, che il giornalismo italiano si occupi con meno omertà corporativa di raccontare cosa succede ai giornali italiani e ai loro business, come si fa negli altri paesi. Domani ha annunciato lunedì una serie di articoli sulle peculiari condizioni dei gruppi editoriali locali, iniziando martedì con quella super peculiare del quasi monopolio dell’informazione in Trentino-Alto Adige (anche di quella avevate letto qualcosa qui l’anno passato): due giorni dopo il gruppo Athesia ha contestato la ricostruzione di Domani, con una lettera piuttosto disordinata e vaga a cui il giornale ha ulteriormente risposto.
(è interessante notare come su Charlie avessimo indicato che il problema nel fare informazione sui media in Italia sia l’intolleranza corporativa all’interno della categoria: e la lettera indignata del gruppo Athesia espone esplicitamente “un’amarezza estrema per un gesto che mai ci saremmo aspettati da un quotidiano nazionale, che condivide le nostre stesse difficoltà”)
Ha avuto strascichi polemici anche un altro articolo che Domani aveva dedicato invece ai rapporti tra alcuni giornalisti e l’ex vicepresidente di Confindustria in Sicilia condannato per mafia, Antonello Montante: articolo firmato da Attilio Bolzoni, giornalista di lungo corso sulle questioni di mafia quando era a Repubblica e passato a collaborare con Domani l’anno scorso. L’articolo di Bolzoni è stato contestato via avvocato da Lirio Abbate, vicedirettore dell’Espresso, e in ulteriore risposta Bolzoni ha sostanziato con maggiori particolari e dati le sue accuse sui favori che sarebbero stati distribuiti da Montante.
“Avrei veramente preferito non entrare in questi dettagli ma, trascinato nella vicenda e senza l’intento di diffamare nessuno, ritengo che sia opportuno riportare i fatti per come sono stati registrati dagli inquirenti. Naturalmente sono tutti atti pubblici”.
Un nuovo articolo di Bolzoni, stavolta sulle aziende giornalistiche calabresi, è uscito su Domani di oggi, domenica.
domenica 20 Febbraio 2022
Il New Yorker ha intervistato uno dei maggiori testimoni delle trasformazioni nell’industria editoriale e nel giornalismo di questi decenni, il direttore del New York Times Dean Baquet, che – benché lui non confermi – ci si aspetta lasci il ruolo quest’anno. L’intervista – piuttosto schiva e diplomatica, ma lunga – racconta cose della biografia di Baquet (nato a New Orleans, famiglia afroamericana che si è dovuta conquistare tutto), del suo far convivere i due lavori diversi del giornalismo (reporting e “macchina” redazionale), delle sue resistenze generazionali a molti cambiamenti contemporanei (malgrado finga aperture e indulgenze) e accenna di passaggio alle sue tensioni con la precedente direttrice Jill Abramson (che ne ha scritto assai in un libro pubblicato in Italia l’anno scorso da Sellerio).
domenica 20 Febbraio 2022
Il complesso dibattito internazionale sulle necessità di sostegno economico pubblico per i mezzi di informazione è stato risolto in Svizzera drasticamente con un referendum: nel quale, domenica, gli elettori hanno deciso di rifiutare una legge approvata dal parlamento che avrebbe finanziato molti editori di news con 145 milioni di euro l’anno (più che raddoppiando un contributo già esistente). I promotori del referendum contestavano la legge sulla base della necessità di mantenere i giornali indipendenti dal potere pubblico, e della distorsione della concorrenza che avrebbe creato a favore dei gruppi editoriali maggiori: ma nelle scelte degli elettori hanno pesato molto le insofferenze crescenti per i giornali che riguardano molti paesi del mondo, i rapporti di potere tra i media di lingua francese e tedesca, le polarizzazioni tra destra (contraria) e sinistra (favorevole).
domenica 20 Febbraio 2022
Il Wall Street Journal ha raccolto informazioni ufficiali e non per raccontare che il grande gruppo editoriale internazionale Condé Nast (che pubblica tra gli altri Vogue, Vanity Fair, Wired e il New Yorker, e le edizioni italiane dei primi tre) ha chiuso il 2021 in attivo per la prima volta dopo molti anni: a migliorare i conti sarebbero stati i due principali interventi decisi negli scorsi due anni su scala globale, di taglio dei costi e riduzioni dei dipendenti, e di accorpamento delle edizioni internazionali delle varie testate sotto singole direzioni editoriali.
domenica 20 Febbraio 2022
Il Tempo è un quotidiano locale particolare: pur essendo “locale” la sua località è Roma, con tutto quello che ne consegue di rilevanza sul piano nazionale. Ed è stato quindi un quotidiano importante a lungo, dalla sua fondazione nel 1944, sia per centralità nell’informazione (la sua sede è tuttora davanti a Palazzo Chigi) che per diffusione. Da diversi anni però sono molto declinate entrambe le cose: oggi dichiara 8mila copie di diffusione, ed erano 40mila solo dieci anni fa, e il doppio dieci anni prima. La concorrenza col Messaggero (che comunica 73mila copie) non esiste più. Passaggi proprietari e diverse direzioni lo hanno consolidato come quotidiano di destra, e da sei anni appartiene al gruppo della famiglia Angelucci, insieme a Libero e al Corriere dell’Umbria. Questa settimana si è saputo che il suo direttore Franco Bechis (lo era dal 2018 ma lo era già stato quindici anni prima) lascerà, e che il suo successore sarà Davide Vecchi, giornalista che era finora al Corriere dell’Umbria e che ha lavorato per otto anni al Fatto.
Bechis, ma niente è ancora ufficiale, dovrebbe dirigere un nuovo quotidiano economico del gruppo concorrente della Verità.
La settimana precedente si era anche parlato di un’ipotesi di acquisto da parte del gruppo Angelucci nientemeno che del Giornale (il quotidiano della famiglia Berlusconi dalle cui esperienze sono nati sia Libero che la Verità, ultimamente in grandi competizioni), ma senza sviluppi o conferme per ora.
domenica 20 Febbraio 2022
Solo un breve aggiornamento sulla crisi in CNN traboccata dagli argini con le dimissioni del presidente Jeff Zucker: gli addetti ai lavori e i media americani continuano a esserne molto appassionati perché contiene aspetti assai significativi sul settore ma anche perché contiene storie e vicende personali e stracci che volano. Il New York Times ha pubblicato un articolo che ha messo più in ordine le ipotesi su cosa sia successo davvero, indicando che la relazione di Zucker con una dirigente della rete sia stata solo un pretesto per le sue dimissioni, e che la sostanza sarebbe che le “coperture” per l’ex governatore dello stato di New York Andrew Cuomo non si siano limitate a suo fratello Chris (ora ex giornalista di CNN) ma abbiano appunto coinvolto anche Zucker e la sua compagna, e adesso è un tutti contro tutti.
domenica 20 Febbraio 2022
Nei dibattiti giornalistici francesi questa settimana si è parlato di una storia che invece forse spiega poco del futuro dei giornali ma molto del loro passato. Un articolo del settimanale L’Obs (quello che si chiamava Nouvel Observateur fino al 2014, uno dei più illustri magazine francesi oggi di proprietà dello stesso gruppo del quotidiano Le Monde) ha rivelato che Jean Clémentin, un giornalista e scrittore oggi 97enne che fu a lungo autore e ispiratore del celebre giornale satirico Canard Enchaîné, lavorò a lungo – tra il 1957 e il 1969 – per i servizi segreti cecoslovacchi, pubblicando sul giornale informazioni agli ordini di questi ultimi e trasmettendo loro oltre “trecento note”.
domenica 20 Febbraio 2022
La Gazzetta del Mezzogiorno, che era il più radicato quotidiano della Puglia e della Basilicata, è tornato ieri in edicola, dopo un’assenza di quasi sette mesi. Aveva smesso di essere pubblicata a inizio agosto 2021 dopo 133 anni, gli ultimi tre passati in una profonda crisi, fra i fallimenti delle società editrici, mancate cessioni e dispute legali. A ottobre il Tribunale di Bari aveva omologato la proposta di concordato (con assunzione dei debiti e progetto di rilancio) della Ecologica Spa, un’azienda con sede a Taranto che si occupa principalmente di smaltimento rifiuti.
Da oggi, secondo giorno in edicola, la Gazzetta del Mezzogiorno uscirà in abbinamento con la Gazzetta dello Sport, al prezzo di 1,50 euro per i due giornali. L’iniziativa di lancio in collaborazione – che viene chiamata in gergo “panino” – col quotidiano sportivo del gruppo RCS dovrebbe durare per qualche mese e ha molti precedenti nell’editoria locale e non solo. La scelta ha però causato proteste e comunicati sindacali da parte del Corriere del Mezzogiorno, la testata che dal 1997 raccoglie le cinque sezioni locali del Corriere della Sera nelle regioni meridionali, e che è a sua volta del gruppo RCS. La collaborazione fra le due “Gazzette”, dice il comunicato sindacale, può “nuocere gravemente al Corriere della Sera e al Corriere del Mezzogiorno che vi è contenuto all’interno, in una logica perversa di cannibalismo aziendale interno al medesimo Gruppo editoriale”. L’editore ha risposto minimizzando i rischi e confermando l’iniziativa. Corriere e Gazzetta del Mezzogiorno (quest’ultima prima della chiusura dichiarava 8 mila copie vendute) si trovano in un mercato ad alta concorrenza, dove operano anche la Repubblica di Bari, il Quotidiano del Sud, il Nuovo Quotidiano di Puglia e l’Edicola del Sud.
domenica 20 Febbraio 2022
Il giudice ha rigettato la richiesta di danni per diffamazione di Sarah Palin nei confronti del New York Times, la storia che avevamo riassunto domenica scorsa e che abbiamo raccontato con maggior completezza sul Post.
“Per avere successo la denuncia di Palin – che ha ritenuto insufficiente la correzione rispetto al danno comunque subito – avrebbe dovuto dimostrare che l’errore non fosse stato compiuto per disattenzione, come sostenuto dal quotidiano, ma fosse frutto di “effettiva malafede” (“actual malice”).
È una discriminante prevista dalla legislazione americana, una delle più garantiste al mondo riguardo alla libertà di stampa, introdotta da una sentenza della Corte Suprema del 1964, in un caso relativo sempre al New York Times (New York Times v. Sullivan). L’accusa doveva dimostrare che il giornale aveva pubblicato informazioni pur essendo pienamente cosciente della loro falsità, o con un totale disinteresse riguardo alla loro veridicità: in questo dedicando parte dei suoi argomenti all’inclinazione politica del giornale e a presunti pregiudizi contro Palin. Per questo gli avvocati di Palin hanno cercato di dimostrare che Bennet fosse “prevenuto” nei suoi confronti e hanno chiesto di ricostruire tutti i passaggi che avevano portato alla pubblicazione dell’editoriale. Lo stesso giudice Rakoff, nel rifiutare gli argomenti contro il giornale, ha sottolineato la gravità dell’errore e ha detto di non essersi stupito della scelta di Palin di fare causa”.
Successivamente la stessa giuria ha convenuto con la decisione del giudice: che si era pronunciato in modo anomalo mentre la giuria era ancora ritirata per deliberare. Alcuni dei giurati erano quindi stati informati della sua decisione. Secondo alcuni commenti questo potrebbe essere un appiglio solido per un ricorso di Palin contro la sentenza, e il dibattito sul fatto che la questione non si chiuderà facilmente è molto vivace.
domenica 20 Febbraio 2022
Una importante sentenza della Corte Suprema britannica sulla libertà d’espressione e sulla privacy permette di spiegare come la consuetudine italiana di “sbattere il mostro in prima pagina” (era il titolo di questo precoce film di Marco Bellocchio) non sia una condizione scontata. Nel Regno Unito, infatti, è vietato divulgare i nomi delle persone sottoposte a indagine prima che vengano formalmente incriminate o arrestate: o meglio, si considera che nella stragrande maggioranza dei casi, il diritto alla privacy di chi sia soltanto indagato prevalga sul diritto all’informazione da parte dei media, per via dell’indiscutibile e irrimediabile “danno alla reputazione” che questo genere di notizie comporta per le persone coinvolte.
L’attenzione dei tribunali a queste tutele è ulteriormente cresciuta nell’ultimo decennio, dopo lo scandalo che ha rivelato le pratiche spregevoli e illegali di alcuni tabloid per ottenere informazioni private su celebrities e privati cittadini. E il caso più famoso di questa severità è quello del cantante Cliff Richard, il cui nome fu diffuso da BBC dopo una perquisizione a casa sua (trasmessa in tv) nell’ambito di un’inchiesta per cui non fu poi mai perseguito, e da cui venne ritenuto estraneo ai fatti: Richard ottenne le scuse di BBC e della polizia per la diffusione della notizia, e diverse centinaia di migliaia di sterline di risarcimento (a BBC costò oltre due milioni comprese le spese legali).
Mercoledì la Corte Suprema ha rigettato un ricorso dell’agenzia di stampa Bloomberg che era stata condannata per aver citato il nome di un dirigente di una società americana coinvolto in un’inchiesta per corruzione, che non fu poi incriminato: il ricorso sosteneva che si trattasse di un caso in cui l’informazione sull’indagine avesse una pubblica utilità maggiore della tutela della privacy dell’interessato. Le critiche alla sentenza hanno aggiunto che ci sono casi in cui le notizie pubblicate su un indagato possono suggerire a persone con maggiori informazioni di condividerle con le indagini. La sentenza ha però confermato che il “danno alla reputazione” di una persona su cui non ci siano elementi per la formalizzazione di un’accusa non possa essere accettato.
Secondo il Guardian in seguito alle critiche alla sentenza il governo starebbe considerando una revisione delle norme in senso meno restrittivo per il diritto di cronaca.
domenica 20 Febbraio 2022
Un ringraziamento lo dobbiamo da un pezzo ai molti che scrivono al Post manifestando gentili complimenti e apprezzamenti per Charlie, e a chi ci aiuta con informazioni e suggerimenti, e lo mettiamo qui come prologo al prologo: la newsletter è riuscita in un anno e mezzo a diventare interessante sia per chi si occupa di giornalismo e informazione, sia per semplici lettori e utenti che trovano utile capirne meglio i meccanismi.
Il prologo vero ne approfitta per rispondere anche ad alcune segnalazioni che riceviamo e che riguardano singolari contenuti dei giornali, a volte interessanti o a volte discutibili: ma – salvo occasionali eccezioni peculiari – Charlie è una newsletter interessata a capire perché le cose succedono più che a dedicarsi alle singole cose che succedono. Per questo parliamo spesso di questioni apparentemente meno divertenti come modelli di business, esperimenti, strategie commerciali, tendenze e conflitti di interessi. E soldi. Perché sono le questioni che spiegano come mai leggiamo le cose che leggiamo, e perché orientano scelte, fortune e sfortune dei prodotti giornalistici assai di più dei loro “progetti editoriali”. Come ha scritto Matt Yglesias (ex giornalista di Atlantic, Slate e Vox) nella sua newsletter, parlando dei problemi odierni di Slate, che fu un rivoluzionario e precoce giornale online di gran qualità: “odio quando i critici sostengono che i problemi economici di un sito non sono che le conseguenze dei loro limiti editoriali, quindi lo dico chiaramente: gli affari di un sacco di siti che io ritengo spazzatura sembrano andare benissimo, e penso che progetti della dimensione di Slate avrebbero difficoltà a prescindere dalla qualità del prodotto”.
Fare “un buon giornale” in termini di contenuti c’entra solo in parte, e a volte per niente, con la sostenibilità e il successo di quel giornale.
Fine di questo prologo.
domenica 13 Febbraio 2022
La questione della scarsa trasparenza di molti giornali rispetto a quali dei propri articoli siano una scelta della redazione e quali siano incentivati da ragioni di ricavo pubblicitario o di interesse di altro genere per il giornale è spesso trattata su Charlie: è piuttosto decisiva, capirete, nel conservare la fiducia dei lettori necessaria – non bastassero le ragioni etiche – a ottenerne i ricavi indispensabili a sostenere i giornali stessi. Il compromesso creato in questi anni per mantenere parte dei ricavi pubblicitari senza ingannare i lettori è quello dei formati – soprattutto digitali – che sono stati chiamati di “native advertising”, “branded content”, “articoli sponsorizzati” o con altri nomi: ovvero articoli e contenuti giornalistici indicati con chiarezza nella loro natura pagata dall’esterno.
Il problema, che è stato notato già da tempo, è che pure le più vistose e benintenzionate indicazioni di questo genere spesso non sono sufficienti a far percepire a gran parte dei lettori la natura degli articoli. La conseguenza non è soltanto che quindi si mantiene il problema che chi legge attribuisce all’autorevole autonomia del giornale l’articolo che legge e la scelta di pubblicarlo, ma anche un’altra, come ha raccontato un articolo di pochi giorni fa sul sito The conversation: ovvero che laddove i lettori percepiscono la bassa qualità o il tono promozionale dei suddetti articoli, li attribuiscono al giornale stesso, e alla sua redazione, e questo contribuisce alla loro perdita di fiducia nella sua stessa qualità e autorevolezza. Ragione di più per distinguere chiaramente i contenuti promozionali da quelli giornalistici indipendenti, e per farlo con tripla evidenza.
Fine di questo prologo.
domenica 13 Febbraio 2022
Avevamo scritto un mese fa dei timidi tentativi di alcuni siti di news italiani di raggiungere pubblici maggiori pubblicando articoli anche in inglese: i risultati fino a oggi sono stati poco soddisfacenti e i costi relativi insostenibili, quindi chi lo fa ancora si affida spesso a meccanismi di traduzione automatica, con frequenti incidenti. Quello che è capitato mercoledì al sito dell’Unione Sarda ne è un esempio, con effetto comico moltiplicato dalla famigerata tendenza dei titolisti italiani di usare l’espressione “è giallo”.
“Yellow on the fate of the French virologist Luc Montagnier, Nobel Prize in medicine in 2008 who became a guru of no vax at the time of the Covid pandemic”.
domenica 13 Febbraio 2022
Anche Jovanotti si è lamentato su Instagram della pratica dei maggiori quotidiani italiani di usare nei titoli dei virgolettati inventati e non corrispondenti né alle parole né al senso delle cose effettivamente dette: a proposito di una sua intervista alla Stampa.
(ricordiamo che i titoli degli articoli vengono composti in redazione da chi lavora alla “cucina” del giornale – ovvero la sua progettazione, confezione, revisione, impaginazione – e non da chi scrive gli articoli)
domenica 13 Febbraio 2022
È uscito il primo numero del settimanale Oggi diretto da Carlo Verdelli, giornalista col più ricco e vario curriculum di direzioni e vicedirezioni in Italia (Sette, Corriere della Sera, Vanity Fair, Gazzetta dello Sport, informazione Rai, Repubblica) che un anno fa era stato licenziato in modi molto criticati dalla nuova proprietà del gruppo GEDI.
Oggi è un settimanale di lunga tradizione (nacque nel 1939) pubblicato da sempre dall’editore Rizzoli (oggi RCS, l’editore del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport) e con un’inclinazione “popolare” ma arricchita da temi e autori qualificati e importanti (a novembre aveva una diffusione di 157mila copie). Approccio in grande sintonia con quello di Verdelli, che ha sempre introdotto qualità giornalistica nei prodotti popolari che ha diretto, e attenzioni “larghe” nei progetti giornalistici: già molti anni fa raccontava che una sua ambizione fosse dirigere un Paris Match italiano, riferendosi all’illustre rotocalco popolare francese. I tempi sono cambiati completamente, ma già dal primo numero Verdelli sembra voler riprodurre l’impostazione che fece le fortune di Vanity Fair italiano, che sotto la sua direzione all’inizio del millennio divenne un ibrido tra un “femminile” e un newsmagazine. Tra gli autori ospiti ci sono Ferruccio De Bortoli, Liliana Segre, Stefano Bartezzaghi, Nino Cartabellotta, Fabio Fazio, Francesca Mannocchi, e tra gli autori degli articoli diversi giornalisti del Corriere della Sera.
domenica 13 Febbraio 2022
Sempre il sito britannico PressGazette ha messo in ordine i numeri della diffusione delle edizioni cartacee dei quotidiani americani: mostrando che il più venduto rimane il Wall Street Journal, seguito dal New York Times e da USA Today, che ha ridotto a molto poco il suo vantaggio sul Washington Post. Sono i quattro quotidiani considerati “nazionali”: seguono i primi dei “locali”, New York Post, Los Angeles Times e Minneapolis StarTribune. I dati sono significativi nel mostrare il declino complessivo per tutte le testate (-30% in due anni, solo il New York Post ha recuperato qualcosa rispetto al disastroso 2020).

domenica 13 Febbraio 2022
Da lunedì anche la Stampa replicherà gli aumenti del prezzo in edicola introdotti la settimana scorsa dall’editore GEDI per il suo altro quotidiano maggiore, Repubblica.
domenica 13 Febbraio 2022
La grande società di media, editoria digitale ed entertainment che si chiama IAC (posseduta da Barry Diller, uno dei più ricchi e noti imprenditori ed editori americani, che ha 79 anni), che aveva comprato l’azienda editoriale Meredith e le sue testate quattro mesi fa, ha deciso che dismetterà la stampa su carta di alcuni noti periodici statunitensi: tra questi la rivista di moda InStyle e il settimanale (da tre anni divenuto mensile) Entertainment Weekly, quest’ultimo uno dei più importanti periodici dedicati allo spettacolo (una specie di Sorrisi e Canzoni americano, fatte le dovute proporzioni tra l’offerta di spettacolo, musica e cultura pop americana e quella italiana). 200 posti di lavoro saranno eliminati.
domenica 13 Febbraio 2022
Le “accoppiate” di inserzioni pubblicitarie trasparenti e contenuti giornalistici dedicati all’inserzionista sono ormai legittimate estesamente sui quotidiani maggiori: come diciamo spesso, sono violazioni di etiche e di regole scritte che si spiegano con la vulnerabilità economica dei giornali e col crescente potere che le concessionarie di pubblicità hanno nelle scelte redazionali (l’esempio più palese è la assoluta mancanza di indicazioni della natura promozionale delle sezioni che Repubblica e Corriere della Sera chiamano “Le Guide” o “Eventi”). Questa settimana tra i casi più vistosi ci sono state le interviste di sabato all’amministratore delegato della banca Illimity a poche pagine di distanza dalle inserzioni pubblicitarie della stessa banca su Corriere della Sera e Sole 24 Ore (il gruppo GEDI ha scelto di intervistarlo sulla Stampa pubblicando le inserzioni su Repubblica): inserzioni e interviste dedicate allo stesso prodotto. Giovedì il Corriere della Sera aveva celebrato nelle pagine dell’Economia i risultati della banca Fineco, assiduo inserzionista negli stessi giorni.
domenica 13 Febbraio 2022
Il direttore di Libero ha pubblicato in prima pagina le ragioni di una scelta piuttosto inconsueta nei quotidiani italiani, che invece abbiamo visto molto nella stampa anglosassone negli ultimi anni, come risultato di una maggiore attenzione e severità verso i comportamenti e le dichiarazioni dei propri giornalisti sui social network e fuori dai rispettivi giornali. Ovvero la decisione di interrompere un rapporto di collaborazione e di annunciarlo ai lettori.
La ragione, per Libero, è stato un messaggio su Twitter di un suo giornalista che alludeva alle note immagini delle “bare di Bergamo” all’inizio della pandemia, nel 2020, come se si fosse trattato di un’invenzione.
“È vero che i contenuti dei social personali dei giornalisti non ricadono sotto il controllo del direttore, ci mancherebbe altro. Ma è anche vero che il giornalista, con la sua faccia e la sua firma, è un pezzo dell’immagine del giornale su cui scrive, della sua autorevolezza e della sua credibilità. Per cui non posso permettere che neppure per un secondo e neppure per sbaglio e nemmeno per un fraintendimento tra social privati e aziendali un nostro lettore o chiunque altro possa essere sfiorato dal dubbio che qui a Libero si pensi che quel convoglio di camion sia stata una cinica messa in scena […] Per questo ho chiesto all’azienda la sua immediata sospensione, saranno gli avvocati a decidere il resto ma nessuna carta bollata potrà assemblare i cocci”.
domenica 13 Febbraio 2022
Un’altra storia delicata che sta circolando molto nel mondo dei media americani riguarda ancora degli errori compiuti diversi anni fa e oggi arrivati al pettine: in questo caso non in un tribunale, ma nel podcast di una giornalista, Vicky Ward, che ha raccontato che una sua precoce traccia (era il 2003) sugli abusi criminali di Jeffrey Epstein fu accantonata dall’allora direttore di Vanity Fair Graydon Carter, che scelse di non pubblicare le prime accuse di molestie sessuali contro Epstein raccolte allora da Ward. Secondo Ward una combinazione di complicità maschile tra uomini potenti e timore delle conseguenze spinse Carter (un’istituzione nella storia di Vanity Fair e della mondanità statunitense, direttore dal 1992 al 2017) a non dare seguito alle ipotesi di Ward, che aveva parlato con due vittime di Epstein.
Dopo la ricostruzione di Ward nel suo podcast, il New Yorker (settimanale che appartiene allo stesso gruppo editoriale di Vanity Fair, Condé Nast) ha dedicato un articolo a indagare e verificare le accuse di Ward contro Carter, presentandole come confuse e contraddittorie e di fatto assolvendo l’ex direttore e indicando Ward come una giornalista sulla cui affidabilità c’erano molti dubbi all’interno del giornale. Ward ha risposto nella sua newsletter con un lungo testo indignato (che allude ancora a complicità maschili, ma anche a complicità aziendali) che ha riportato molte delle conversazioni avute tra lei, Carter ed Epstein intorno alle accuse poi taciute nel suo articolo del 2003. E una nuova newsletter, venerdì, che sostiene che la ricostruzione del New Yorker finisca in realtà per darle ragione.
A margine della sostanza del contendere, sono interessanti le riflessioni di Ward sulla difficoltà di ricostruire con certezza ed esattezza i dettagli di cose avvenute quasi vent’anni fa, e di come gli umanissimi dubbi della memoria possano essere usati contro chi li confessa.
domenica 13 Febbraio 2022
È in corso un interessante processo contro il New York Times per una denuncia presentata da Sarah Palin, ex candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti per il partito Repubblicano. Nel merito c’è accordo tra querelante e querelato: in un editoriale del 2017 il New York Times accusò Palin di avere contribuito a incentivare azioni terroristiche violente contro i membri del parlamento (compreso l’attentato del 2011 contro Gabrielle Giffords), attraverso sue campagne e messaggi descritti in modo errato nell’articolo. Dopo le proteste il giornale corresse l’editoriale, segnalando l’errore in coda, ma Palin presentò lo stesso una denuncia per diffamazione. Durante le udienze di questi giorni stanno emergendo molte questioni significative sul funzionamento dei giornali: la principale è la contraddizione quotidiana tra i tempi immediati di pubblicazione e la necessità di verifiche attente. In quel caso l’editoriale seguiva un nuovo attentato e il giornale ritenne che non potesse essere rimandato, e il difetto di memoria del suo autore non ebbe il tempo di essere verificato e corretto.
domenica 13 Febbraio 2022
La newsletter Ellissi di Valerio Bassan ha ripreso una questione accennata nell’intervista della settimana precedente col direttore del Post e ha approfondito le considerazioni su fragilità e ingannevolezza dei numeri degli abbonamenti digitali ai giornali (citando un’altrettanto utile e chiara analisi della newsletter di Lelio Simi, altro esperto di media e innovazione).
“Per misurare il successo di un’azienda subscription-based
Il numero di subscriber attivi totali;
Il ricavo medio per utente pagante o per abbonato (ARPPU/ARPS), di cui ti ho parlato sopra;
Il customer lifetime value (CLTV), ovvero il valore generato dall’utente nel corso della sua lifetime, del suo ciclo di vita come cliente dell’azienda.
Di solito quando un giornale o una piattaforma annunciano il proprio numero di subscriber, quasi mai rivelano la propria ARPPU, il che rende pressoché impossibile capire il reale valore di ciascun abbonato – pardon, abbonamento – attivo.
Questo rende arduo capire anche chi tra Netflix, Amazon, Disney e compagnia stia vincendo la sanguinosa ‘guerra dello streaming’.
Il numero totale dei subscriber, dunque, è ancora un indicatore dello stato di salute di una media company o di una piattaforma video?
Sì, ma omette un pezzo fondamentale della storia, visto che un +25% di abbonati non corrisponde mai a un +25% di profitti.
Se il numero dei subscriber attivi è il termometro posto all’ingresso del supermercato, l’ARPPU è il saturimetro: ci dice quanto ossigeno c’è in un dato momento nel sangue di una azienda.
Per questa ragione è di gran lunga il dato più importante: non solo perché ci aiuta nella diagnosi, ma anche perché ci permette di prevedere meglio cosa succederà in futuro”.
domenica 13 Febbraio 2022
La nuova direttrice del Washington Post Sally Buzbee ha annunciato con una lettera interna ma resa pubblica che nel 2022 il giornale assumerà 70 persone nella redazione più altri dipendenti per ruoli nel marketing. Nella lettera indica esplicitamente alcune aree su cui il giornale vorrà investire di più, ovvero “salute e benessere”, ambiente e clima, tecnologia; e anche maggiori risorse e attenzioni fuori da Washington, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.
Il Washington Post è in un’ambiziosa fase di crescita da alcuni anni, grazie agli investimenti del suo editore Jeff Bezos (che lo ha acquistato nel 2013) e a una lungimirante attenzione sugli sviluppi e l’innovazione nell’informazione e nei suoi modelli di business.
domenica 13 Febbraio 2022
I fronti di contesa maggiori in tutto il mondo sono due, ricordiamo: uno è quello che riguarda l’uso dei contenuti dei siti di news da parte di Google sui suoi motori di ricerca e servizi; l’altro è quello dell’essersi Google impadronito (al pari di Facebook) di una quota prevalente degli investimenti pubblicitari, sottraendoli così alle aziende giornalistiche e alle loro concessionarie di pubblicità. E controllandone funzionamenti e meccanismi a proprio favore.
Sulla prima questione il combattimento è stato per ora risolto grazie alla scelta di Google di pagare i maggiori gruppi editoriali mondiali (ma anche molti minori) per la loro rinuncia a pretese maggiori: soprattutto attraverso il progetto Showcase.
La seconda questione ha a sua volta due fronti aperti: uno è quello generale del potere sproporzionato di Google nel convogliare verso di sé investimenti e ricavi, su cui gli editori in molti paesi stanno aprendo confronti legali in nome soprattutto di violazioni della concorrenza; l’altro è il coltello dalla parte del manico che Google ha nel controllo dei dati degli utenti attraverso il potere e la diffusione del suo browser Chrome, e delle tecnologie relative ai cookie che raccolgono quei dati. Su queste tecnologie Chrome sta introducendo limitazioni che spaventano molto i business online basati sulla pubblicità e anche molte aziende giornalistiche.
Nei giorni scorsi sono successe due cose nuove, aggregate insieme in questo articolo del sito PressGazette: un consorzio di editori di giornali europei ha annunciato di voler denunciare Google alla Commissione Europea per pratiche contro la libera concorrenza, e Google ha acconsentito a sottoporre all’approvazione dell’autorità britannica sulla concorrenza le novità che introdurrà sui cookie.
domenica 13 Febbraio 2022
Sono stati pubblicati i dati ADS di diffusione dei quotidiani a dicembre. Ricordiamo che la “diffusione” è un dato (fornito dalle testate e verificato a campione da ADS) che aggrega le copie dei giornali che raggiungono i lettori in modi molto diversi, grossomodo divisibili in queste categorie:
copie pagate, o scontate, o gratuite;
copie in abbonamento, o in vendita singola;
copie cartacee, o digitali;
copie acquistate da singoli lettori, o da “terzi” (aziende, istituzioni, organizzazioni) in quantità maggiori.
Il totale di queste copie dà una cifra complessiva che è quella usata nei pratici e chiari schemi di sintesi che pubblica il giornale specializzato Prima Comunicazione, e che trovate qui, da cui si vedono questo mese piccoli inconsueti recuperi rispetto al mese precedente da parte di alcuni quotidiani nazionali (su cui possono influire anche variabili occasionali, come il numero maggiore di giorni festivi): ma si fa notare solo il calo maggiore del Sole 24 Ore.
Più chiaro e omogeneo è il quadro se si guarda il confronto con l’anno precedente, che ancora una volta mostra solo perdite per quasi tutti salvo un piccolo guadagno per il Messaggero (che però era andato molto male a dicembre 2020), e di nuovo con la vistosissima eccezione della Verità che è cresciuta del 18% in un anno (staccando ormai di molto il suo rivale Libero e superando il Giornale, ma il dato è ancora discutibile, come diciamo sotto). A perdere di più sono ancora i quotidiani GEDI, ma anche Avvenire e il Quotidiano Nazionale (la testata che ha le tre declinazioni locali della Nazione, del Resto del Carlino e del Giorno), e perde ben il 27% delle copie il Giornale. Anche il Fatto ha iniziato a ridimensionare i successi del 2020. Tutte tendenze simili a quelle del mese passato.
Come sempre vale la pena considerare un altro dato più indicativo della generica “diffusione” che abbiamo descritto qui sopra: lo si ottiene sottraendo da questi numeri quelli delle copie gratuite o scontate oltre il 70% e quelle acquistate da “terzi”, per avere un risultato relativo alla scelta attiva dei singoli lettori di acquistare il giornale. Ottenendo questi numeri, e il risultato migliore per il Corriere della Sera, rispetto a novembre:
Corriere della Sera 186.512
Repubblica 136.121
Stampa 88.568
Resto del Carlino 66.287
Sole 24 Ore 66.177
Messaggero 56.790
Fatto 47.583
Nazione 44.447
Gazzettino 39.361
Giornale 33.317
Notevoli sono il “sorpasso” del Resto del Carlino sul Sole 24 Ore, e il distacco mantenuto dal Giornale sulla Verità, che nel suo totale dichiara una quota assai maggiore di copie digitali scontatissime.
Altri giornali nazionali:
Verità 30.625
Libero 20.402
Avvenire 16.634
Manifesto 12.836
ItaliaOggi 9.743
(il Foglio e Domani non sono certificati da ADS)
Quanto invece alle altre copie comunicate dalle testate come “diffusione”, le cose notevoli – che spiegano le discrepanze tra i due conti – sono:
– Corriere e Sole 24 Ore hanno una quota molto alta di copie digitali scontate oltre il 70% del prezzo: 45mila e 35mila, dietro di loro c’è Repubblica con 10mila.
– il numero di copie cartacee dichiarate dal Fatto è ormai stabilmente inferiore a quello delle copie digitali (per queste ultime il Fatto è terzo dopo Corriere e Repubblica, se si tolgono quelle scontatissime).
– il Manifesto rimane ottavo per copie digitali (ne indica più del Giornale e della Gazzetta dello Sport), pur essendo 46mo nel totale.
– Avvenire comunica ben 62mila copie “multiple pagate da terzi”, attribuibili in buona parte alla rete delle strutture cattoliche.
– anche il Sole 24 Ore ne indica una quota eccezionale, 21mila, in gran parte digitali.
– delle 22mila copie dichiarate da ItaliaOggi, più della metà sono copie “promozionali e omaggio” o con sconti superiori al 70%.
– gli altri quotidiani che dichiarano più copie omaggio sono ancora Avvenire, Messaggero, S
– i giornali che conteggiano oltre 5mila copie “digitali abbinate agli abbonamenti cartacei” (ovvero duplicati nel conteggio totale) sono Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Avvenire.
– la Stampa indica un numero molto rotondo di “copie digitali individuali” a prezzo superiore al 30% (10.000) frutto probabilmente di un’approssimazione occasionale.
Ricordiamo che per tutte le testate sono considerate copie digitali vendute anche tutte quelle che vengono vendute a un prezzo scontato fino al 70%.
(Avvenire, Manifesto, Libero e ItaliaOggi sono tra i quotidiani che ricevono contributi pubblici diretti)
domenica 13 Febbraio 2022
È arrivata anche sui quotidiani italiani una storia di truffe americane che ha un riflesso anche su dei meccanismi contemporanei e discussi di alcuni siti di news. La storia è l’arresto con l’accusa di avere progettato una truffa legata ai bitcoin di una donna con eclettiche attività, tra cui quella di “collaboratrice” del sito di Forbes, la rivista finanziaria di grande fama internazionale. Fama che ormai è molto immeritata, come ha spiegato un articolo sul sito NiemanLab, perché Forbes ha perso grande parte del suo credito diventando il contenitore di molte cose di bassa qualità e poche garanzie di affidabilità, soprattutto per avere scelto anni fa di offrire spazi gratuiti online a migliaia di autori diversi, non retribuiti e con nessun controllo su ciò che pubblicano. Questa opportunità, che Forbes usa per ragioni di numeri e traffico, ha creato un grande mercato di articoli promozionali che gli autori vendono a chi desideri poter dire o scrivere di essere stato “citato da Forbes” per la propria azienda, il proprio nome o il proprio prodotto. La persona arrestata era uno di questi autori.
L’articolo di NiemanLab ricorda come questo meccanismo sia stato sfruttato per primo e con grande dispiego di “blogger” soprattutto dallo Huffington Post, che però ha eliminato quattro anni fa tutti i blog non retribuiti. Lo HuffPost italiano oggi ne ospita un centinaio, ma sono quasi tutti assegnati ad autori in qualche modo qualificati o noti (il Post adottò nei suoi primi anni una scelta simile per un numero molto più esiguo di autori scelti e verificati, che oggi sono quasi tutti retribuiti).
domenica 6 Febbraio 2022
Su Charlie ci ripetiamo spesso a proposito dell’inefficacia dei contributi pubblici diretti ai giornali: che si definiscono destinati al “pluralismo” e in questo senso aumentano certamente la pluralità di testate esistenti, ma inevitabilmente non possono valutare la qualità del servizio informativo di quelle testate, che è ciò che sarebbe nell’interesse della comunità e dello Stato. Il pluralismo senza una qualità di informazione serve quindi a poco: e quei soldi finiscono per sovvenzionare una buona informazione solo casualmente e parzialmente, e altrettanto casualmente ne sovvenzionano di cattiva.
Ma c’è un altro aspetto “distorsivo” nell’erogazione dei contributi diretti a cui abbiamo accennato, e che in queste settimane ha un esempio palese e comprensibile. Dal momento che i criteri per accedere ai contributi possono essere in buona parte soddisfatti attraverso la creazione di strutture formali (cooperative, soprattutto) che non cambiano la natura societaria delle aziende giornalistiche, la differenza di condizione tra alcune testate che vengono finanziate e altre che invece no è inesistente, e questo crea una discriminazione di fatto alla libera concorrenza. Prendete la vivace competizione che si sta sviluppando tra i quotidiani italiani di destra, con Libero che cerca di rincorrere i recenti successi della Verità, e un gran lavoro di entrambi nel convincere gli inserzionisti a preferire l’uno o l’altro: bene, in questa competizione lo Stato – e le persone che pagano le tasse, e il canone Rai – dà a Libero cinque milioni e mezzo di euro che la Verità non riceve. E lo stesso si può dire degli altri giornali che si possono permettere grazie ai contributi pubblici investimenti sui contenuti o sulla promozione, sottraendo lettori a chi quei contributi non li riceve (in Trentino-Alto Adige c’è un quasi monopolio dell’informazione, ricco e potente: ed è ampiamente sovvenzionato dallo Stato). Se è vero, come è vero, che tra le testate beneficiarie ce ne sono che rispondono correttamente ai criteri richiesti, o che producono informazione utile alla comunità, e se è vero, come è vero, che è purtroppo illusorio pensare di azzerare il groviglio di interessi e spartizioni politiche e clientelari che è alla base della attuale distribuzione, bisognerebbe almeno ridurre il peso – assai maggiore – dei suoi effetti negativi: stabilendo per esempio un limite, tra l’1 e il 2% del totale, alle contribuzioni per ciascuna testata beneficiata.
Fine di questo prologo.
domenica 6 Febbraio 2022
Con un lapsus così freudiano dall’aver fatto sospettare molti lettori di Charlie che ci fosse una intenzione deliberata di fare gli spiritosi (grazie, ci sopravvalutate), la settimana scorsa questa newsletter ha titolato la sua ultima notizia “Gli errori capitano” e ha poi riferito di un incidente al “Giornale di Vincenza”. Un involontario eccesso di solidarietà coi colleghi vicentini di cui ci scusiamo col resto della penisola.
domenica 6 Febbraio 2022
La newsletter Ellissi, dedicata “all’intersezione tra media, business, marketing e strategia digitale”, ha intervistato il direttore del Post Luca Sofri, su bilanci degli ultimi anni e sviluppi dei prossimi.
“è la qualità del contenuto a fare la differenza, non il formato. Morning è un successo più per la bravura di Francesco [Costa, ndr] che per il fatto di essere un podcast in sé. La strategia sarà replicabile, quindi, solo se avremo delle buone idee su cui lavorare. La scelta del formato – newsletter? Podcast? Qualcos’altro? – per noi avviene a valle e non a monte”.
domenica 6 Febbraio 2022
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato un rapporto sui “bilanci dell’editoria quotidiana e periodica” per gli anni 2016-2020. È un documento interessante che si può leggere qui, e che indica tra le altre cose che:
– “l’andamento aggregato dei ricavi delle principali imprese operanti nel settore dell’editoria quotidiana e periodica, registra una riduzione complessiva del 27,2% passando 4,51 a 3,28 mld. di €, con una contrazione media annua del 7,6%. I ricavi domestici mostrano una flessione del 14,0% riducendosi, corrispondentemente da 3,43 a 2,95 mld. di €.”
– “i proventi editoriali rappresentano il 40,1%, seguiti dai ricavi pubblicitari per il 29,2% e da quelli attribuibili all’editoria libraria che pesano per il 14,4%. Nel quinquennio considerato, gli introiti pubblicitari sono quelli che hanno sofferto maggiormente della crisi (-30,1% nel periodo), mentre l’andamento dei proventi da editoria libraria sono risultati maggiormente stabili, con una flessione limitata al 6%. Va tuttavia sottolineato che i tre comparti principali (ricavi editoriali, ricavi pubblicitari e ricavi da editoria libraria) registrano nell’ultimo anno una perdita complessiva pari al 13,1%”.
– “Nel periodo considerato, gli addetti delle principali imprese del settore si sono ridotti complessivamente di oltre 2.000 unità (-11,4%), passando da un totale di 13.000 addetti nel 2016 a 11.000 nel 2020. Nel 2020, la flessione su base annua, circa 400 unità, è attribuibile principalmente alle riorganizzazioni aziendali poste in essere dai gruppi GEDI e Mondadori”.
domenica 6 Febbraio 2022
Per quello che valgono – in termini di notizia – queste continue esibizioni di numeri di abbonati da parte delle stesse testate, il New York Times ha annunciato di avere raggiunto il numero di dieci milioni, aiutato dall’acquisizione del sito The Athletic.
domenica 6 Febbraio 2022
Ai vari errori e incidenti ordinari che capitano nel lavoro di una redazione, internet ne ha aggiunto uno, frutto delle disintermediazioni e della peraltro preziosa autonomia dei giornalisti: la pubblicazione-per-sbaglio. Basta un clic e articoli non ancora pronti o non controllati finiscono online e anche nei pochi secondi prima che si possa rimediare vengono letti da migliaia di persone. Oppure sono articoli preparati per un’eventualità possibile (primi tra tutti i necrologi di persone famose e malate o anziane), che diventano come un’arma a cui è tolta la sicura. A volte sono cose indolori, altre volte il risultato genera maggiori imbarazzi e maggiori agitazioni tra gli interessati, come con il sito di Bloomberg che sabato ha pubblicato queste scuse:
“Prepariamo titoli per molti scenari e il titolo “La Russia invade l’Ucraina” è stato pubblicato inavvertitamente intorno alle 16 di oggi sul nostro sito. Ci dispiace profondamente dell’errore. Il titolo è stato rimosso e ne stiamo indagando la causa”.
domenica 6 Febbraio 2022
Valigia Blu ha raggiunto ancora, anche quest’anno, l’obiettivo che si era data di raccolta di contributi da parte dei suoi lettori. Valigia Blu è un sito di news nato come emanazione del Festival del Giornalismo di Perugia ma che da anni si è preso uno spazio e una visibilità online raccogliendo apprezzamenti legati soprattutto al lavoro di verifica e “debunking” delle notizie false, alle riflessioni sull’informazione e al “giornalismo esplicativo”. Si sostiene con i contributi dei lettori, promuovendo ogni anno campagne puntuali di contributo.
domenica 6 Febbraio 2022
Proseguendo l’investimento sui giochi che ha dato straordinari risultati nel coinvolgimento di nuovi abbonati, il New York Times ha comprato Wordle, il gioco online con le parole che aveva avuto un grande successo “virale” nelle passate settimane.
domenica 6 Febbraio 2022
Enrico Mentana, che ha creato il giornale online Open tre anni fa, tenendo una posizione di “fondatore” sul giornale che non ha un direttore da quasi un anno, ha comunicato sui social network che Open – da cui erano andati via alcuni giornalisti – ne assumerà quattro nuovi, invitando a mandare curriculum fino al venerdì passato. Intanto il mese scorso David Puente è diventato vicedirettore.
domenica 6 Febbraio 2022
Dopo i già delicati e mal digeriti aumenti del prezzo nel weekend, Repubblica ha comunicato che il giornale costerà di più anche nei giorni feriali: da 1,50 a 1,70 euro.
domenica 6 Febbraio 2022
Negli Stati Uniti continua il dibattito sulla necessità di sostenere i giornali “locali” (che ricordiamo negli Stati Uniti essere quasi tutti) con degli interventi pubblici e sui rischi connessi. Tra gli sviluppi più recenti c’è l’intervenuto timore che le sovvenzioni sia pubbliche che di grandi fondazioni private si indirizzino in maniera conservatrice (“salvare” i giornali esistenti piuttosto che incentivarne nuovi) verso città e aree con comunità abituate a essere più servite dall’informazione, piuttosto che verso quelle già tradizionalmente poco informate. Differenza che si tradurrebbe in informazione di maggior qualità garantita alle città con un elettorato più progressista e Democratico, e di cui resterebbero private le zone a elettorato più di destra o trumpiano, abituate a essere informate solo dai network televisivi e da Fox in particolare.
Un’altra notizia interessante è una proposta di legge californiana per contributi che siano basati su un esame di progetti di informazione di servizio pubblico, e che uno dei criteri principali sia che i giornali sovvenzionati garantiscano accessibilità a tutti, senza limiti o paywall, e anche che i progetti giornalistici sovvenzionati siano liberi da diritti in modo che possano essere condivisi e diffusi il più possibile. Scelta che attenuerebbe il rischio, di cui si è parlato molto, che i beneficiari dell’informazione di qualità siano solo coloro che sono in grado di pagarla.
domenica 6 Febbraio 2022
C’è una contesa info-diplomatica tra Russia e Germania. L’ente tedesco che assegna le concessioni alle frequenze televisive ha deciso la chiusura della versione tedesca di Russia Today, l’ambiziosa e famigerata rete televisiva russa che funziona in gran parte come strumento di propaganda del regime russo e di diffusione di notizie false. Secondo l’ente tedesco le trasmissioni – iniziate a dicembre – non hanno le autorizzazioni di legge. Russia Today era stata accusata nelle settimane passate di disinformazione sul coronavirus.
Per ritorsione il governo russo ha annunciato che chiuderà gli uffici della tv pubblica tedesca Deutsche Welle.
domenica 6 Febbraio 2022
A seguito di altre minori perdite di controllo e di trasparenza sui contenuti pubblicitari online, c’è stata una contestazione interna a Repubblica, riferisce il sito Professione Reporter. Ma la protesta che viene citata sembra segnalare più una contesa tra la redazione e chi si occupa del sito e dei social network, piuttosto che notare un problema deontologico che riguarda più visibilmente le stesse pagine del giornale.
“Cari colleghi – scrivono i redattori degli Interni al Cdr – in allegato troverete dei post e articoli pubblicati sui nostri social e sul nostro sito. Sono contenuti che confondono i lettori, con poco giornalismo e molta pubblicità, e che dequalificano il nome, il marchio “Repubblica”. Li riteniamo deontologicamente scorretti e oltretutto, temiamo, anche passibili di provvedimenti esterni proprio per la confusione e commistione che generano. Stiamo assistendo da tempo a un decadimento qualitativo e informativo dei contenuti che vengono pubblicati sui social (e anche sul sito), ma qui siamo di fronte a réclame vere e proprie”.
domenica 6 Febbraio 2022
Le citiamo meno spesso su Charlie, ma le sovrapposizioni e confusioni tra articoli giornalistici e articoli promozionali sui quotidiani continuano a essere molto frequenti, e a mostrare la perdita di autonomia delle redazioni e l’occupazione sempre maggiore di spazi decisionali da parte delle concessionarie di pubblicità nella confezione dei giornali. Per non perdere di vista questo aspetto – fondamentale nella comprensione delle scelte dei giornali – segnaliamo in queste due ultime settimane una manciata di esempi più vistosi solo sui quotidiani maggiori: gli articoli celebrativi e aziendalisti sull’anniversario di Pirelli nei giorni delle numerose pagine pubblicitarie comprate da Pirelli, gli annunci sui successi della società A2A nei giorni di estese campagne pubblicitarie di A2A, lo spazio dato alle acquisizioni di Arvedi nei giorni di pagine pubblicitarie di Arvedi, le interviste ai dirigenti di MSC vicine alle pagine pubblicitarie di MSC, gli articoli sulle (benemerite, certo) iniziative di AIRC durante le campagne pubblicitarie pagate da AIRC, le celebrazioni in prima pagina dei Baci Perugina nei giorni delle campagne per l’anniversario dei Baci Perugina.
domenica 6 Febbraio 2022
La redazione del Giornale di Brescia è stata informata che dal 21 febbraio assumerà il ruolo di vicedirettrice Anna Masera, giornalista tra le più precoci in Italia a occuparsi di innovazione digitale e di internet dagli anni Novanta, prima a Panorama e poi alla Stampa, dove negli ultimi anni era stata “public editor” (e come tale è stata spesso citata in questa newsletter).
Ma la prima di queste newsletter, invece, ad agosto del 2020 fece i conti sulla minima presenza di donne nei ruoli direttivi dei quotidiani, sintetizzata dal dato per cui nei trenta quotidiani a maggiore diffusione in Italia le direttrici fossero soltanto due. Il dato è rimasto lo stesso (anzi, vale anche per le prime quaranta testate), ma uno dei due quotidiani che è diretto da una donna è appunto il Giornale di Brescia (l’altro è la Nazione), che ora è l’unico ad avere una direttrice e una vicedirettrice.
domenica 6 Febbraio 2022
James Fallows è un illustre giornalista americano di 72 anni, che è stato a lungo uno degli autori più importanti del magazine Atlantic (oggi uno dei siti di approfondimento e news più importanti e riusciti), ha scritto per molte altre testate e per due anni ha fatto anche lo speechwriter del presidente Jimmy Carter. Da qualche mese ha una newsletter su Substack, in cui questa settimana ha descritto alcuni meccanismi con cui fatti e notizie non falsi o infondati vengono messi in contesti che ne forzano l’interpretazione (“framing the news”), ingannando i lettori. Uno di questi, riconoscibile anche in molta produzione giornalistica e saggistica italiana, è “stanno cercando di fregarvi” o “di prendersi ciò che è vostro”. Traducendo i suoi esempi nelle consuetudini giornalistiche italiane, può essere “la casta”, “il gender”, “i clandestini”, “l’Europa”, ma anche “la sinistra”.
«Può riferirsi a chiunque e a qualunque cosa. Ma sono loro. Imbrogliano e complottano contro di voi. E contro la gente come noi. È una triste ma fondata verità della vita che più le persone invecchiano e più sono predisposte a una lettura del mondo “qualcuno vuole fregarmi”».
Fallows spiega che “un pubblico spaventato è un pubblico fedele”, e questo tipo di narrazione dei fatti – che li confeziona suggerendo pericoli diretti esplicitamente verso il lettore, o spettatore – è un successo in termini commerciali, ma tossico per la convivenza civile, e attecchisce di più presso i pubblici più anziani. Da noi, è facile vederlo dispiegato nelle titolazioni che privilegiano l’indicazione di nemici, responsabili e capri espiatori rispetto alla descrizione degli eventi e fatti in questione.